Se c’è una cosa che non ci è mai andata giù nella formazione della cosiddetta Europa Unita è la presunzione che essa ha di voler esportare in casa altrui le regole da essa create;  ci riferiamo ovviamente al settore trasporti e aviazione civile. Un esempio eclatante di ciò che intendiamo ci era stato già fornito nel passato dalla “clausola europea” sui diritti di traffico circa la quale fin dal giugno del 2008 scrivevamo: “ Di certo mettendoci nell’ottica dei paesi extra-UE, minore è la “portata” della nazione, minore a nostro avviso è la voglia di finalizzare questi accordi. Si tenga presente infatti che una sua sottoscrizione significa per l’altrui nazione la possibilità per tutti i vettori UE di attivare collegamenti su quella nazione non solo dai loro hub naturali ma anche da ogni altro Stato UE. Da parte sua il vettore di bandiera (o i vettori di bandiera, se più di uno) di quella nazione potrebbe essere libero di scendere su qualsivoglia scalo comunitario, ma comunque solo provenendo dalla propria nazione. Il particolare delicato di questi accordi è che essi hanno origine da un soggetto – la UE – che di fatto significa più Stati e più aeroporti, mentre la controparte non rappresenta a sua volta una comunità di Stati , ma una singola Nazione. Da quel che è dato sapere, non risultano in corso, in altre parti del globo, fenomeni di aggregazione come quello che ha portato alla nascita del cosiddetto Mercato Comune Europeo. E non è certo un caso che la Commissione Europea per questo suo primo “parto” ha avuto quale controparte un Paese confederato a più Stati, con centinaia di aeroporti aperti al traffico commerciale, con più compagnie aeree: un caso decisamente unico che non si riscontra in nessun altro Stato del mondo. “ (Travelling Interline, giugno 2008, “Aeroporti e accordi Open skies”)

Ora in questi ultimi mesi è in atto uno scontro verbale fra le compagnie aeree europee e le maggiori compagnie aeree del Golfo su un altro fronte assai caldo, quello del traffico a lungo raggio sulla direttrice Europa-Medio/Estremo Oriente-Australia.   Queste rotte per le compagnie europee sono la seconda fonte di traffico dopo il Nord Atlantico, come mostrano i dati diffusi dalla AEA e riferentesi ai primi 11 mesi dell’anno 2010.

Numero Passeggeri periodo GEN/NOV 2010

EUROPA-NORD ATLANTICO                               25.225.000

EUROPA-FAR EAST/ AUSTRALASIA              16.949.000

EUROPA-AFRICA SUB SAHARIANA                 8.093.000

EUROPA-ALANTICO CENTRALE                        6.034.800

EUROPA-SUD ATLANTICO                                    5.381.000

Un primo “assaggio”  di scaramucce  si era già avuto la scorsa estate allorché Pierre-Henri Gourgeon, amministratore delegato di Air France,  aveva avvertito che il ruolo dell’Europa quale crocevia dei traffici era messo a rischio dall’aggressività dei vettori soprannominati “MEB3” ovvero i tre “Middle East Big”  leggasi Emirates, Etihad, Qatar Airways.

I motivi della preoccupazione sono abbastanza intuibili. Le tre mega-alleanze convogliano i traffici provenienti dagli scali di molti Paesi europei verso i tre hub delle alleanze stesse ovvero Londra, Francoforte e Parigi-Amsterdam.  E’ da ricordare come molti  ex vettori di bandiera europei, una volta molto attivi sul lungo raggio oggi hanno rinunciato a tale traffico, o si sono molto ridimensionati, in tal senso basterà citare la compagnia dei paesi scandinavi SAS o la Swissair, oggi sostituita con Swiss, oppure Sabena, anch’essa sostituita da altro vettore,  ed infine anche il nostro vettore Alitalia.

Il fatto di aver condotto questi vettori sotto l’orbita di una delle tre mega-alleanze ha significato anche che tutto il traffico originante dai loro Paesi viene convogliato poi su uno dei tre hub. Tanto per fare un esempio concreto oggi l’Alitalia, che fa parte di SkyTeam, indirizza passeggeri sul Charles de Gaulle per interfacciarsi alla rete a lungo raggio di Air France.

Ebbene se dall’Italia (ma l’esempio ovviamente vale per qualsiasi altro Paese europeo) i tre vettori del Golfo hanno ampia libertà di accesso, appare evidente che una consistente parte del traffico viene instradata verso Doha, o Dubai o Abu Dhabi per proseguire poi su una delle tante destinazioni internazionali del network di questi vettori.

Ma forse l’aspetto che ancor più allarma i responsabili dei tre gruppi è il particolare che i tre grandi del Medio Oriente continuano a fare mega-ordini di velivoli i quali alla fine dovranno venir immessi sulle loro principali rotte. Evidentemente poiché le finanze dei vettori europei permettono ordini molto più limitati, la preoccupazione riguarda lo sbilancio che vi verrà a costituire di qui a qualche tempo quando gli ordini si saranno trasformati in messa in linea, e comunque va ricordato che già oggi i vettori medio-orientali sono molto attivi su parecchi mercati compresa l’Italia.

Diciamo subito che una volta, quando vigevano i bilaterali, il problema non si sarebbe posto dal momento che a prescindere dalla consistenza della flotta, l’accordo stipulato fra governi stabiliva pure una pari ripartizione di frequenze fra i due Paesi e i vettori rispettivamente designati. Ma oggi che tali accordi sono passati di moda e sostituiti con regimi di massima apertura (con il beneplacito e la soddisfazione dei gestori aeroporti) è davvero paradossale apprendere circa lamentele di siffatto genere.

La notizia è di questi giorni: Ulrich Schulte-Strathaus, segretario generale dell’Associazione dei vettori europei (AEA) in una conferenza tenutasi a Washington ha affermato che le tre compagnie in questione rappresentano un nuovo tipo di sfida incompatibile con l’attuale ordine sull’aviazione civile, aggiungendo che  esse “hanno in ordine più posti-widebody  di quelli che attualmente l’intera industria Usa ha nella sua corrente flotta”.

La risposta degli interessati non si è fatta attendere ed essa è giunta tramite un comunicato del Ceo di Qatar Airways, Akbar Al Baker, secondo il quale le affermazioni del segretario dell’AEA sono “incorrette e infondate”  rivolgendo poi una precisa domanda al segretario dell’AEA:  “potrebbe dirmi quale paese del mondo non considera il suo trasporto aereo, sia esso composto da uno solo o più vettori, come non facente parte della suo interesse nazionale ?” Al Baker ha poi proseguito chiedendosi come si dovevano intendere tutti gli innumerevoli sussidi pompati nella casse dei vettori di bandiera europei e Usa dai rispettivi governi nel corso degli ultimi decenni, ricordando anche come gli Stati Uniti siano i primi a non volere che altre nazioni finiscano per controllare i loro vettori.

Come si può vedere i toni sono lungi dal placarsi e non crediamo che questa storia si concluderà in tempi brevi.  I tre maggiori vettori europei, leader delle rispettive alleanze, dopo aver “addomesticato” i  concorrenti europei, ora si innervosiscono di fronte alla concorrenza che viene dalle altre aree del mondo: decisamente uno strano modo di intendere la liberalizzazione dell’industria aerea commerciale.

Quella in corso è una battaglia fra alleanze; sono esse che oggi si ripartiscono il traffico a lungo raggio ed è indubbio che i vettori del cosiddetto MEB 3, sia pure con le loro peculiarità, costituiscano in tutto e per tutto la “quarta alleanza”.  Una alleanza di cui forse il connotato che più da fastidio è il fatto che mentre ormai in Europa e negli Stati Uniti è chiaro che i vettori da soli letteralmente “non ce la fanno”, ci sono invece alcune aerolinee che riescono a crescere, dare un servizio efficiente e andare avanti senza dover ricorrere all’ombrello delle alleanze, attraverso le quali sarà pure vero che qualcosa si risparmia, ma è altrettanto indubitabile che il revenue viene notevolmente diluito.

 Antonio Bordoni