Forse, tutto sommato, non vi è da essere molto fieri delle trasformazioni che hanno caratterizzato negli ultimi anni il mondo degli utenti, ossia di tutti noi, per portare avanti il mito della concorrenza.
Dunque, immaginiamo di trovarci in una grande sala di fronte ad una vasta platea di pubblico formato sia da giovani in procinto di affacciarsi sul mondo del lavoro, sia dai loro genitori prossimi a lasciare l’attività lavorativa. Una platea di persone quindi composta da chi ha già provato l’esperienza lavorativa, e da chi si accinge ad entrarvi.
Dal palco viene lanciata la seguente domanda:

Se voi tutti poteste scegliere, o vi fosse comunque data la possibilità di scegliere, tra un vivere, lavorare, operare in un mondo ove voi e i vostri figli potete contare su un lavoro stabile, ragionevolmente  sicuro, quale è stato ad esempio quello dei genitori qui presenti  fino a qualche anno addietro, ma nel quale un biglietto aereo costasse “caro” causa scarsa concorrenza;
o in alternativa voi poteste scegliere per un lavoro instabile, precario il quale però vi desse la possibilità, nel momento in cui  dovete fare un viaggio in  aereo, di pagare soltanto una tariffa di pochi euro, ebbene, per quale dei due mondi optereste?

Poiché questo articolo viene proposto nell’ambito di una testata diretta al mondo dei viaggi e turismo, abbiamo esplicitato la domanda con l’esempio del biglietto aereo; se esso fosse stato indirizzato ad una testata che si occupava di telecomunicazioni avremmo potuto proporre, al posto della tariffa aerea scontata, la tariffa telefonica scontata; il concetto comunque rimane immutato e crediamo sia alquanto chiaro: a cosa ci ha portato il mito della concorrenza, e soprattutto a quale prezzo esso è stato ottenuto?
Chiariamo eventuali obiezioni.  Nessuno vuole mettere il carro di traverso sulla strada del progresso tecnologico; nessuno intende prendersela con il PC e su cosa esso abbia innovato in termini di modalità di vendita, nel nostro caso, del prodotto viaggi & turismo, ma come chiunque può ben comprendere, le vendite via Internet se possono spiegare il cambiamento nel riuscire a concludere dalla nostra abitazione una operazione per la quale prima ci recavamo a un esercizio commerciale, ben poco hanno a che vedere con il fatto che il prodotto acquistato viene messo in vendita  a prezzi tali da mandare a casa il 90 per cento dei dipendenti dell’industria che lo produce e costringendo i concorrenti a doversi adeguare alla corsa al ribasso. E questa considerazione, sarà bene precisarlo, non vale solo per il fenomeno low cost aereo, ma si può esportare ad ogni settore ove è subentrato il clima della competitività.

I due concetti tuttavia, quello dell’inarrestabilità dell’evoluzione tecnologica da una parte e delle tariffe ultrascontate dall’altra, differiscono notevolmente, ma forse è propria una loro erronea correlazione a generare un equivoco di massa sul quale vale la pena soffermarsi.

E’ vero, l’Alitalia dei tempi monopolistici faceva pagare la tariffa Roma-Milano, e non certo solo questa, a un prezzo troppo elevato, e in quegli anni aveva come solo concorrente il treno.
Ma l’Alitalia di quegli anni dava un lavoro “sicuro” a 22.000 dipendenti, fornendo stabilità e certezza del domani a tutte le loro famiglie, coniuge e figli compresi.
Il prezzo troppo alto del biglietto aereo che gravava sull’utente, aveva una sua contropartita nei posti di lavoro con carattere stabile e salari che permettevano di “vivere” e non di “sopravvivere”.
Val la pena anche sottolineare che in quegli anni “d’oro” per l’aviazione civile, i bilanci Alitalia non erano affatto disastrati come oggi.  Ma indubbiamente, se ci limitassimo a dire che tutto sommato era meglio un biglietto costoso, in cambio della sicurezza economica fornita alle famiglie dei dipendenti Alitalia, diremmo una grande eresia e meriteremmo di venir tacciati di disonestà intellettuale.

Allora spostiamoci sul versante dell’utente, e ricordiamo come esso a fronte di un biglietto “caro”, poteva contare sulla riprotezione ad altre compagnie in caso di disruption, sull’assistenza alberghiera  se il ritardo si prolungava eccessivamente, disponeva di pasti e bevande a bordo gratis, poteva inoltre contare – nelle principali città servite – di una rete agenziale che forniva assistenza “diretta” e personale su ogni possibile aspetto del volo,  poteva ottenere il rimborso del biglietto senza la trattenuta di esose penali…e ci fermiamo qui per amor di spazio.

Quindi, come si vede, la tariffa “cara” non recava vantaggi ai soli dipendenti della compagnia, ma si traduceva in una assistenza di qualità nei confronti del passeggero che la acquistava.

A giugno di quest’anno l’Enac ha emesso un verbale di contestazione, con relativa sanzione, nei confronti di un vettore low cost il quale, a fronte di un volo schedulato alle ore 20.45 e partito alle 12,00 del giorno successivo, aveva fornito ai passeggeri solo un buono per consumazione al bar.

Tutto ciò porta alla conclusione che forse, tutto sommato, non vi è da essere molto fieri delle trasformazioni che hanno caratterizzato negli ultimi anni il mondo degli utenti, ossia di tutti noi, per portare avanti il mito della concorrenza.

Anche il settore telefonico era svolto da un unico operatore, anche qui si è  intervenuti per permettere l’accesso a più attori. Ebbene, è di questi giorni la storia della tassa sulla ricarica, o dei tempi biblici che occorrono per poter avere collegamenti anche con nuovi operatori, o la scoperta che i concorrenti che dovevano salvare l’utente dal monopolista sono quelli che ti fanno pagare cifre elevate per conoscere un numero di telefono (i  servizi di informazione telefonica una svolta svolti dal numero “12”).  E tutto ciò mentre, anche in questo caso, migliaia di posti “sicuri” non esistono più.

L’entrata di più attori in un determinato comparto significa un drastico taglio delle tariffe al quale, come abbiamo esposto, non necessariamente corrisponde un aumento di qualità, ma che tuttavia produce come inevitabile conseguenza l’impossibilità di assicurare contratti di lavoro a tempo indeterminato con salari che permettano ai dipendenti di sbarcare il lunario, e quest’ultimo punto, va sottolineato, malgrado la concorrenza abbia realmente stracciato  prezzi  e tariffe di alcuni servizi e prodotti.

Ma, come traspare chiaro dai nostri esempi, ad un abbassarsi delle tariffe di vendita non può non corrispondere un abbassamento della qualità o comunque dei servizi offerti. Vi è anche chi, di fronte a queste considerazioni, risponde avvertendo come scopo primario del mezzo aereo era quello di portare il passeggero da una località all’altra, e tutto il resto era superfluo. E’ un discorso accettabile ma nell’ambito di limiti ben precisi, ossia fino al momento in cui tutto procede nella norma. Ma le differenze con relativi disagi, sorgono poi in caso di ritardi o altri imprevisti meteorologici, che purtroppo sono sempre in agguato dietro l’angolo.

Un altro fenomeno merita di venir ricordato. L’istituzione di numerose rotte low cost non corrisponde ad una esigenza di traffico trascurata dai vettori tradizionali, ma semplicemente alla soddisfazione degli appetiti degli aeroporti i quali, pur di vedere aumentare il numero passeggeri e aeromobili che su di loro transitano, come è noto, sono disposti a fare generose concessioni agli operatori no frills. A tal proposito rimandiamo il lettore al nostro articolo (1) circa le “insoddisfazioni” delle comunità locali per gli scali secondari che operano nel loro territorio.

E allora, rinnoviamo la domanda alla platea: se ve ne fosse data la possibilità,  quale delle due opzioni scegliereste?
Se ora diamo uno sguardo alla forza lavoro delle compagnie low cost e prescindendo dalla qualità del rapporto di lavoro, volendo con ciò intendere tipo di contratto e salario, ci soffermiamo solo alle cifre riguardanti la forza lavoro che queste compagnie hanno creato, vi è da rimanere sbalorditi e sconcertati, dipende da quale punto di osservazione il problema viene affrontato.

Dati ELFAA(*) anno 2006

Impiegati delle 11 compagnie low cost rappresentate:    14.000
Passeggeri trasportati:                    106.000.000

Media passeggeri per ogni impiegato            7.500

(*) vettori aderenti ELFAA:
EasyJet – Flybe – Hapag Lloyd Express – Myair.com – Norwegian – Ryanair – Sky Europe – Sterling –
Sverigeflyg – Transavia.com – Wizzair .

Le undici maggiori compagnie low cost europee (aderenti all’Elfaa – European Low Fares Airline Association) con una forza complessiva di 14.000 dipendenti hanno dichiarato 106 milioni di passeggeri trasportati nell’anno 2006. Una media di 7.500 passeggeri a dipendente.
Andando sul versante delle compagnie tradizionali, la American Airlines, la prima compagnia aerea al mondo per numero passeggeri trasportati (Iata), nell’anno 2005 con una forza lavoro di 73.495 dipendenti  ha portato 98.038.000 passeggeri; la Lufthansa prima compagnia aerea europea nella stessa graduatoria, ha trasportato 48.958.000 con  92.303 dipendenti: una media di 133 passeggeri/dipendente per la prima,  530 per la seconda.
La disparità dei valori in campo è sotto gli occhi di tutti, né ad alleviare l’amara pillola è il particolare che nel caso Elfaa sono 11 le compagnie coinvolte, mentre nel caso di LH / AA stiamo parlando di singoli vettori.
Infatti se analizziamo singolarmente i due maggiori vettori low cost, Ryanair e EasyJet avremo i seguenti dati:

pax anno 2006        pax per dipendente
RYANAIR:    3.453 dipendenti (31/3/2006)          40.500.000              11.729
EASYJET:    4.859 dipendenti (30/9/2006)        33.700.000              6.936

Quindi, anche comparando singolarmente una low cost con una compagnia tradizionale, la forbice dei valori non è assolutamente comparabile, stante il divario dei valori.
Al di la comunque delle mirabolanti cifre dichiarate da low cost e aeroporti, alcuni fatti – oltre quelli già espressi sulla occupazione – sono evidenti.

Quando in un negozio si svolgono vendite a saldo, la gente finisce per comprare anche quello di cui non abbisogna realmente, così quando le low cost aprono collegamenti tra città secondarie (dal punto di vista della geografia aeroportuale) il traffico finisce per auto-generarsi in virtù dei prezzi allettanti a cui vengono offerti i posti a bordo, e non perché effettivamente fra le city pairs in questione si ravveda la necessità di quel collegamento.  E’ di questi giorni la notizia, ma non è certo un caso isolato, che un nostro gestore del sud  intende lanciare una gara per rafforzare il  traffico low cost.

Ebbene, questo è l’ambiente in cui le low cost prosperano e si sviluppano: “le società di gestione sono galline dalle uova d’oro per enti locali e camere di commercio. Tutti vogliono lo scalo sotto casa e allontanano gli investitori che non mancherebbero se ci fosse un piano di lungo periodo…” (Monthly Logistic, marzo 2006, intervista  a Vito Riggio, presidente dell’Enac”.)

E quella della proliferazione degli aeroporti, senza un coordinamento centrale, si sta rivelando davvero una politica insensata.  In uno scenario globale in cui si cerca di limitare l’uso delle emissioni nocive, in un ambiente in cui aumenta la insofferenza delle comunità locali verso l’inquinamento acustico, è assurdo che nessuno si ponga il dilemma se non sia il caso di considerare, al posto di collegamenti diretti fra un aeroporto “periferico” con Shannon, Dublino, Parigi, Londra o New York, che il traffico sugli aeroporti secondari venga invece limitato solo ed esclusivamente a traffici locali verso hub, dai quali il passeggero possa poi imbarcarsi sul volo per la sua destinazione finale.

E’ un dato di fatto incontestabile: fino a oggi le low cost hanno provocato l’insorgere di una miriade di interessi locali, onde soddisfare i quali si è finito per minare l’interesse collettivo nazionale.
Se a tali considerazioni  aggiungiamo, nel caso delle low cost, i tempi di percorrenza sull’aeroporto solitamente più distante, e il denaro (e tempo) che si spende per il servizio di superficie città -aeroporto, non poco dell’attractive appeal delle low cost viene a perdere lo smalto. Rimane inoltre sempre aperto, in quanto mai definitivamente chiarito, l’aspetto dei rimborsi in caso di biglietto non utilizzato; su questo specifico argomento vi sono alcune compagnie low cost che oltre a non rimborsare alcunché della tariffa aerea, negano al mancato passeggero il rimborso delle tasse che gravano sul biglietto. Anche questo è un punto che i passeggeri e le associazioni consumatori farebbero bene a ponderare.

Non vi è dubbio: stiamo andando verso un mondo sregolato, autodistruttivo, che crea business su bisogni assai discutibili, e tutto in nome di sua maestà  la concorrenza.

Antonio Bordoni