Lo scorso ottobre l’AEA, l’associazione che raggruppa 31 fra le maggiori compagnie aeree europee, ha emesso un comunicato dove avvertiva che le “European airlines are in a serious state”, precisando anche che dopo aver totalizzato negli ultimi cinque anni perdite per 6.4 miliardi di dollari, anche per il 2004 che si sta giungendo a termine, la maggior parte dei vettori chiuderà  con un unprofitable year.
Tutto ciò pur in presenza di un abbassamento delle tariffe, di un aumento del numero passeggeri trasportati e di una riduzione nella forza lavoro di 35.000 unità attuata dalla fatidica data del 9/11.
In questo non roseo scenario, sempre secondo l’AEA, si inserisce negativamente l’opera delle autorità  centrali comunitarie le quali continuano a penalizzare le aerolinee varando nuove regole e nuove forme di tassazione.
Contemporaneamente alla crisi delle regolari, come è noto, il fenomeno delle low cost è continuato a crescere, e a questo punto sorge legittimo il dubbio se in un immediato futuro vi è spazio per entrambe queste categorie di aerolinee o se una delle due è destinata a prevalere sull’altra.
Studi sul modello low cost carrier (LCC) e sulle peculiarità che lo contraddistinguono, sono stati già effettuati; in particolare su queste stesse colonne una analisi abbastanza approfondita circa “gli elementi distintivi della compagnia low cost” è apparsa nel numero di Ottobre 2004.
Un altro studio che  vivamente raccomandiamo è quello portato a termine dall’ECA (European Cockpit Association) nel marzo del 2002, il quale analizzando quali sono i vantaggi di cui si avvale una LCC, rispetto alla FSC (Full Service Carrier)  metteva in evidenza i seguenti punti :

▪ Seat density
▪ Higher aircraft utilization
▪ Lower crew cots
▪ Cheaper airports/landing fees
▪ Single A/C type/outsourcing maintenance
▪ Minimal station costs/ outsourcing handling
▪ No inflight catering
▪ No agents commission
▪ Reduced sales /reservation costs
▪ Smaller administration/ overhead costs

Alle sopraelencate voci, noi vorremmo aggiungere anche il particolare delle modalità di vendita del prodotto low cost. Come noto, infatti, la vendita dei posti avviene esclusivamente per via telematica facendo uso di carte di credito e non garantendo il rimborso se non in casi particolarissimi quale ad esempio la cancellazione del volo. In tal modo le low cost riescono a generare revenue anche dai passeggeri che non volano. Questa innovazione sul versante delle entrate, unita a concrete economie sul lato spese, lontane anni luce dal modo di spendere cui erano abituate le compagnie di bandiera, ha prodotto benefici riflessi alle economie dei LCC.  Il tutto però rammentando che i risparmi nelle spese sono stati favoriti dalla tipologia di volo su cui per il momento operano le LCC.
In pratica ormai chi vuole realmente indagare sulle ragioni del successo del fenomeno, dispone di abbondante materiale cui far riferimento.
Ma rammentato quanto sopra,  passiamo ad approfondire il rapporto che intercorre fra LCC e FSC e analizzare quali scenari in prospettiva si possono ipotizzare.

Antagoniste delle regolari?

Un primo aspetto da evidenziare e su cui non concordiamo, è costituito dal fatto che fin dalla sua nascita l’aerolinea low cost è stata additata dal pubblico come una antagonista della aerolinea regolare, una “calmieratrice del mercato” che finalmente restituiva equilibrio e giustizia in un settore decisamente troppo costoso.
In realtà le aerolinee regolari offrivano un prodotto costoso, perché il passeggero in quegli anni costava più caro; egli infatti disponeva di più assistenza, di maggiori servizi, di riprotezione nell’eventualità di disruption, il tutto avvalendosi del numeroso personale delle aerolinee presente fisicamente in tutti i punti del network – città e scalo – che l’aerolinea serviva; ora è evidente che una compagnia aerea che non si avvale di uffici, di personale e non stiamo qui a ripetere altre tipologie di risparmi già detti, può immettere sul mercato un prodotto dal prezzo più contenuto.
Nessun dubbio quindi che le low cost, nel caso l’utenza avesse continuato a richiedere e preferire un prodotto “di classe”, quale quello offerto dalle FSC, non si sarebbero proposte come prodotto antagonista, ma più correttamente solo come alternativa.
La distinzione crediamo sia chiara: chi accettava di pagare il panino a bordo, di scendere su aeroporti secondari spendendo meno, puntava sulle low cost, chi preferiva ancora un prodotto “sofisticato” avrebbe puntato invece sull’aerolinea tradizionale le cui tariffe erano però superiori.
Le carte si sono iniziate a mescolare nel momento in cui le LCC anziché conquistare passeggeri in aggiunta a quelli rimasti fedeli alle FSC, hanno invece iniziato a sottrarre traffico a quest’ultime.
La conferma a queste nostre osservazioni trova puntuale riscontro dai toni assolutamente rassicuranti delle aerolinee regolari, allorché le prime low cost europee iniziarono a prendere il volo sul nostro continente e non solo:

“US low-fare carriers collapse despite initial success” (AWST, 13 Maggio ’96)
“Low cost airline operations appear in Europe, despite obstacles such as franchising and short-haul jet operations”
(ATW, maggio ’96)
“Virgin plans to bring the US low-fare revolution to Europe. Can it succeed ?” (Flight International 8-14 may ’96)
“Once thriving US low-cost carriers are now fighting a losing battle against their larger rivals” (F.I. 17-23 September ’97)

Mentre l’AEA, l’associazione dei vettori europei nel suo Annual  Report anno 1998,  faceva notare che:

“Although it is commonly perceived that a major consequence of  European libralisation has been the proliferation of low-fares carriers, their impact in terms of the total market remains marginal”

All’indomani della scomparsa della Debonair di Mancassola,  da noi  si incominciava già a intravedere una prematura fine del fenomeno:

“Debonair è la seconda vittima della guerra tra le compagnie a basso costo dopo la Ab Airlines (Il Sole-24Ore, 2 ottobre ’99)

Oggi si può affermare che il fenomeno fu ampiamente sottovalutato e ciò  avvenne per una semplice ragione che nessun consulente o esperto di sorta si sentì  in quegli anni di avanzare: le aerolinee di bandiera avevano consolidato un mercato così “viziato” dai loro servizi accessori che ben pochi passeggeri, si credeva, avrebbero accettato di volare nella cabina di vettori che di vizi non ne offrivano nemmeno uno, da cui appunto la denominazione di no-frills.
Inoltre, altro particolare che contribuì a far errare le majors, fu la convinzione maturata nell’inconscio collettivo dei passeggeri – secondo una moda imperante a quel tempo – che più si pagava, maggiore era la sicurezza del volo.
Ma come detto, le aerolinee regolari sbagliarono in pieno le loro previsioni e per un motivo che fra l’altro avrebbe dovuto essere  facilmente pronosticato dagli esperti del campo finanziario: l’aumentato numero di individui con le  tasche al verde, aumento che non ha riguardato solo l’Europa, ma tutti i continenti in generale.
Sussistono pochi dubbi sul fatto che si debba proprio imputare alla necessità di risparmio, il cambiamento nelle abitudini e nei preconcetti dell’utente del trasporto aereo. Da questo punto di vista hanno avuto buon fiuto i fondatori delle low cost che hanno percepito i cambiamenti in atto, mentre altrettanto non si può dire di chi dirigeva le maggiori compagnie aeree.
Ora, una regola inflessibile che vige nell’industria aerea commerciale  è che purtroppo ogni ritardo nel non adeguarsi tempestivamente ai cambiamenti, può rivelarsi fatale per la sopravvivenza dell’aerolinea.
Per cui quando infine ci si  rese conto che le low cost  non erano  più un veicolo sostitutivo del charter, bensì sottraevano a pieno ritmo traffico alle regolari, solo allora i consulenti (e con loro le compagnie)  iniziarono a cambiare le  previsioni e tentare di effettuare restyling, con tutte le conseguenze facilmente immaginabili, dal momento che un abbassamento delle tariffe, primo passo obbligatorio, doveva per forza di cose essere accompagnato da un ridimensionamento generale di tutta l’organizzazione dell’aerolinea nel suo complesso.

Le sussidiarie low cost delle majors

Ma poichè è impensabile che un’aerolinea classica possa divenire low cost da un giorno all’altro (e d’altra parte non era questa di certo la soluzione per far uscire le majors dalla crisi in cui già versavano),  qualcuno è ricorso ad un vecchio trucco di questa industria: creare la propria sussidiaria low cost.
Vettore antesignano di questa politica può essere considerata la British Airways con la sua GO la quale fu però venduta dopo qualche anno, nel 2002, alla Easyjet.
Qui i pareri si divisero clamorosamente. C’è infatti chi disse che, tenendo conto del successo ulteriore che ha caratterizzato questo mercato, la British Airways  commise un madornale errore nel venderla, c’è chi invece chi sostenne che non ha senso per una linea aerea regolare cannibalizzarsi da sola, creando una aerolinea che vola a tariffe più basse dove già opera la compagnia madre.
Decisamente se negli anni sessanta di fronte al fenomeno charter, tutte le principali aerolinee internazionali ebbero buon gioco nel fondare la loro affiliata di voli a domanda la quale operava su destinazioni differenti da quelle di linea,  la similare tentazione per una majors di fondare una sussidiaria low cost con la quale farsi concorrenza sulle stesse linee non era certo una brillante trovata.
Con un fenomeno competitivo in crescita e con le finanze che già non brillavano in tempi normali, per le compagnie aeree regolari a questo punto si imponeva  un ripensamento globale del modo di intendere il volo commerciale.
Le previsioni – meglio tardi che mai! – iniziarono ad essere riviste e corrette ed oggi quanto si può ascoltare in ogni convegno e meeting è che “le low cost controlleranno il corto raggio, il futuro del trasporto aereo sarà il point-to-point”.
E qui entriamo più specificatamente nel campo dei possibili, futuri scenari.
Di fatto, da sempre il punto-a-punto è stato, ed è tuttora, il preferito dai passeggeri, non solo per il medio raggio, ma anche e soprattutto per il lungo raggio. Diciamo che purtroppo qui da noi in Italia la mancanza di collegamenti diretti con numerosi paesi stranieri ha reso normale il fatto di dover cambiare aereo su uno scalo straniero, ma la verità è che se dall’Italia si disponesse di un volo diretto senza far coincidenza in punti intermedi, tutti lo preferirebbero. E questa considerazione vale anche per altre nazioni.
Scoprire quindi oggi che il futuro del trasporto aereo è il point-to-point è aver fatto la scoperta dell’acqua calda.
Le low cost controlleranno il corto raggio? Su questa asserzione si può concordare pur con qualche distinguo.
Il successo del fenomeno low cost in Europa, come negli Usa, è strettamente correlato all’avvio della deregolamentazione attuata in entrambe le regioni. Una Ryanair, così come qualsiasi altro vettore low cost, non avrebbe potuto svilupparsi e crescere in un mercato ancora controllato da accordi bilaterali. Si può ritenere quindi che le low cost trovino terreno fertile laddove i mercati sono liberalizzati in pieno, ma esse troveranno difficoltà di consolidamento laddove vigano ancora accordi basati sui bilaterali.
Lo sviluppo delle low cost e l’aspetto del punto-a-punto sono due fattori che introducono inevitabilmente al problema, da troppi sottovalutato, dell’estinzione del multilateralismo.
Si vuole con ciò intendere che tutti quegli accordi che permettevano a un passeggero di poter viaggiare con un unico documento di viaggio valido per più vettori, su più settori in coincidenza, è venuto progressivamente a scomparire.
Tutte le compagnie low cost emettono ricevute-documenti (che sostituiscono il biglietto che in pratica non esiste) validi soltanto sui loro servizi. Possibilità di coincidenze e interscambi con altri vettori sono sempre più rari.

Tramonto del multilateratismo

Poiché le tariffe scontate  sono ormai applicate da tutti i vettori ed anche quelli regolari sono riluttanti a “chiudere” biglietti su altre compagnie con le quali non vigono accordi particolari, possiamo concludere che l’effetto più eclatante delle low cost è quello di aver messo ko il sistema multilaterale, già ampiamente ridimensionato dalle tariffe scontate applicate dalle aerolinee regolari.
Su questo particolare aspetto svolgono un’opera positiva le cosiddette alleanze, le quali oggi rimangono l’unico strumento che permette ad un passeggero di acquistare un biglietto multisettoriale chiuso su diversi vettori, purchè essi – per l’appunto – appartengano al medesimo raggruppamento.
Poiché la multisettorialità  è uno strumento indispensabile ai frequent flyers, tipologia business, l’azione che le alleanze possono svolgere su questo specifico versante è molto importante.
Troppo spesso, infatti, esse vengono viste solo come un mezzo per accumulare buoni-miglia o come possibilità  per essere accomodati nelle lounges aeroportuali, mentre nessuno mette in evidenza che le alleanze sono oggi l’unico strumento per poter ancora disporre di un biglietto “chiuso” su più vettori.
Questo è un aspetto determinante che senza dubbio avrà la sua valenza sul futuro delle alliances e dell’aviazione commerciale in generale poiché è impensabile che proprio in questo periodo storico si ritorni al biglietto vendibile solo per un singolo vettore, e chi ha la necessità di dover proseguire in coincidenza  debba provvedere a comprare un secondo biglietto con un’altra aerolinea.
Alla luce di quanto fin qui detto, appare chiaro che il futuro dell’industria aerea commerciale vedrà le compagnie low cost consolidarsi su regioni liberalizzate, attive sui settori a corto-medio raggio; esse soprattutto dovrebbero attrarre traffico “terminale” che non ha cioè necessità di interscambi o di coincidenze; è in questo senso che deve essere inteso il concetto del punto-a punto di cui oggi tanto si parla.
Le correnti di traffico che necessitano  di scambi confluiranno sui vettori tradizionali i quali tenderanno sempre più a raggrupparsi in alleanze. Nell’ambito di questi raggruppamenti, che non debbono venir visti come l’anticamera di fusioni ma più semplicemente come pool marketing, il passeggero avrà la possibilità di usufruire del servizio di cambio vettore/coincidenza che rimarrà un fattore inprescindibile nel campo del trasporto aereo.
In altre parole, caduto il cartello IATA e venendo meno tutti gli accordi che ad esso si rifacevano, la possibilità per una aerolinea (o agente) di emettere biglietteria facendo in essa apparire settori di più vettori, è anch’essa decaduta.  A questo punto, poiché sarebbe un regredire il non disporre dell’agevolazione di comprendere in una singola transazione più vettori e più settori, gli accordi interlinea stipulati nell’ambito delle alleanze, sono destinati a rappresentare l’alternativa più promettente nell’immediato futuro scenario.

Lo strumento delle classi di bordo

A ben guardare, un volo low cost altro non è che un collegamento aereo offerto ad una classe inferiore.
E a nostro parere, è proprio lo strumento delle classi che non è stato affatto considerato dalle aerolinee, quale risposta alla sfida delle no-frills.
Chi vieta infatti ad una major di suddividere le classi di servizio in modo tale da riservare un numero di posti a chi vuol viaggiare pagandosi il catering e senza possibilità di rimborso nel caso rinunci al viaggio ?
L’esperimento SAS va senz’altro citato in tal senso come una interessante possibilità per un vettore regolare, di proporsi come concorrente delle aerolinee a basso costo.
Dal primo novembre sui collegamenti europei del vettore scandinavo è entrato in servizio un sistema basato su tre classi di prenotazione.

* Economy; per chi considera principalmente il prezzo.
* Economy flex; per chi richiede ampia flessibilità.
* Business; per chi desidera il massimo comfort e un servizio elevato.

In pratica viene adottato il principio di introdurre la classe low cost nell’ambito di un servizio operato da un vettore tradizionale.
Le classi di bordo fino ad oggi sono state usate in maniera sbagliata dai vettori; lo avevamo già più volte sottolineato nel passato.
Non vi è nessuna logica nell’imbarcare nell’ambito della stessa classe economica passeggeri a tariffe differenziate basandosi su una suddivisione arbitraria della stessa in più sottoclassi; molto più coerente è invece far pagare una congrua tariffa uguale per tutti coloro che vengono accomodati nella stessa classe e che pertanto usufruiscono del medesimo servizio di bordo.
In tale ottica e alla luce delle considerazioni fin qui svolte, l’esperimento SAS andrà seguito attentamente in quanto esso potrebbe essere la soluzione più logica per le compagnie regolari di rispondere alle nuove sfide lanciate dai vettori a basso costo.

Antonio Bordoni