di Eleonora Boggio

Un’altra volta il cielo che avrà come epilogo il sogno di Salgari. Quegli orizzonti dove la sua fantasia si abbandonò traducendo in parole la saga dei cacciatori di teste e degli scontri, a colpi di kris nella cornice della foresta pluviale, di Sandokan: la leggendaria tigre della Malesia. La destinazione da raggiungere il Sabah, regione a nord del Borneo dalla miriade di eco-tesori e dalle leggende tramandate nel corso dei millenni. Un paradiso tropicale dove la jungla risuona del richiamo dell’hornibills e l’aria è intrisa dell’odore acre della rafflesia. Un luogo sognato, vagheggiato e assaporato nella forma edulcorata del parco del Taman Negara, nella penisola malese e che ora sarebbe diventato realtà. Avrei incontrato il selvaggio padrone del Borneo, come è chiamato dai locali l’orango e mi sarei ritagliata un’escursione nella foresta pluviale più antica del mondo che con i suoi 140 milioni di anni all’attivo strizza l’occhio a quella amazzonica, virgulto di soli 60 milioni di anni.

Questi i pensieri che si affollavano come fotogrammi impazziti all’imbarco del volo Malaysia Airlines che dopo un veloce scalo a Kuala Lumpur mi avrebbe portato in poche ore di volo ai piedi del Kinabalu: gigante granitico di 4095 metri.

Kota Kinabalu: over the top

Il morbido paesaggio solcato dalle verdeggianti risaie a gradoni di Bali lascia così spazio al labirinto della foresta pluviale che, vista dall’alto, sembra ancora più intricata di quanto in realtà sia. Diecimila metri più in basso si nasconde un ecosistema intatto ed unico nella sua bio-diversità dove cacciatori di teste scrutano dall’alto delle loro longhouse chi si aggira nella radura e macachi cleptomani frugano curiosi negli zaini di chi si avvicina loro.

Il Sabah, è uno dei tredici stati della confederazione malese che si affaccia sull’infinito orizzonte del Mar della Cina Meridionale con i suoi 1500 chilometri di costa. Ad incorniciare quest’ultima una miriade di isole che ospitano parchi naturali e villaggi di pescatori. C’è un motivo per cui il Sabah è chiamato “la terra sotto vento” complici i monsoni che la graziano dalla loro violenza. Qui il mare è morbido, riparato com’è dall’abbraccio delle Filippine e del Vietnam: l’irruenza dell’Oceano Indiano ha lasciato spazio ad onde lunghe e rassicuranti la cui coltre ospita una delle barriere coralline più belle al mondo. Anche le tartarughe verdi, giganti dei mari, hanno adottato le coste del Sabah per depositare le loro uova dando inizio ad un nuovo cerchio della vita. “Ho visto altri luoghi simili a Sipadan più di quarantacinque anni fa e non credevo potessero ancora esistere”. Le parole del viaggiatore dei mari Cousteau mi rimbombano in testa mentre la pista illuminata dell’aeroporto di Kota Kinabalu si fa sempre più vicina.

La parola d’ordine, da questo punto in poi, imporrà di dimenticare comfort e lusso. Un ultimo satay siglato da un brindisi a bordo del fiammante 737 di Malaysia Airlines e pronti per cavalcare la vera avventura: il Borneo è alle porte.

Sutera Sanctuary Lodges: cinque stelle a piedi del KK

Capita talvolta che le sensazioni, nate dalle deduzioni, non si trasformino in realtà. Immaginavo già di trovarmi con un machete in bocca a farmi strada tra una selva di liane combattendo con sanguisughe e serpenti corallo quando a dieci minuti dall’aeroporto di KK appare un miraggio. Nonostante sia notte il Sutera Sanctuary Lodges riluce in tutta la sua imponenza. Il buio non occulta il fascino del resort, anzi lo enfatizza. Al complesso appartengono due cinque stelle: il Pacific Sutera, cornice ideale per convention ed incentive con le sue 500 stanze e suites, e il Magellan Sutera dedicato nel nome al viaggiatore per antonomasia. Una lobby en plein air simile nella struttura architettonica ad un’immensa long house accoglie il visitatore. L’hotel vanta 456 stanze tutte dotate di balconi privati e finestre panoramiche per permettere un colpo d’occhio mozzafiato sul porto privato o sulle piscine. L’intrattenimento è uno dei fiori all’occhiello del resort che comprende campi da tennis coperti e non, un teatro, campi di squash, badminton e bowling. Last but not least, un campo da golf di 27 buche che ha fornito la cornice ideale per l’Amateur Open Championship del 2005: prestigiosa competizione golfistica che raccoglie le migliori giocatrici asiatiche. Un soggiorno non sarebbe completo se non fosse dato spazio al benessere. Bellezza e relax sono le cifre che contraddistinguono la Mandara Spa dove sarà un piacere abbandonarsi ad un massaggio defatigante o ad una seduta di riflessologia plantare.

 

L’@tmosphere di KK

Per vivere appieno l’esperienza di un tramonto mozzafiato viene incontro @tmospere ristorante collocato al diciottesimo piano del Menara Tun Musthapa, torre di cristallo che ruota intorno ad un perno. È questo il motivo che rende possibile abbracciare una visione a 360 gradi della baia e la potenza di uno skyline di inaudita bellezza. Lo stile fusion della cucina ben si adatta alla cornice del ristorante che sembra uscito da una serie degli anni settanta. Chaise longue dalle tinte pop e tavoli di plexiglas incorniciano quello che potrebbe essere il set di un film di James Bond. Forse è questo il motivo per cui il Martini sembra essere il cocktail migliore da assaporare aspettando che il fuoco dell’orizzonte si tinga di blu.

Tunku Abdul National Park: tra tartarughe e megattere

Dall’@tmospere mondana a quella della natura nella sua epifania più completa. Raggiungiamo a bordo di una lancia il Tunku Abdul Rahman Park Island. Il tutto con un breve viaggio che dal piccolo molo del resort porterà ad un parco marino di grande impatto. Il sole fa capolino ed illumina un cielo terso reso ancora più luminoso dal violento riverbero sull’acqua. L’isola di Sapi, uno dei cinque gioielli che appartengono al parco, è la sede del museo oceanografico dove vengono condotti studi sulle migrazioni delle tartarughe e classificate le specie del Mar della Cina Meridionale. Il reef è qui caratterizzato da correnti morbide che lo rendono location ideale per i divers. Pesci scorpione, palla, e gamberi sono solo alcuni degli ospiti di queste acque tanto belle da essere adottate anche dalle ritrose tartarughe “hawksbill” che, curiosamente, si riproducono soltanto nel luogo dove sono nate. Se ci si immerge si ha il privilegio di vederle che si muovono come ballerine a pelo d’acqua. Per aspettarle alla sera, sulla spiaggia, dove depositeranno le uova con un rito che prevede di scavare un buco e poi ricoprirlo prima di rituffarsi ancora nell’infinito blu.

Sepilok: alla ricerca dell’anello mancante

Il Sabah, non è però esclusivamente sinonimo di acque meravigliose. Cifra distintiva di quest’isola è la foresta pluviale più antica al mondo. E qui arriva il bello: anzi, qui abita il bello. È l’essere che ha il 96,4% di geni uguali all’Homo Sapiens Sapiens. Il suo nome scientifico è “Pongo Pygmaeus” anche se è meglio noto come orango. A Sandakan, nella costa nord orientale, ne esiste una vera colonia. Dal 1964 è stato infatti istituito il centro Sepilok, il parco più grande al mondo dedicato a questa specie in via d’estinzione a causa della caccia, piantagioni abusive, taglio del legname e bracconieri privi di scrupoli. 42 sono gli anni passati dalla sua fondazione ed oggi come ieri si provvede allo svezzamento dei cuccioli prendendosi cura dei piccoli orfani allattandoli e abituandoli ad un lento ma progressivo reinserimento all’interno della jungla. Due gli appuntamenti per poter avvistare il nostro cugino primo: alle dieci di mattino o alle tre di pomeriggio. Lo spettacolo è emozionante, gli oranghi vengono avvicinati con l’esca del cibo. Avanzano fino al latte e agguantano le banane distribuite dagli addetti lungo una serie di piattaforme collocate all’interno del parco. È impossibile non riflettere sulle somiglianze che questi primati hanno con l’uomo. Stesso luogo, stessa ora proprio come noi alle prese con la famigerata pausa pranzo. D’accordo che al cuor non si comanda e alla pancia ancora meno, però queste affinità inducono a pensare che la genetica non è un’opinione. I turisti scattano curiosi cercando di siglare con un’istantanea uno spettacolo unico nel suo genere. Nessuna foto sarà però come vivere quest’emozione in prima persona nel cuore della jungla. Mentre il dentato Kinabalu dall’alto dei suoi quattromila metri sorride complice supervisionando, in qualità di testa del Borneo, il cerchio della vita dei nostri cugini primi.

Eleonora Boggio