E non lo è soprattutto, sarà il caso di precisarlo subito, nel continente europeo ove in questi ultimi tempi i nodi vengono al pettine. Al centro delle discussioni non è il modello low cost, non sono le compagnie no-frills  ma l’attuale scenario in cui operano i vettori. In molti avevano lanciato avvertimenti: volete deregolamentare questo settore? Lo distruggerete perché le compagnie aeree per operare hanno bisogno di agire in un campo livellato. Celeberrimo è rimasto l’anatema di Bob Crandall,  allora alla guida di American Airlines, indirizzato nel 1977 al Senato Usa: ““You fucking academic eggheads! You don’t know shit. You can’t deregulate this industry. You’re going to wreck it. You don’t know a goddamn thing!”

E l’estate appena trascorsa è stata caratterizzata da eventi che dimostrano come ormai l’aviazione civile nel suo complesso sia in pieno “pallone” con compagnie aeree dai bilanci in rosso, altre che chiudono, e inviti a rispettare regole uguali per tutti, parole quest’ultime che, pronunciate in un continente ove non si muove paglia se prima essa non sia passata sotto lo screening dei watchdog comunitari, suonano davvero come una beffa.

Il tutto accompagnato dai soliti riflettori puntati sulla compagnia simbolo del modello low cost europeo, Ryanair, l’aerolinea che più di ogni altra ha mandato in soffitta il “bon ton” in auge nei tempi d’oro delle aerolinee, l’aerolinea che volenti o nolenti è divenuta la numero uno per numero passeggeri internazionali trasportati.  Per quest’ultima le cronache hanno registrato i tre “mayday” lanciati da altrettanti aerei sui cieli di Valencia, il rinnovato tentativo di scalata azionaria nei confronti di Aer Lingus, fino a giungere alla immancabile indagine sui presunti aiuti illegali forniti dagli scali; su quest’ultimo argomento di certo tutto si può dire tranne che sia uno scoop.

 

Sulle tre emergenze di Valencia sarà l’agenzia investigativa spagnola AESA che appurerà se le regole sul carburante e relative riserve stabilite dai regolamenti sono state osservate o meno, mentre per quanto riguarda il “level playing field” in pratica di esso si è parlato grazie all’analisi avviata dal nostro vettore Meridianafly  il quale dopo aver parlato di “unfair competition” ha iniziato a prendere le distanze da alcuni aeroporti nazionali per le concessioni da essi fornite alla compagnia irlandese; ”bisogna partire ad armi pari altrimenti finisce il gioco” ha dichiarato Giuseppe Gentile a.d. di Meridianafly.  Infine va segnalato un servizio del settimanale “Panorama” con tanto di copertina dedicata alla compagnia irlandese, ripreso ampiamente dai mass media.

 

Come è possibile che in una Europa super deregolamentata ove ogni vettore, in teoria, gode della massima libertà operativa accadano scontri di questo tenore?  Ed ancora altra legittima domanda da porsi è come sia possibile che tutto ciò accada a 8 anni di distanza dalla prima sentenza su Charleroi commentando la quale l’allora presidente della Iata, Giovanni Bisignani, ebbe a dichiarare che l’associazione “era lieta di vedere che i governi si sono adoperati per eliminare le distorsioni al mercato causate dai sussidi aeroportuali.”

Né cambia il succo della questione ricordando che nel dicembre 2008 il Tribunale Europeo di prima istanza ribaltò la sentenza della Commissione trovandola inficiata da un vizio di forma.  Il punto che in questo contesto va ribadito è che tutte queste battaglie sugli aiuti forniti dagli aeroporti avvengono in presenza di sentenze che in un certo qual modo hanno costituito un precedente, un punto di riferimento a cui rifarsi (per chi vuole approfondire:  Travelling Interline 12 aprile 2011 “ Charleroi, seconda puntata”) e alla luce di tali considerazioni le polemiche sull’argomento appaiono ancora più incomprensibili.

 

Un’estate rovente quindi sotto molti punti di vista. Il punto comunque su cui si può concordare è che il campo è lungi dall’essere livellato; aldilà delle apparenze fornite da regole e regolamenti imposti dai burocrati di Bruxelles è forse vero che  nell’aviazione civile vi era più equità allorchè vigevano i bilaterali, che non oggi che tutto è deregolamentato.  Non vuol essere una battuta di effetto, ma è la odierna realtà operativa nella quale si muovono i vettori.  Prima della deregulation sia che un Paese fosse da terzo mondo, sia che esso fosse una superpotenza, nelle relazioni aeree fra le due nazioni  tante frequenze e capacità aveva il vettore di una parte , quante ne aveva quello dell’altra.  Oggi in Europa capacità e frequenze sono liberalizzate ma è chiaro che l’aerolinea appartenente a un Paese, tanto per fare un esempio,  ove il regime fiscale e contributivo è più leggero, si troverà enormemente avvantaggiata nei costi operativi che non l’aerolinea di altre nazioni. Il bilancio (italiano) 2011 di Alitalia mostra che a fronte di  una spesa di salari e stipendi di 546 milioni di euro la compagnia ha avuto ulteriori 117 milioni di costo per oneri sociali; il bilancio (irlandese) di Ryanair mostra che a fronte della voce “Staff e related cost” di 395 milioni vi sono stati “social welfare costs” per 18.1 milioni di euro.  Le cifre si commentano da sole; abbiamo volutamente messo in risalto i termini “italiano e irlandese” per meglio evidenziare le incongruità dell’attuale situazione:  se questo è lo scenario che vige sul solo versante fiscale, come si può pensare che  vettori comunitari appartenenti a differenti nazioni possano operare a pari livello?  Ecco perché avvertivamo che forse vi era più equità negli anni in cui, pur in presenza di questi dislivelli nazionali, ogni vettore poteva però operare tante frequenze quante ne poteva operare l’altro.

Come si vede non c’è nemmeno bisogno di addentrarsi nel campo dei sussidi aeroportuali per accorgersi che nella UE vigono asimmetrie che mettono alcune nazioni in condizioni impari rispetto ad altre e che pure meritano di venir evidenziati.

Venendo comunque a toccare l’argomento dei sussidi aeroportuali vi sono, come abbiamo detto, precedenti cui rifarsi i cui termini possono venir riassunti avvertendo che gli aiuti sono fattibili in presenza dell’osservanza del principio dell’investitore privato (MEIP, Market Economy Investor Principle) e purché essi non vengano elargiti in maniera occulta escludendo  altri vettori che ne fanno richiesta.

Saremmo veramente molto sorpresi se una compagnia come Ryanair che già si è confrontata su questi temi con i commissari comunitari affrontando cause e spese legali e la quale ha in corso ben 18 procedimenti investigativi su altrettanti aeroporti, non avesse fatto tesoro dei precedenti giurisprudenziali cui essa stessa è stata parte in causa; su questo argomento è nostra opinione che ci siano da attendersi ben poche sorprese.  Non altrettanto può dirsi invece per le indagini che riguardano lo status fiscale e contributivo cui è soggetto il personale della compagnia irlandese nelle  basi italiane, sotto questo specifico aspetto i precedenti per Ryanair sono stati negativi (Marsiglia) e appare molto difficile che in Italia non finisca per prevalere la stessa linea politica adottata in Francia. Dispiace però annotare che passano i mesi e gli anni e di queste indagini non si vede mai la fine mentre sarebbe necessario, proprio per cercare di “livellare il campo” , arrivare a un punto fermo su tale importante aspetto.

 

Antonio Bordoni