Questo non vuole essere il solito articolo-documentario su una o più compagnie aeree.
Lo spunto per l’argomento ci è stato fornito dalla cronica situazione che caratterizza il mercato etnico in entrata/uscita nel nostro paese a fronte di carenti collegamenti diretti  che finiscono per riversare sulle compagnie medio-orientali, la cui posizione è di perfetto “ponte” geografico, una notevole mole di traffico che di certo però incontra tutti gli svantaggi di doversi spostare tramite coincidenze anziché voli diretti.
L’argomento merita di essere trattato perché dimostra quanto difficile da decifrare sia l’industria del trasporto aereo e il modo con cui essa viene condotta.
Se in Italia vi è una o più correnti di traffico che regolarmente si spostano e della cui consistenza non si possono nutrire dubbi, il fatto che molte compagnie aeree, e in particolare quelle cosiddette di bandiera, hanno sospeso i collegamenti, può significare soltanto una cosa: il traffico c’è ma si preferisce ignorarlo o lasciarlo ad altri per l’impossibilità pratica di trarre utili da esso.
Il particolare, lungi dall’essere un qualcosa di ovvio e scontato, è un sintomo assai preoccupante di quello che oggi le aerolinee sono diventate e del loro ruolo istituzionale.
È ovvio infatti che una compagnia aerea dovrebbe trarre vantaggio dal fatto che nel suo paese vi è un potenziale traffico tale da costituire una consistente fonte di revenue per 12 mesi all’anno, tanto più che il mezzo aereo è l’unico a disposizione, senza concorrenti di terra o di mare che ostacolino tale obiettivo.
Tutti noi sappiamo quanto fosse difficile trovare un posto per il Venezuela allorché la Viasa sospese anni orsono i servizi; abbiamo anche bene a mente il perenne stato di lista di attesa dei voli Air India quando si tentava di prenotare un posto per Bombay: ebbene pure l’Air India decise un bel giorno di chiudere i collegamenti. Tutti sappiamo quanti filippini risiedono in Italia, tanto che la Philippine Airlines sotto le festività natalizie chiedeva di aggiungere ai suoi voli regolari anche collegamenti charter: la Philippine Airlines puntualmente anch’essa sospese i collegamenti; Air Lanka e srilankesi idem come sopra; la Qantas e i collegamenti con l’Australia costituiscono l’ultimo esempio in ordine di tempo di una lunga serie di casi, ove consistenti flussi di traffico sono stati letteralmente abbandonati.
Solitamente, tranne rare eccezioni, la sospensione dei collegamenti è stata sempre a doppio senso, volendo con ciò significare che quando ad esempio, la Philippine Airlines sospese i servizi fra l’Italia e le Filippine, altrettanto fece l’Alitalia.
La natura del movimento etnico è tale che in esso è facile intravedere i connotati non certo del traffico turistico, bensì di quello tipico che si muove per tornare a casa; quelle che una volta si chiamavano tariffe per emigranti, ora sono state sostituite dall’appellativo più attuale  di traffico etnico, ma la sostanza rimane la stessa.
Ecco quindi che possiamo annotare come il fatto di aver trasformato le “compagnie di bandiera” in società private o perlomeno in società alle quali lo Stato non vuol più concedere sussidi o concessioni, ha comportato la sospensione di numerosi collegamenti internazionali i quali senza dubbio alcuno presentavano i tipici connotati del trasporto pubblico. Il ruolo delle aerolinee pertanto è decisamente cambiato in quanto esse non sono più chiamate ad assicurare collegamenti laddove necessità “campanilistiche” lo richiedano.
Oggi i governi riescono ancora ad imporre lo svolgimento di determinate rotte “politiche” sul territorio nazionale magari imponendo tariffe particolari (è il caso delle rotte in continuità territoriale attuate con la Sardegna e la Sicilia) ma non possono più fare altrettanto  allorché si tratta di servizi internazionali;  per quest’ultimi se la compagnia vede che la rotta non rende, il servizio viene sospeso, punto e basta.
Un capitolo tutto a parte sarebbe da dedicare nel cercare di capire come possa una industria la quale non ha concorrenti su un certo settore a letteralmente “mollare” il mercato, poiché il prodotto tramite il quale essa potrebbe assicurare il servizio non riesce ad essere remunerativo.
Di fatto, se improvvisamente tutte le compagnie aeree si fossero trovate nelle condizioni in cui versano oggi molti vettori, poteva pure accadere che venissero completamente a “saltare” e quindi a mancare collegamenti pure essenziali nell’ambito delle correnti migratorie esistenti.
Ora, non crediamo possano sussistere dubbi sul fatto che quando una industria non riesce ad offrire un servizio pur in presenza di una notevole domanda, vi sia qualcosa da rivedere nella sua conduzione, ma queste pur interessanti considerazioni verranno toccate più avanti; per ora ci limitiamo a parlare di come le defezioni su determinati settori long haul da parte di ormai troppe compagnie aeree, abbiano favorito in maniera eccezionale le aerolinee del Medio Oriente.

Tabella 1

Stranieri in Italia (*)                Italiani all’estero (**)

BANGLADESH        20.826        ARGENTINA        601.658
CINA POPOLARE        60.075        AUSTRALIA        122.843
COREA DEL SUD          3.213        CANADA        137.324
EGITTO            32.841        URUGUAY         59.958
FILIPPINE            65.353        VENEZUELA      134.678
INDIA                30.338
PAKISTAN            18.259
SRI LANKA            33.669
VIETNAM              1.171

(*)   Dati Ministero Interno aggiornati al 1/1/2001
(**) Dati Ministero degli Esteri, anagrafe consolare italiani iscritti al 1/1/2001

Le cifre riportate nella tabella uno circa gli stranieri soggiornanti in Italia, sono da ritenersi assai conservative e sottostimate e i motivi, ricordiamo a titolo di esempio il problema fra legali e illegali, sono ben noti a tutti; i paesi elencati inoltre sono soltanto una selezione fra i tanti disponibili e da essi abbiamo escluso le nazionalità africane in quanto in questo articolo trattiamo dell’area mediorientale.
Da un lato quindi abbiamo compagnie aeree del sud-est asiatico che si sono ritirate dal mercato italiano (Philippine Airlines, Air Lanka, Air India, Garuda, Qantas) accompagnate sul versante italiano da numerose sospensioni di servizi da parte del vettore di bandiera nostrano; dall’altra parte dello scenario troviamo compagnie aeree del Medio Oriente le quali avvantaggiandosi della loro posizione geografica riescono a fare “da ponte” e quindi a catturare il traffico lasciato a loro disposizione.

Tabella 2

NUMERO VOLI SETTIMANALI OFFERTI DA COMPAGNIE MEDIO-ORIENTALI IN USCITA DA FCO

QATAR AIRWAYS        4 DOH
JORDANIAN AIRLINES        3 AMM
EGYPTAIR            5 CAI            ALITALIA , giornaliero su CAI
SAUDIA            2 JED-RUH
KUWAIT            3 KWI
GULF AIR (*)            ———
EMIRATES            DXB giornaliero
ETHIAD (**)            ———
OMAN AIR (***)        ———
SYRIAN ARAB            2 ALP
MEA                4 BEY

Fonte: Aeroporti Roma, orario 26 ottobre 2003-15 gennaio 2004

(*)      ha sospeso i collegamenti nel marzo del 2002
(**)    nuovo vettore con base a AUH decollato a novembre di quest’anno
(***)  il vettore già operativo, non ha però attivato collegamenti da/per l’Italia

A titolo di esempio si osservi la situazione dei collegamenti in uscita dallo scalo romano di Fiumicino (tabella due) verso destinazioni del Medio Oriente, operati da vettori di bandiera È evidente, e questo risulta dalle statistiche ufficiali, che l’offerta di voli delle compagnie arabe è eccessiva rispetto al solo traffico locale che potrebbe risultare dai collegamenti point-to-point: la notevole disponibilità di voli dimostra invece che l’offerta immessa sul mercato tende a soddisfare le esigenze di traffico in sesta libertà volendo con ciò significare che questi voli servono a portare passeggeri dall’Italia, a paesi oltre queste destinazioni intermedie.
Ma la situazione vista dall’ottica del passeggero non è così soddisfacente come può a prima vista sembrare.
Il volo di proseguimento dallo scalo del Medio Oriente prescelto verso la destinazione finale è infatti penalizzato da due fattori: 1) il traffico locale originante dallo scalo mediorientale verso la destinazione finale che assorbe buona parte della capacità; 2)  anche altre stazioni europee, oltre quelle italiane, sono interessate a quella tratta.
Risultato pratico: volo confermato nel primo segmento in uscita dall’Italia, volo “on request” sulla seconda tratta. Per non parlare ovviamente del disagio causato dal cambio di aeromobile e dai tempi di coincidenza.
Questo è lo scenario attuale con cui debbono confrontarsi le decine di migliaia di immigrati i quali provengono da paesi verso i quali l’Italia e le rispettive compagnie di bandiera hanno sospeso i servizi.  Se tutto ciò è profondamente errato volendo considerare il mezzo di trasporto aereo quale pubblico esercizio, non lo è affatto da un punto di vista prettamente commerciale perché l’aerolinea ha tutto il diritto di non svolgere un collegamento se esso non è remunerativo.
Ma parlando della remuneratività di rotta il discorso si amplia. Tralasciando di considerare quanto sia stato opportuno o meno privatizzare le aerolinee che una volta venivano definite “di bandiera”, in quanto non possiamo certo prendercela con l’evoluzione che ha caratterizzato l’economia mondiale,  è più che legittimo domandarsi se le aerolinee prima di sospendere i collegamenti abbiano almeno tentato di aumentare le tariffe aeree. E la domanda non è affatto peregrina dal momento che chiunque addentro al settore sa bene che le rotte vengono chiuse non perché mancano i passeggeri o perché le tariffe sono troppo care ma, incredibilmente, perché il prezzo di vendita non è sufficiente a coprire i costi.
Se questa considerazione è ancora oggi valida dopo che le compagnie hanno drasticamente ridotto il personale, hanno chiuso stazioni “improduttive”, hanno smantellato uffici passando la gestione ai GSA, stanno introducendo il catering a pagamento, eccetera-eccetera, è giocoforza ritenere ovvio il tentativo di agire sul versante delle entrate e tentare di ottimizzare il revenue.
Questo è un tentativo che qualunque industria “normale” avrebbe fatto e questo è puntualmente ciò che è avvenuto in tutti i settori dove il prezzo dei prodotti o servizi è stato continuamente adeguato al costo della vita e all’aumentato costo delle materie prime. Ma ciò non è avvenuto nel settore delle compagnie aeree: qui i produttori di questo servizio non hanno mai provato ad aumentare le tariffe, ma la loro azione preferita è sempre stata quella di chiudere la rotta.
È giustificato un tal modo di operare?
Sgombriamo subito il dubbio di chi a questo punto si interroga sulle low cost; perché non è certo un caso se sui settori intercontinentali, tipicamente multisettoriali, le low cost non operano. Ciò significa che non possiamo  fare comparazioni improprie fra i costi che si sostengono su un settore di pochi minuti con turn-around rapido, senza cambio di equipaggio, e i costi che caratterizzano un volo a lungo raggio. Precisato questo, e chi volesse approfondire l’argomento troverà numerosi articoli dedicati alle low cost nei numeri precedenti di questa rivista, rimane da chiarire il motivo per il quale le aerolinee non hanno voluto nemmeno cimentarsi nell’adeguamento costante delle tariffe alle mutate condizioni economiche.
Come abbiamo più volte già avvertito non vi è una spiegazione tecnica a fronte di questa non – azione, ma semplicemente il fatto che essendo il mondo delle aerolinee un settore molto “scollato” , mancando in esso l’amalgama di una robusta organizzazione imprenditoriale che curi gli interessi comuni e riesca ad imporre una linea univoca di conduzione, ognuno preferisce andare per la sua strada. E purtroppo la strada è consistita da sempre nel riempire gli aerei di passeggeri a tariffe non remunerative, perché facendo un alto load factor si riteneva di far contenti gli H/O.  E quando diciamo tariffe non remunerative vogliamo dire che l’organizzazione e la struttura che contraddistingueva le  aerolinee tradizionali uscite dal dopoguerra, richiedeva l’applicazione di tariffe ben più alte di quelle applicate in questi ultimi decenni.
Oggi, comunque, ritornando al nostro tema principale, le maggiori compagnie europee che non possono ricevere sussidi e sovvenzioni sono in crisi, mentre molte compagnie di nazioni extra-comunitarie che i sussidi continuano a riceverli, possono venire nel continente  e occupare tutti gli spazi vuoti lasciati dalle europee.
Come si vede, le responsabilità dello stato di sfascio non sono univoche ma ben più variegate e molteplici di quanto possa sembrare ad un superficiale esame.

Antonio Bordoni