Su una cosa crediamo ormai si possa tutti concordare: le low cost non fanno soldi e profitto dal biglietto aereo
Negli anni passati non era infrequente imbattersi in articoli che trattavano della distinzione che intercorreva fra una compagnia charter e quella di linea. Stessa cosa accadde, eravamo negli anni ’70-80, per un’altra tipologia di aerolinee che si affacciava sulla scena: si trattava delle cosiddette frontaliere o compagnie di terzo livello. Oggi,  giunti a un punto di non ritorno e volendo considerare il fenomeno low cost come pienamente affermato, crediamo sia giunto il momento di tentare di mettere a fuoco gli elementi distintivi di questa tipologia di carrier che ha rivoluzionato  il mondo del trasporto aereo.
L’esercizio ci sembra tanto più necessario dal momento che le low cost non sembrano rimanere un fenomeno isolato che ha comportato la nascita di una specifica  categoria a parte ma, al contrario, il loro modello sta contagiando molte delle aerolinee, per così dire, tradizionali.
All’avviarsi del fenomeno, il termine low cost non compare solo; esso inizialmente è strettamente abbinato all’altro appellativo di no-frills.
Il particolare non è affatto insignificante e cela un preciso messaggio “occulto”.
Quando negli anni settanta negli Usa prendono il via le prime compagnie appartenenti alla nuova tipologia, gli utenti del trasporto aereo erano soliti snobbare il mondo delle compagnie charter in quanto i bassi prezzi da loro praticati facevano ritenere i loro servizi inaffidabili dal punto di vista operativo e della safety.
Gli umori dell’utenza a quel tempo erano così; inutile chiedersi perché e per come. Sta di fatto che se in quegli anni una compagnia fosse partita con la sola denominazione di vettore low cost essa assai difficilmente avrebbe potuto riscuotere i consensi necessari per imporsi sul mercato.
L’iniziale abbinamento al termine no frills è stato pertanto un accorgimento assai opportuno per vincere le diffidenze, in quel tempo assai radicate, che tariffe basse fossero sinonimo di scarsa affidabilità.
Il termine “senza fronzoli” aveva il compito preciso di polarizzare l’attenzione dei passeggeri sul fatto che il basso prezzo era attuabile in quanto la compagnia risparmiava sui costi del servizio di bordo. Il messaggio indiretto che pertanto si inviava al passeggero era chiaro: la safety non si tocca, i tagli avvengono su altri settori.
Il tempo ha poi fatto il resto confermando la piena affidabilità di queste aerolinee alla pari delle tradizionali e non a caso oggi è rimasto in voga il solo termine low cost, ma dell’altro si sono perse le traccie.
Le innovazioni introdotte da questi vettori sono molteplici ed hanno riguardato diversi aspetti che hanno rivoluzionato il modo di intendere il servizio aereo, radicalmente cambiando allo stesso tempo i servizi di cui il passeggero usufruiva.

OPERATIVO

L’operativo di una compagnia low cost non si differenzia affatto da quello di un vettore tradizionale. Anche in questo caso si punta alla classica distinzione fra winter/summer schedule, con un aumentato numero frequenze durante la stagione estiva e una diminuzione delle stesse nel periodo invernale.
Si può affermare che i vettori low cost, in quanto gravati da meno vincoli occupazionali, dispongono di tempi più rapidi nella eventuale cancellazione di destinazioni e questo è senz’altro un fattore positivo poiché la flessibilità nell’operativo è sempre stata una carta decisiva nelle economie dei vettori.
Dal momento che una delle caratteristiche essenziali dei vettori low cost è quella di aver ridotto al minimo le formalità e i cosiddetti “fronzoli”, si potrebbe ritenere che i loro tempi di accettazione  negli scali siano ridotti rispetto ai vettori tradizionali. Ma una comparazione sull’argomento effettuata fra alcune aerolinee non mostra sostanziali differenze sui tempi richiesti per la presentazione all’aeroporto; questo malgrado gli scali usati dalle low cost siano solitamente meno congestionati di quelli usati dalle aerolinee tradizionali. Differenze invece si riscontrano sulle modalità di pre-assegnazione dei posti con le compagnie low cost che, al contrario di quanto fanno le tradizionali, tendono alla non assegnazione dei posti.

Volareweb.com    apertura check-in, circa 2 ore prima della partenza schedulata, con chiusura
30 min prima se il volo è nazionale; 40 minuti prima se il volo è internazionale. Preassegnazione non prevista.

Ryanair        apertura check-in 2 ore prima della partenza prevista. Chiusura 40 minuti
Prima della partenza prevista; l’imbarco chiude 10 minuti prima della
Partenza. Ryanair non opera un sistema di imbarco sistematico.

Easyjet            Il limite di tempo per il check-in  può variare a seconda dell’aeroporto e
Del volo. E’ responsabilità del passeggero assicurarsi di rispettare i limiti che sono resi noti al momento di effettuazione della prenotazione. La compagnia
Si riserva il diritto di non accettare a bordo il passeggero che si presenta con meno di 30 minuti prima della partenza prevista.

Alitalia        tempi limite dei check-in nei principali hub Alitalia:

Nazionali    Internazionali    Intercontinentali
FCO            30′        40′            60′
MXP            30′        40′            60′
LIN            25′        40′            –
Altri scali italiani    25′        40′            60′

Una distinzione che ancora riguarda l’operativo è senz’altro quella degli scali usati dalle low cost.
A parte i voli diretti con  città che nel passato per usufruire di un collegamento con paesi esteri erano obbligati forzatamente a transitare sui maggiori hub nazionali (è il caso ad esempio di Ancona ora collegata direttamente con Londra),  le maggiori novità hanno riguardato il rilancio di scali su città “primarie” non frequentati dalle “regolari”quali ad esempio Hahn (Francoforte), Beauvais (Parigi), Ciampino (Roma), Stansted (Londra).
Tuttavia poiché non poche low cost si servono di hub primari, questa distinzione non può essere adottata  come elemento discriminante.

IMMAGINE

Fino al momento in cui le low cost sono apparse, i vettori tradizionali erano soliti in ogni città ove essi aprivano una nuova rotta, di stabilire un ufficio di rappresentanza, di biglietteria e di scalo.
Chi è addentro al mondo delle compagnie aeree sa bene che ad esempio a Roma o Milano, ogni qualvolta una aerolinea annunciava l’imminente attivazione dei collegamenti vi era una gran movimento da parte dei dipendenti di compagnie aeree nel presentare domande per l’assunzione. Chi già lavorava in una aerolinea sperava in un posto migliore, chi riusciva ad entrare per la prima volta otteneva un impiego di tutto rispetto: in ogni caso una nuova aerolinea in arrivo significava più posti di lavoro, quindi più occupazione.
Oggi tutto ciò è solo un ricordo. Le low cost annunciano senza sosta l’apertura di nuove rotte, ma le opportunità di posti di lavoro  sono ridottissime, se non addirittura nulle.
Non si aprono uffici e l’esempio è stato subito seguito da tutte le altre compagnie tradizionali le quali hanno puntato sulle alleanze con relativi accorpamenti di personale. Altra soluzione adottata è stata quella di cedere la rappresentanza del vettore ad un agente generale (GSA).
Il risultato di queste innovazioni si è tradotto in una riduzione dei posti di lavoro e in un servizio non personalizzato fornito al passeggero. Tramite le vendite del prodotto effettuato per via telematica è venuto a cadere uno dei punti essenziali che contraddistingueva l’industria delle aerolinee cioè l’imperativo di catturare il passeggero avvalendosi di un servizio diretto con il personale della aerolinea.  Distinguersi dal concorrente facendo in modo che la propria immagine non venisse confusa con quelle dei concorrenti era un imperativo nel mondo delle aerolinee tradizionali, ma evidentemente le esigenze di cassa hanno fatto cambiare le strategie di marketing.
Tutto ciò ha comportato problemi all’utenza? L’AUC britannico (Air Transport Users Council) pubblica annualmente la lista dei complaints indirizzati dai passeggeri alle aerolinee che servono il Regno Unito, ebbene in essa non compaiono solo low cost ma anche compagnie tradizionali, il che evidentemente significa che le compagnie a basso costo, sia pur con le loro tariffe ridotte, si pongono allo stesso livello di disservizi delle altre che fanno pagare più alte tariffe.

TOP 20 AIRLINES BY NUMBER OF COMPLAINTS TO THE AUC

02/03    01/02    00/01

1) British Airways + subsidiaries    257    117    124
2) Ryanair            201    77    138
3) KLM + subsidiaries        140    53    53
4) Air France            139    110    81
5) Easyjet            106    74    88
6) MyTravel            41    39    40
7) Iberia            39    18    18
8) Britannia Airways        35    33    36
9) BMI British Midland        33    29    29
10)  Virgin Atlantic Airways    30    22    48
11) Thomas Cook Airlines    27    24    n.p.
12) Lufthansa            27    23    28
13) Alitalia            26    10    n.p.
14) Emirates            26    17    17
15) BMI Baby            25    16    n.p.
16) British European        24    12    16
17) Air 2000            24    32    21
18) Air India            21    19    33
19) Aer Lingus            20    9    n.p.
20) PIA                19    13    22

Le tabelle sono tratte dagli Annual Report dell’AUC edizioni 2001/2002 e 2002/2003

CLASSI

I vettori low cost puntano tutto sulla classe unica. Pur tuttavia, all’interno di questa configurazione unica, essi offrono una molteplicità di tariffe le quali variano in rapporto ai tempi di prenotazione.
In effetti questo modo di vendere i posti a bordo non è una novità introdotta dalle low cost ma era già operativa da parte di molti vettori tradizionali, in particolare sulla classe economica.
Da tempo su molti settori la prima classe è stata abolita, mentre il cliente business si va facendo merce sempre più rara. La standardizzazione in una unica classe risponde in effetti alle più recenti indicazioni di mercato e ciò è particolarmente vero sui percorsi medi, quelle tratte cioè ove le low cost hanno catturato la maggior parte del loro traffico.
Ma non tutti i vettori si sentono di abbandonare completamente il segmento d’affari.
La SAS dal 31 ottobre prossimo ha annunciato che i suoi collegamenti europei saranno ristrutturati su tre possibili scelte: la  economy per chi considera principalmente il prezzo; la economy flex per chi vuole possibilità nei cambi data/volo con possibilità di rimborso; infine ancora la business per chi esige un servizio elevato a prezzi più alti.

CATERING

Il catering a pagamento è  indubbiamente una delle caratteristiche primarie del mondo low cost.
Questa novità è stata  facilitata dal fatto che in Europa i tempi di volo sono alquanto circoscritti e pertanto non costituisce una penalizzazione eccessiva il fatto di dover rinunciare al pasto a bordo.
Su questo particolare aspetto le incongruenze adottate delle aerolinee tradizionali hanno fatto scuola. Sui voli domestici europei, notoriamente assai costosi, il passeggero al massimo poteva usufruire di una aranciata gratis, su un volo intercontinentale che costava tanto quanto un domestico i pasti e le bevande erano gratis.
Uno sguardo alle cifre fornite dall’ICAO indicano che i vettori nell’anno 2002 hanno speso circa 33.000 milioni di dollari per i servizi di bordo forniti ai passeggeri. Questa voce rappresenta oltre il 10% delle spese delle aerolinee.

L’incidenza della voce “Passenger Service”
(milioni di dollari Usa)

1993    23580
1994    25610
1995    28070
1996    29090
1997    29310
1998    29770
1999    31520
2000    31780
2001    32670
2002    32910

Fonte: ICAO , Financial Data 2002

TARIFFE

Le tariffe, forse sarebbe superfluo annotarlo, sono il vero elemento distintivo delle aerolinee low cost.  Esse hanno rappresentato tagli talmente alti rispetto a quelle praticate dalle compagnie tradizionali da rasentare l’assurdo.
Ormai non costituisce più una battuta, ma pura realtà, il fatto che – una volta giunti a destinazione – si può pagare una tariffa superiore per andare dall’aeroporto in città con i mezzi di superficie, rispetto alla tariffa pagata al vettore per il trasporto aereo.
Quindi crediamo che tutti possiamo concordare almeno su un punto, e cioè che le low cost non fanno soldi e profitto dai biglietti aerei.
Da questo punto di partenza discendono ovvie considerazioni. Innanzitutto, stando così le cose, chiunque può comprendere che queste tariffe “regalate” possono essere applicate da vettori low cost per così dire, autentici, ossia che sono nati tali; improvvisati vettori tradizionali convertiti alla nuova moda, difficilmente riusciranno a imporsi e sopravvivere. Genera quindi stupore il fatto che fra le proposte avanzate al capezzale Alitalia sia stata fatta anche quella di trasformare il vettore di bandiera in una low cost.
Di fatto posiamo affermare che tutta la struttura di una compagnia low cost:

-dai salari dirigenziali, al numero dei dipendenti in forza;
-dal contratto di lavoro per personale navigante e dipendenti a terra, al costo in generale del lavoro;
-dai canali di vendita, al regolamento di trasporto,

ogni minimo aspetto dell’attività deve essere innovativo,  per poter permettere all’incasso “irrisorio” della tariffa aerea di divenire profitto attraverso le leve delle spese ridotte e delle  entrate corollarie.
Ha ben centrato l’obiettivo quindi chi afferma che nel caso delle compagnie a basso costo, il revenue viene generato non dal trasporto aereo, ma da altri fattori.
L’argomento delle tariffe non può comunque esaurirsi qui.
Al di là dei prezzi di lancio che compaiono nelle home page delle compagnie low cost, aggirantesi come noto a cifre irrisorie, le average fares che vengono annunciate nei consuntivi sono poi differenti. Secondo gli ultimi dati la Ryanair vende a una tariffa media di 39 sterline x passeggero, la sua diretta concorrente Easyjet a 62 sterline. Ora se consideriamo che queste cifre si riferiscono alla sola andata si vede bene che un volo di A/R viene mediamente a costare molto più che non le tariffe allettanti che appaiono nei siti web o che vengono annunciate. E per quanto superfluo ricordiamo anche che la media scaturisce evidentemente da un mix che comporta l’emissione di biglietti a tariffe inferiori a quelle medie ma vi è evidentemente anche chi paga di più della tariffa media.
Quanto precede non intende mimimamente intaccare il discorso circa la estrema convenienza delle tariffe low cost, ma più semplicemente rammentare la realtà delle cifre di consuntivo al di la di quelle lanciate al pubblico dai flash pubblicitari.
Parlando di tariffe e di revenue accessori crediamo che illustrare le regole che governano il campo del settore eccedenza bagaglio sia estremamente significativo di come appunto le compagnie low cost abbiano rivoluzionato il settore puntando ad incassare più sui servizi accessori laddove le compagnie tradizionali erano alquanto sciupone.

ECCEDENZA BAGAGLIO:

*Volareweb.com    15 kg di franchigia a passeggero, su ogni kg di eccedenza: 5 Euro nazionale,        7 euro int.le
*Ryanair        15 Kg di franchigia a passeggero, su ogni Kg di eccedenza: 7 Euro

*Easyjet        20 Kg di franchigia, Euro 6.50 per ogni Kg di eccedenza

*Alitalia        Servizi Int.li : Classe economica, max 23 kg.
Servizi Naz.li: 1 valigia max 30 Kg + 1 bagaglio a mano max 5 Kg  oppure:
2 valigie max  totale 50 Kg  senza bagaglio a mano

CIRCA IL RIMBORSO…

Sull’argomento rimborsi, il quale per le compagnie low cost è estremamente limitativo, non siamo d’accordo sulla procedura, da taluni applicata, di non rimborsare al passeggero che non utilizza il trasporto, le tasse aeroportuali che il vettore incamera al momento della conferma del volo; a tal proposito sarebbe inesatto dire al momento dell’emissione biglietto, perché come è noto i vettori low cost non emettono biglietti tradizionali.
Le tasse aeroportuali per normativa consolidata, vengono incamerate dal vettore aereo al momento dell’emissione del biglietto e da questo rigirate alle società di gestione aeroportuali.
In pratica accade che queste ultime, sulla base del numero passeggeri imbarcati su un determinano volo, provvedono ad emettere fattura di addebito alla aerolinea per l’importo delle tasse di loro competenza.
Ipotizzando che ogni passeggero in partenza da un determinato scalo debba pagare 10 Euro di tasse aeroportuali, se per un determinato volo la compagnia aerea imbarca 100 passeggeri, la società di gestione provvederà ad addebitare alla aerolinea 100 x 10 = 1000.
Scendiamo in questi particolari per far meglio comprendere che in pratica per il passeggero che non si presenta all’aeroporto e che quindi non utilizza il volo acquistato, la società di gestione aeroportuale non potrà addebitare alcun importo alla aerolinea, la quale pertanto – se non procede al rimborso – rimarrà in possesso non solo dell’importo della tariffa aerea vera e propria, ma anche di introiti che in realtà avrebbero dovuto essere rigirati alle società di gestione aeroportuali.

TIRANDO LE SOMME

È estremamente agevole osservare come il settore del trasporto aereo, grazie alla spinta innovativa data dalle compagnie a basso costo, si sia venuto trasformando – alla pari di come oggi avviene in molti altri campi – in un settore ove all’attrattiva di un basso prezzo del prodotto core,  finiscono per aggiungersi, non certo come optional bensì come obbligatori, una serie di costi aggiuntivi che di fatto superano il costo del prodotto-base.
È noto ad esempio ciò che avviene nel settore delle stampanti per PC: il costo della cartuccia inchiostrante finisce per superare il costo della stampante stessa, la quale viene immessa sul mercato a prezzi veramente irrisori.
Ebbene, intorno al costo della tariffa aerea che il passeggero è chiamato a pagare, gravitano una serie, non certo irrilevante, di costi addizionali, quali le spese telefoniche “per accedere al servizio”, le cosiddette administration fees, le penali per cambi data, le ridotte possibilità di franchigia, i mancati rimborsi, eccetera. Se a queste voci ancellari si aggiungono le tasse aeroportuali e le tasse di aerolinea che accompagnano l’emissione del biglietto, troveremo che anche per il settore del trasporto aereo, finiscono per gravare più sulle tasche dei passeggeri i servizi accessori che non il prodotto core.
Questo particolare viene ancor più risaltato dai prezzi veramente ridicoli, non sapremmo trovare altro termine più adatto, con cui vengono venduti da alcuni vettori low cost i voli: se si aprono i siti si troveranno tariffe che partono da sotto 1 Euro di valore e magari si trova pure l’annuncio che questi prezzi verranno ulteriormente scontati.
Tutto ciò è controproducente. Ognuno di noi si rende conto che un volo fra due capitali europee, qualunque esse siano, non può costare meno di quanto costa un biglietto di autobus per i collegamenti urbani all’interno di quelle città. E allora, invece di far pagare la telefonata della prenotazione, o di ridurre la franchigia bagaglio, ovvero mettere troppi servizi ancellari a pagamento, sarebbe più producente che il costo della rotta trovasse un riscontro obiettivo con il prezzo del biglietto.  A parte il caso del carburante, notoriamente appesantito da una percentuale eccessiva di imposte, il consumatore non si confronta con altri prodotti ove il peso delle tasse e fees viene ad essere pressoché superiore al prodotto stesso come avviene nelle tariffe aeree. Se ciò mai dovesse accadere è facile prevedere una rivolta dei consumatori: sarebbe contro ogni logica che una pizza costasse 8 Euro e il “servizio a tavola” fosse di 10 Euro, eppure questo è ciò che sta avvenendo nel trasporto aereo europeo, senza che alcuno abbia da meravigliarsi o da protestare.
E poiché dubitiamo che sulle tasse si torni indietro, allora si abbia l’accortezza di vendere il prodotto per quello che costa senza ricorrere agli incassi di voci aggiuntive.

Antonio Bordoni