di Liliana  Comandè

Un Paese che spazia dalle unicità che possiede, come il Salto Angel e il Parco Nazionale Canaima, alle Ande. Dalla Gran Sabana alle spiagge bianche e al mare cristallino. Da una flora incontaminata ad un passato glorioso.

“La mia ambizione è la felicità del Venezuela e dell’America tutta, se ciò fosse possibile”. Simon Bolivar

 

Amo molto viaggiare e, per mia fortuna, ho la possibilità di farlo in virtù del lavoro che svolgo. E’ una passione che ho da quando ho iniziato a girare il mondo, quando ancora non facevo parte di questo settore. Io, purtroppo o per fortuna, non sono una vacanziera e, se mi muovo dal mio paese è solamente per conoscerne un altro. Sono molto curiosa per natura ed ho sempre concepito il viaggio sia come un arricchimento culturale, sia come la scoperta di popoli e paesi.

E questo è possibile soltanto quando si sta a diretto contatto con le diversità che, fortunatamente compongono questo nostro pianeta.

Se fossi nata all’epoca di David Livingston, il grande missionario-esploratore britannico, che scoprì anche le Cascate Vittoria, sarei stata una sua fervente sostenitrice (o accompagnatrice) così come lo sarei stata dei grandi poeti del 1.800 che si spingevano nel nostro paese per i famosi “Gran Tour”, tra i quali, mi piace rammentare, soprattutto,  Johann Wolfgang von Goethe, grande scrittore, poeta e drammaturgo tedesco e che, con il suo libro “Viaggio in Italia”, divenne, a sua insaputa, il primo autore di una guida turistica, in quanto tutti coloro i quali amavano viaggiare ne seguirono gli itinerari.

Ricordo che, oltre 20 anni fa, gli italiani che amavano girare il mondo, preferivano visitare e conoscere le bellezze dei paesi piuttosto che rimanere solo a ‘pancia all’aria’ per abbronzarsi.

Sono cambiati i tempi, è vero, ma credo che oggi non molte persone possano essere paragonate al mitico Ulisse dell’Odissea di Omero.

Ulisse, grande personaggio che ha rappresentato quella che dovrebbe  essere l’essenza vera dell’uomo. La  curiosità, il piacere della scoperta, il non perdersi d’animo nell’incontrare popoli sconosciuti, non averne paura e affrontare qualsiasi sacrificio pur di proseguire nella sua conoscenza.

Personalmente amo relazionarmi con gli altri popoli per coglierne l’essenza stessa del loro modo di vivere, conoscere le loro tradizioni, la storia e la loro antica e moderna cultura.

L’invito a visitare il Venezuela è arrivato all’improvviso e senza troppo preavviso, anzi, mi si offriva la possibilità di visitare in un solo viaggio ben 2 Paesi molto interessanti, oltre alla Repubblica Bolivariana del Venezuela, infatti, avrei visitato anche il Nicaragua.

L’invito è venuto direttamente dai 2 Governi e, con grande soddisfazione per essere stata prescelta assieme a pochi cineoperatori e fotografi, come giornalista “scribacchina” per testimoniare le peculiarità e le bellezze dei paesi, ed ho accettato con entusiasmo.

Siamo partiti il 24 ottobre, quando in Italia iniziava ad essere più fresca l’aria, e l’idea di andare in 2 nazioni calde, oltretutto, non mi dispiaceva affatto.

I programmi sembravano interessanti e la curiosità umana e professionale di scoprire nuove nazioni del nostro Universo, era prevalsa – come sempre – sugli impegni lavorativi che avevo in Italia.

PRIMO GIORNO: ITALIA-CARACAS

Abbiamo volato con Iberia – via Madrid – e siamo arrivati a Caracas nel pomeriggio dello stesso giorno.

Abbiamo avuto giusto il tempo di depositare i bagagli nelle stanze, fare una doccia ed abbiamo avuto subito un incontro con il giovane Ministro del Turismo Venezuelano, Alejandro Fleming, il quale ci ha dato il benvenuto ed alcune informazioni riguardanti il turismo nel suo paese e ciò che avremmo visto nel corso del Press Tour.

“La maggiore ricchezza del Venezuela è la popolazione, oltre alle naturali bellezze che possiede – ha esordito il Ministro “C’è molta similitudine fra i nostri 2 popoli, infatti, il Venezuela, dopo la 2a Guerra Mondiale, è stato il 3° paese ad aprire le sue porte agli emigranti italiani.

Ora il nostro Governo sta facendo una grossa promozione affinché le bellezze uniche che abbiamo, possano essere ammirate anche dalle altre popolazioni del mondo.

 

 

Voi visiterete Canaima, dove c’è una comunità che ha preservato il contesto naturale del luogo e anche il Salto Angel, la cascata più alta del mondo.

Apprezzerete il calore del popolo venezuelano, molto tradizionale e molto attaccato alla propria cultura. Ci sono luoghi nei quali non si possono guardare gli anziani negli occhi perché pensano che venga tolta un po’ della loro vitalità.

Apprenderete anche la cultura culinaria venezuelana, semplice e genuina. Sapete cosa significa e da dove proviene il nome Venezuela?

 

In realtà significa “Piccola Venezia, perché è sopra il fiume ed è stato  Amerigo Vespucci ha definirla così quando è arrivato qui e ha visto le case sulle palafitte.

Purtroppo non avrete modo di visitare tutto ciò che ha da offrire al turista il mio Paese: deserti, spiagge, montagne, pianure, natura, flora e fauna notevole, giungle,  ma spero che ciò che vedrete possa piacervi e possiate trasmettere ad altri le vostre sensazioni”.

Bene, l’incontro, nonostante la stanchezza del viaggio, il discorso del Ministro ci aveva ben predisposto e non vedevamo l’ora di iniziare a scoprire il

Paese, come si fa con una perla nascosta in una conchiglia.

Del Venezuela sapevamo che possedeva tantissime bellezze naturali e una grande varietà di ecosistemi che pochi Paesi al mondo possono vantare, parchi andini, la Grande Sabana con i suoi monti più che particolari, le vaste jungle amazzoniche, i tanti chilometri di bianche spiagge nella zona caraibica, il Lago di Maracaibo, il 3° fiume più lungo del mondo : l’Orinoco, tanti animali selvaggi, piante esotiche, stupende isole dal fiume cristallino, un passato glorioso grazie alla storia dell’eroe nazionale Simon Bolivare, infine, due dei tesori unici della terra quali la cascata più alta del mondo: il Salto Angel e il Parco Nazionale di Canaima, uno dei più grandi  e sorprendenti Parchi del continente.

Ma un conto è l’immaginazione ed un altro è “toccare con mano” anche una minima parte di queste meraviglie nella terra i cui primi abitanti furono gli Arauachi , indigeni del Llanos, poi i Caribi e, infine, arrivarono a colonizzare il tutto gli spagnoli che in Sud America fecero “l’asso piglia tutto”, come ben sappiamo sin dai tempi della storia studiata a scuola.

Ci ritiriamo nelle nostre stanze pronti per questa nuova eccitante avventura.

SECONDO GIORNO : CARACAS

Sotto un cielo plumbeo che promette pioggia (sfortunatamente questa non è la stagione secca), riusciamo ad avere un’idea di questa città. Caracas è collocata fra il fiume, che dista appena 30 minuti dalla città, e la montagna dell’Avida – alta oltre 2.600 metri, dalla cui sommità è possibile godere di una vista a 360 gradi della città, è come se fosse all’interno di una grande vallata.

Ha circa 5 milioni di abitanti ed è situata a 800 metri sopra il livello del fiume. Questa posizione le consente di avere un clima gradevole, non troppo caldo, il che fa piacere soprattutto in piena estate.

Caracas è una delle metropoli più attive del Sudamerica ed un grande centro culturale anche per i numerosi eventi a carattere internazionali che vengono organizzati , quale il Festival Internazionale del Teatro, che richiama ogni anno numerosi gruppi teatrali provenienti da ogni parte del mondo.

La città, purtroppo, ha ben poco dell’architettura originaria a causa di un terremoto che nel 1812 distrusse gran parte di quello che era il suo borgo originario coloniale.

Oggi si presenta come una moderna metropoli con alti grattacieli, nuovi avveniristici centri commerciali, barrios, ovvero quartieri sorti spontaneamente nelle colline, cove ci sono le cosiddette ‘ranchos’, che, però, essendo state quasi tutte riverniciate all’esterno, sembrano tanti agglomerati di piccole case molto ben lontane dal somigliare alle favelas che siamo abituati a vedere in altri paesi.

La capitale è un misto di contraddizioni, come ogni altra grande città, ma proprio per questo è anche molto seducente.

Larghe strade si alternano a piccole viuzze, case coloniali a parchi, Chiese a piazze, ristoranti a bar e negozi e la cosa che colpisce è soprattutto il verde che spicca tra le abitazioni e nei dintorni di Caracas tra cui emerge, per importanza, il Parco Nazionale Avila, vero polmone della città, nel quale si trovano ben 200 specie di volatili, mammiferi e rettili.

Iniziamo il percorso di Caracas storica a piedi iniziando con la visita della casa coloniale dell’eroe nazionale Simon Bolivar Simón Bolívar, detto El Libertador, rivoluzionariovenezuelano che contribuì in misura determinante oltre che all’indipendenza del Venezuela, anche a quella della Bolivia, dell’Ecuador, del Perù, della Colombia e di Panama.

E’ sinceramente molto emozionante vedere gli ambienti dove è nato e vissuto, alcuni oggetti personali e mobili che gli sono appartenuti.

La casa è molto bella, piena di dipinti alle pareti che ne illustrano un po’ la vita. Sembra quasi una presenza viva ed è forte quest’impressione.

E’ qui che è vissuto colui che 200 anni fa combatté per la libertà del suo paese e di alcuni del Sudamerica, riuscendoci.

Attaccato alla casa, c’è il Museo Bolivariano, piccolo ma interessante da visitare e nel quale, oltre agli oggetti che erano di sua proprietà, ci sono statue in legno, uniformi, documenti, libri, armi. dipinti alle pareti, affreschi sui soffitti e, addirittura la bara nella quale era stato posto da morto.

Usciamo e ci rechiamo in quello che può essere definito il vero cuore simbolico della città: Piazza Bolivar, dove c’è la statua del Libertador ed una bella Cattedrale, nella quale  fu battezzato l’eroe nazionale il 30 luglio del 1873 e dove c’è la tomba della famiglia Bolivar.

La cattedrale è del 1567 ed è la prima chiesa costruita a Caracas, l’unica ad aver  conservato intatta la sua facciata coloniale.

Nella torre c’è un orologio che, oltre alle classiche scampanate,  può suonare canzoni varie tra le quali anche l’inno nazionale.

Nella Piazza oggi si svolge una manifestazione, anzi una festa dedicata alle donne, ma, sorpresa! sono tanti gli uomini che vi partecipano!

C’è tanta gente in Piazza, è veramente un giorno di Festa con tanta varia umanità che passeggia, lavora, sta seduta nei bar, nei ristoranti.

E c’è anche tanto traffico per le strade. Una sosta ristoratrice in un bar affollatissimo e subito dopo ci rechiamo a visitare il  Palazzo Municipale, un grande edificio coloniale, costruito nel XV secolo, ricco di stupendi affreschi di grande pregio artistico e il Palazzo Federale Legislativo, praticamente il Campidoglio nazionale, un bell’edificio di stile neoclassico, con una cupola ellittica ricoperta d’oro.

Ma il tempo scorre inesorabilmente ed è ora di rientrare nell’Hotel Alba Venetur, un hotel 5 stelle di proprietà dello Stato, dotato di belle camere, 2 piscine, vari ristoranti, un fitness centre con sauna.

Peccato, perché a Caracas ci sono molte cose interessanti da vedere, domani mattina, infatti, dovremo recarci in quella che sarà la località più bella ed emozionante di tutto il nostro viaggio in Venezuela e dove resteremo per 2 notti: Canaima.

Ci conforta il fatto che ritorneremo a Caracas le ultime 2 notti 2 speriamo così di ammirare altre cose nuove.

TERZO GIORNO: CANAIMA

Per arrivare all’aeroporto di Canaima dobbiamo prendere 2 aerei. Purtroppo non c‘è un volo diretto da Caracas ma dobbiamo andarci con uno scalo intermedio.

Ma siamo molto carichi e non ci preoccupiamo minimamente di questo”inconveniente”.

Dopo un’ora di volo arriviamo all’aeroporto di Puerto Ordaz e attendiamo l’altro aereo, un piccolo turbo elica che atterrerà nel piccolo aeroporto di Canaima dopo averci fatto ammirato degli scenari meravigliosi di una natura ricchissima di vegetazione, di laghi, di isolotti e di fiumi.

Ci sentiamo “gasati” perché, finalmente, siamo arrivati in un posto assolato e caldo e non vediamo l’ora di arrivare nel nostro hotel-lodge.

Appena arriviamo rimaniamo letteralmente a bocca aperta per lo spettacolo che si presenta ai nostri occhi.

Sotto di noi vi è una larga spiaggia con bungalow in muratura che non stonano con l’ambiente circostante e…una laguna il cui colore non è azzurro, ma sorprendentemente color ruggine per via dei minerali – fra i quali il tannino presente in alcune piante – che ci sono nell’acqua.

La sabbia, vicino alla riva è leggermente rosata per via del quarzo che la compone.

In lontananza si staglia maestosa un’enorme cascata che ‘sbuca’ letteralmente da una vegetazione di un verde intenso.

L’acqua è impetuosa, e la bianca schiuma che si forma nel punto dove va a riversarsi e nella cascata stessa, ci dà la misura dell’enorme quantità di liquido con cui è formata e la grandissima potenza con la quale va a gettarsi nel largo fiume.

Sicuramente, nella mia vita, pur avendo visto altre cascate, credo di non averne mai osservata una come questa, aggiunta anche ad uno spettacolo naturale tanto vigoroso come quello che ho davanti ai miei occhi.

E’ impossibile non restare affascinati da tanta bellezza e non emozionarsi per ciò che la natura ha saputo creare in quel luogo così pieno di magia, così primordiale e impressionante.

Comprendo benissimo perché l’Unesco ha dichiarato il Parco Nazionale di

Canaima, Hector, la nostra guida indigena

 

Canaima Patrimonio dell’Umanità, non poteva essere diversamente.

Il Parco è vasto quasi quanto il Belgio, si trova a circa 400 metri sul livello del mare ed è formato da una lussureggiante vegetazione tropicale, numerose cascate e dalla Savana.

Il Resort, Campamento Canaima Venetur, che appartiene allo Stato ed è situato direttamente su una larga spiaggia, è gestito per il 70 per cento dagli indigeni del luogo e tutto funziona molto bene.

E’ costituito da bungalow arredati semplicemente ma dotati di ogni comfort.

Pranziamo a base di cibi locali molto buoni e leggeri e…subito dopo, finalmente, indossiamo il costume perché andremo a vedere da vicino le più belle cascate della zona.

Ci arriveremo a bordo di curiaras – tipiche imbarcazioni locali – e la nostra guida Hector, è un giovane indigeno di 23 anni appartenente alla tribù dei Kamarakoto.

Hector si muove scalzo sulle rocce e sulla terra con una sicurezza e una velocità impressionante. Lui e la natura sono un tutt’uno e ciò che lo circonda è la sua “casa”.

Non c’è niente che non conosca del territorio e per lui la bellezza del territorio è una cosa normale, familiare.

Ci allontaniamo dal nostro “campamento” e incominciamo ad avvicinarci alla cascata che ci ha tanto stupiti. Il rumore dell’acqua è frastornante così come è tumultuoso e spumeggiante il fiume nelle sue vicinanze.

Ancora di più ci rendiamo conto della potenza con la quale la cascata va a  fondersi con l’acqua e ne rimaniamo ulteriormente ammaliati.

Il fiume è un susseguirsi di belle cascate e lo scenario è superbo.

Ma la nostra guida indigena ha un’incredibile sorpresa per noi. Con la curiara infatti, ci trasporta in un altro posto dove troviamo un’altra stupefacente rapida chiamata il Salto Sapo.

Scendiamo dalla barca e ci avviamo verso questa cascata perché è possibile risalirla alle spalle, camminarle, cioè, dietro in quanto la cascata ha un sentiero naturale che si attraversa fino all’estremità opposta.

“Imbustiamo” accuratamente le nostre macchine fotografiche e le fotocamere, per evitare che si bagnino e non funzionino più,  e ci avviamo, non senza emozione, ad attraversare quell’enorme massa d’acqua che, appena ci addentriamo, ci lascia senza respiro per il poderoso getto che ci cade addosso.

La forza dell’acqua è impressionante, i sassi sono scivolosi e bisogna prestare molta attenzione a dove si cammina per evitare di cadere.

C’è vento e freddo dietro la cascata, ma è bello vedere scendere l’acqua dall’interno che, nel calarsi così velocemente, sembra quasi che tracci delle righe al di là della grande barriera.

Però è tempo di proseguire la nostra visita di Canaima ed Hector, come un folletto della foresta, ci conduce più in alto, proprio dove nasce la cascata, e poi ci fa attraversare una parte del Parco Nazionale.

Incomincia ad imbrunire ma facciamo una sosta su una bella spiaggia da dove si vede un’altra cascata e dove è possibile nuotare un po’ circondati da una natura che sembra quasi irreale.

Durante il tragitto una leggera pioggia ci ha accompagnato e, all’improvviso, nel cielo è apparso un arcobaleno che ha reso ancora più suggestivo il momento di beatitudine che stiamo vivendo.

‘Pero es tiempo de volver al campamento’ e, a malincuore, ci avviamo alle auto che ci condurranno al Resort.


Durante il percorso, chiedo informazioni ad Hector sul loro modo di vivere della sua tribù. Mi incuriosisce questo ragazzo che è un tutt’uno con la natura ma che si occupa di turismo in modo così moderno e avanzato.

Mentre incomincia a rispondere alle mie domande, attraversiamo proprio il suo piccolo villaggio formato da case in muratura e dove si intravedono all’interno le famiglie intente nelle occupazioni domestiche o a riposare sulle amache che, per molti di loro, più tradizionalisti, è un vero è proprio letto, mentre gli altri – i giovani e, quindi, più moderni – dormono in un letto normale.

Nel piccolo centro esiste un ospedale e una sala riunione ed Hector mi spiega che la comunità vive soprattutto di agricoltura, pastorizia, pesca e turismo. Ogni famiglia ha in genere 5 o 6 figli e nella comunità tutti si aiutano in caso di bisogno.

La sua Tribù conta in tutto il Venezuela 2.800 persone e la religione che seguono si chiama ‘Alleluja’. Credono in Dio e in alcuni Santi e i giovani difficilmente lasciano il proprio villaggio.

L’età media per sposarsi è di 25 anni e la vita media delle donne e degli uomini è di circa 80 anni.

Gli chiedo se anche nella sua tribù vige il divieto di guardarsi negli occhi e mi risponde che avviene con l’altra tribù dei Kavac, che sono sempre Kamarota.

Non si guardano fissi negli occhi sia per l’educazione che hanno ricevuto sia perché pensano che si possano trasmettere le cose negative dell’anima.

Hector mi fa molta tenerezza anche quando mi dice che, essendo un tutt’uno con il territorio ed avendo ormai un rapporto abituale, a lui il Salto Angel non fa più impressione come invece accade ai turisti che lo vedono per la prima volta.

Arriviamo al nostro Resort, consegniamo le nostre scarpe piene di fango alla reception, che ce le farà ritrovare dopo un paio di ore pulite ed asciugate, ed abbiamo la bella sorpresa di trovare apparecchiato sulla spiaggia.

Ceniamo con ancora negli occhi e nel cuore la splendida giornata trascorsa in quel Paradiso, e già ci eccitiamo per la visita al Salto Angel del giorno dopo.

 

QUARTO GIORNO: CANAIMA SALTO ANGEL

Ci svegliamo di cattivo umore. E’ piovuto durante la notte e continua a piovere anche questa mattina.

Dobbiamo prendere alcuni piccoli Piper per sorvolare la Gran Sabana e ammirare la lunga cascata, ma con questo brutto tempo sicuramente non potremo decollare.

Guardiamo il cielo con la speranza che le nuvole si diradino e cessi la pioggia.

Alcuni di noi, per passare il tempo, cercano di connettersi ad Internet con i PC portatili, ma qui siamo in un posto fuori dal mondo e la connessione va e viene.

Ogni tanto, oltre alle poche voci umane, ai canti degli uccelli, al rumore della pioggia e della cascata o di qualche piccolo mezzo che porta la merce al Resort, non si sente niente.

Il personale è gentile, silenzioso ed efficiente e ci salutano ogni volta che ci vedono. In questi casi faccio sempre il paragone con il nostro mondo, così differente in senso negativo, dove si è persa anche l’abitudine di dire un semplice grazie o buongiorno.

Ho visto tanti Paradisi terrestri e tanti scenari straordinari, ma questo ha qualcosa di magico perché sembra essere fuori dal mondo!

E’ presto, e qualche pescatore sta tentando di prendere qualche pesce semplicemente con un filo e non con la lenza. Uno, soprattutto, è immerso nell’acqua e, a volte, rimane fuori solo la testa.

Il suo cagnolino va avanti e indietro sulla spiaggia abbaiando in direzione del suo padrone. Che quiete, e quanta serenità negli occhi di queste persone che si accontentano di ciò che hanno e che non vivono di apparenza come noi!

La pioggia continua a scendere e ci dispiacciamo per il fatto che non potremo vedere il Salto Angel e recarci anche alla Grotta della Fertilità.

Gli indigeni, con saggezza e tranquillità, ci dicono che il tempo cambierà sicuramente in poco tempo, ma noi siamo non siamo affatto convinti di ciò e ci guardiamo in faccia sconsolatamente pensando ad una giornata sprecata e ad una magnifica opportunità sfumata.

Ma ecco che all’improvviso, nonostante un poco di pioggia sia lì a farci crucciare, accade quello che gli indigeni avevano previsto.

Uno sprazzo di azzurro si apre all’orizzonte e ci viene suggerito di prepararci per andare nel piccolo aeroporto e sistemarci dei Piper a 5 posti. Siamo esaltati ma anche un po’ preoccupati.

Il cielo è pieno di nuvole e non sappiamo se riusciremo a vedere qualcosa.

Oggi, però, è la nostra giornata fortunata. Ci disponiamo a bordo dei velivoli a seconda del peso che abbiamo per bilanciare gli aerei e, in pochi minuti, siamo pronti per il decollo.

Non appena l’aereo si solleva da terra e si posiziona in quota, un panorama mozzafiato è sotto di noi e intorno a noi.

Fra le nuvole riusciamo a scorgere piccole colline e pianure ricoperte da una fitta vegetazione come se fossero foreste; la Gran Sabana, lunghi fiumi dalle varie forme: larghi, stretti, diritti o tutti a ‘gomito’, che attraversano estesi territori e si fanno largo fra palme ed altri tipi di piante. Passiamo anche vicino alle 3 Tepuyes, caratteristiche montagne di arenaria dalla forma quasi piramidale e dalle pareti molto ripide la cui cima è tronca e piatta.

Le nuvole che le circondano rendono tutto quasi illusorio e primitivo e la veduta è quanto mai magnifica. Non ci stupiremmo affatto se vedessimo qualche dinosauro correre attraverso la pianura o vedere qualche uomo preistorico apparaire all’improvviso!

Sembra di essere all’inizio della creazione della terra tanto è inverosimile quello che stiamo osservando!

Il piccolo aereo passa attraverso strati di nuvole e già pensiamo che, forse, non riusciremo a vedere ciò per cui era prevista l’uscita della mattina.

Ma, nuovamente, la buona sorte è dalla nostra parte perché il pilota ci avverte che siamo quasi in prossimità del Salto Angel.

Ed eccola lì, questa famosissima cascata, simbolo stesso del Venezuela, lunga quasi mille metri ma non molto larga per quantità di acqua.

Scende dal monte Auyantepui, che nella lingua Pemòn, gli indigeni che abitano tutta la zona della Gran Sabana, significa “Montagna del dio del mare” per poi precipitare in un incavo di rocce Canòn del Diablo (Gola del diavolo).

Il nome le proviene dallo scopritore nordamericano Jimmie Angel, il quale la scoprì per caso nel 1937 atterrando con il suo aereo “Caroní” proprio sulla cima dell’Auyantepui.

E’ tanto estesa in lunghezza (è la più alta del mondo) che sembra non entrare tutta nell’obiettivo della macchina fotografica! Che emozione, che spettacolo fantastico è a poca distanza dal nostro aereo.

Il pilota vira varie volte per permetterci di vederla tutti quanti e fotografarla.

Le macchine fotografiche sembrano impazzite come noi che ci agitiamo per poter scattare foto a ripetizione.

Vogliamo fissare per sempre quella meraviglia che abbiamo la fortuna di vedere.

Finalmente ci sentiamo appagati anche se, tutto ad un tratto, il finestrino anteriore del Piper incomincia a riempirsi di gocce d’acqua.

Piove nuovamente, ma noi abbiamo provato la nostra bella emozione e ci va bene lo stesso.

Ma…non abbiamo considerato che, una volta atterrati, dobbiamo fare una lunga passeggiata a piedi per arrivare alla Grotta della Fertilità.

Ci attrezziamo come possiamo con giacche impermeabili, cappelli, ombrelli – solo il mio – e ci avventuriamo dietro la nostra guida indigena.

Attraverso sentieri fangosi, pietre, grosse rocce, piccoli ruscelli, piccole cascate e pozze d’acqua, giungiamo nei pressi della Grotta e ci fermiamo nei pressi di una impetuosa cascata.

E qui sorgono alcuni dubbi su chi può affrontare il duro percorso che ci divide dalla meta.

Per arrivare alla Grotta, infatti, bisogna sfidare la forza dell’acqua e ci si può arrivare soltanto tenendosi ad una corda per non essere trascinati giù.

Solo i più coraggiosi (o incoscienti) si avviano con le guide, piccole di statura ma dalla grande forza nelle braccia.

Dopo 30 minuti vediamo ritornare i ‘nostri eroi’, qualcuno un po’ ‘ammaccato’ e stanco ma tutti delusi per non essere riusciti ad entrare nella Grotta.

La potenza della cascata, alimentata dalla forte pioggia, ne aveva impedito l’ingresso.

Un vero peccato, ma non si poteva rischiare di farsi male seriamente.

A quel punto rifacciamo il percorso inverso ma con più sicurezza e con più velocità e torniamo nell’accampamento dei Kavac, dove eravamo atterrati prima.

Le donne della tribù ci hanno preparato un ottimo pranzo e gli uomini ce lo servono. Qualcuno di noi chiede qualcosa di piccante e…immediatamente ci fanno assaggiare una salsa piccante. Ne mettiamo un po’ sulle fette di pane e ci spiegano che è ricavata dalle termiti.

Nessuno rifiuta di assaggiarla e..sorpresa, è buona e molto piccante, ma non somiglia al nostro peperoncino rosso.

E’diversa, ma il gusto è molto gradevole e ne mangiamo anche una buona quantità.

Ma è tempo di tornare indietro e, dopo aver visitato le case dei Kavac e salutato le signore, riprendiamo i piccoli velivoli e ritorniamo a vedere il Salto Angel con la speranza che il cielo, nelle sue vicinanze, sia meno nuvoloso della mattina.

Non lo è, ma la cascata è più libera e possiamo ammirarla molto meglio dell’andata perché ha una luce diversa e…di nuovo proviamo le stesse emozioni e lo stesso stupore per questa meraviglia unica al mondo!

Vorremmo continuare a stare fra le nuvole, ma non è possibile, dobbiamo ritornare al nostro Resort.

Piove ancora, ma i bambini locali giocano tranquillamente sulla spiaggia come se ci fosse il sole.

E’ uno spettacolo ed una gioia vedere con quanta semplicità si fanno fotografare e con quanti sorrisi e curiosità si guardano nelle macchine digitali.

Questo posto è un sogno, un posto incantevole, ammaliante, un posto dove ti riconcilii con te stesso e trovi quella che dovrebbe essere la reale dimensione umana della vita!

La sera arriva troppo presto e ci lascia un po’ di amaro in bocca perché domani dovremo andare in un’altra località: l’Isla Margarita.

QUINTO GIORNO: ISLA MARGARITA

Oggi andremo in tutt’altra parte del Paese, andremo nella più nota località di mare del Venezuela: l’Isla Margarita, che, assieme a Los Roques, un arcipelago formato da oltre 100 isole dalle acque cristalline e dai fondali spettacolari, è la destinazione balneare più conosciuta in tutto il mondo.

Di nuovo prendiamo l’aereo che ci condurrà all’aeroporto di Porlamar, e atterriamo in un’isola, che in realtà è formata da due isole collegate con un istmo di terra.

L’hotel è il Venetur Margarita (ex Hilton), un ottimo 5 stelle, ubicato direttamente su una spiaggia e dotato di vari ristoranti con cucina locale e internazionale, bar, discoteca, palestra, negozi, una spiaggia privata ed ogni tipo di comfort nelle camere.

L’Isla Margarita, una delle più grandi dei Carabi, è conosciuta dai turisti soprattutto per l’ottimo livello internazionale dei suoi alberghi, per la ricchezza delle sue baie e delle spiagge adatte ad ogni esigenza (sport acquatici o relax), per lo shopping conveniente in quanto è porto franco e per la vivace vita notturna adatta soprattutto ai giovani.

Le spiagge più belle sono la Playa el Aqua e Juan Gringo e tutte le altre situate nella parte nord orientale dell’isola.

L’Isla Margarita, però, possiede un Parco nazionale – El Parco National Laguna Le Restinga, che è una riserva naturale di mangrovie e piccoli canali, più la Basilica Nuestra Senora del Valle, castelli e un campo da Golf con 18 buche che, purtroppo, non abbiamo avuto il tempo di visitare.

Oggi abbiamo giusto il tempo di visitare il nostro hotel, fare un bagno nella splendida, enorme piscina dalla forma inconsueta ed è già l’ora di cenare.

La sera, però,  abbiamo voglia di vedere come si svolge questa rinomata vita notturna e decidiamo di uscire per andare in qualche locale.

Come da noi, sono sempre i giovani ad affollare discoteche e locali dove si può bere e ballare.

Torniamo piuttosto stanchi nel nostro hotel, è tardi e domani andremo a visitare l’Isla de Coche, dove trascorreremo tutta la giornata.

SESTO GIORNO: ISLA MARGARITA-ISLA DE COCHE

Mi alzo alle 6 del mattino. Il cielo della sera prima non sembrava promettere il sole ma tanta pioggia. E così è stato!

Apro le finestre ed una pioggia a catinelle mi fa prendere dallo sconforto.

Come faremo ad andare all’Isla de Coche con il tempo in queste condizioni? Mi predispongo male anche per la prima colazione e, mentre mangio, spero che il tempo, come è già successo a Canaima , possa cambiare da un momento all’altro.

E così, anche questa volta alle 7.30 il cielo cambia completamente il suo aspetto. Da nero-grigio diventa azzurro e così possiamo dirigerci verso il porto per salire sul catamarano che ci porterà nella bella isola.

Mentre attraversiamo l’Isla Margarita osserviamo la gente nella sua quotidianità e cerchiamo di farci un’idea dell’isola stessa.

C’è gente che lavora ai campi, nei negozi, in un bel mercato alimentare e notiamo tante piccole case colorate man mano che ci avviciniamo al punto di imbarco.

Anche qui, e può sembrare strano, uno scenario particolare e mai visto si presenta ai nostri occhi.

Vicinissimo al porto c’è un piccolo villaggio di pescatori e tante barche colorate ormeggiate nell’acqua o sulla sabbia.

Qualche pescatore sta cucendo la rete con la quale pesca, altri trasbordano le reti da una imbarcazione all’altra, alcuni bambini giocano ma altri danno una mano a togliere le cime dalle bitte.

Ma lo spettacolo più inconsueto ed emozionante è dato dal grande numero di cormorani che sono fermi sulle barche attraccate a 50 metri dalla riva.

Sono veramente tanti e tutti abituati alla presenza umana.

Ogni tanto qualcuno si alza in volo per tuffarsi in acqua ed uscirne con un pesce in bocca, mentre altri sono intenti a fare ‘toilette’.

Che scenario straordinario e che momento di riflessione per la calma che ci pervade in quel contesto di vita semplice ma vitale, vero.

Il bel catamarano ci ospita come se fossimo su una nave di lusso. Durante la navigazione ci viene offerto da bere, da mangiare e frutta fresca.

Il personale, il comandante in primis, è di una gentilezza incredibile, non forzata, ma genuina, spontanea.

Ci fermiamo in alto mare per fare un po’ di snorkeling, ma il mare è un po’ mosso e l’acqua un po’ torbida. Non si riesce a vedere un granché di ciò che c’è in quel tratto di mare.

Peccato, ma ci rifaremo all’Isla de Coche che tra poco dovremmo raggiungere. Il sole diventa più caldo e la musica che ha accompagnato il nostro viaggio è stato un bel sottofondo per questi momenti di grande beatitudine.

Finalmente incominciamo a vedere una lunga e larga lingua di sabbia bianchissima, una bella spiaggia attrezzata, un Resort composto da bungalow, che non stona con l’ambiente naturale circostante, alte palme e un mare color verde-turchese.

Sbarchiamo dal catamarano e…non resisto all’invito di quell’acqua tiepida, pulita e trasparente. Mi immergo a lungo e godo lo spettacolo dei pesci che mi passano tra le gambe.

Che meraviglia questo posto per trascorrervi le vacanze, peccato che dobbiamo starci soltanto una giornata e non possiamo vedere le altre belle spiagge che ci sono sull’isola!

Ma non dobbiamo mai dimenticare che siamo li per lavorare e anche per vedere come vive la gente comune.

Saliamo su un piccolo pullman e incominciamo a girare l’isola che è lunga appena 11 chilometri e larga 6. La sua popolazione vive soprattutto di pesca e di produzione di sale.

Nella sua storia annovera anche l’occupazione da parte degli Spagnoli ed una nave affondata nel suo mare sin dal  1815 è lì a testimoniarlo. Anche qui ci sono abitazioni basse e colorate, donne e uomini intenti a fare la spesa, bambini appena usciti dalle scuole e tante case in costruzione.

Siamo fortunati perché ci accorgiamo che si sta festeggiando un matrimonio. Chiediamo di poter fotografare sia gli sposi, sia gli invitati e, come sempre, con molta gentilezza si mettono in posa per noi.

Gli ospiti sono arrivati con un pullman e non si nota alcun tipo di sfarzo o di “apparenza” fra la gente che vive questa festa in modo molto naturale e semplice.

Come lo è, d’altronde, il tipo di vita che conduce quotidianamente. Entriamo in una casa e ne osserviamo l’arredamento semplice ed ordinato.

Su un mobile troneggia la statua della madonna e su una parete un crocefisso. D’altra parte la maggioranza della popolazione venezuelana segue la religione cattolica.

Entriamo in un’altra abitazione e i padroni di casa ci fanno entrare in cucina perché stanno preparando il pranzo e un delizioso profumo ci mette ancor più fame perché è l’ora della ‘comida’.

Mangiamo in un bel ristorante sulla spiaggia ed è già tempo di tornare indietro.

Il mare si sta increspando ed è molto divertente ‘farsi il bagno’ – tipo secchiate addosso – ogni volta che il catamarano prende le onde frontalmente.

Sbarchiamo nuovamente nel villaggio dei pescatori e questa volta i colori sono completamente differenti da quelli del mattino.

Ora tutto ha una tonalità più calda: i pescatori, le barche, i bambini, i cormorani, il cielo stesso è pronto ad aiutare il sole che fra un po’ incomincerà a scendere e a rendere più rosato tutto ciò che a portata dei suoi raggi.

Torniamo in albergo e ci cambiamo per prepararci ad assistere, ed essere anche ospiti, di una grande festa danzante organizzata dai lavoratori.

Partecipiamo anche noi alle danze e notiamo quanta sia grande la voglia di divertirsi di questa gente che balla e mangia in armonia.

Usciamo nel bel giardino, curato in ogni dettaglio, per un cocktail organizzato per noi giornalisti e per scambiare due chiacchiere sulle sensazioni provate in questo viaggio.

Ci auguriamo anche che il tempo del giorno successivo non sia piovoso perché dobbiamo rientrare a Caracas.

SETTIMO GIORNO: CARACAS

E invece, durante la notte, piove di nuovo ma, come accade ai tropici, la pioggia come viene se va e già alle 6 del mattino si incomincia ad intravedere il sole.

Siamo in volo e, come al solito, il panorama sotto di noi è magnifico: isole e mare azzurro sono uno spettacolo che incanta sempre, soprattutto chi è romantico e sentimentale come me.

La natura è proprio bella ed è un bene prezioso che non sempre siamo in grado di proteggere come dovremmo, soprattutto noi occidentali.

Qui, invece, ci siamo accorti che è un tesoro rispettato e tutelato anche per noi. Siamo qui da una settimana e abbiamo già preso tanti di quegli aerei come se fossero dei pullman!

Arriviamo nella Capitale verso l’ora di pranzo e, come ogni grande metropoli del mondo, ci accoglie con la vivacità di una grande città: gente che lavora e che si sposta da una parte all’altra della città con autobus o auto private e c’è tanto traffico.

Dopo il pranzo consumato nell’Hotel Alba Venetur (quante cose buone si mangiano!) ci rechiamo presso la Comunità “23 de Enero”, una sorta di Centro di assistenza sociale, ubicato in una delle zone più alte della città.

Ci accolgono dei giovani che, con molto entusiasmo, ci spiegano il perché della nascita della Comunità e il suo funzionamento.

E’ grande questo – definiamolo – quartiere con ben 3.000 persone che vi abitano.

Ci sono palazzi, case basse, piccole industrie (mattoni e zucchero), negozi di vario genere, scuole e una radio che trasmette non solo per la comunità, ma anche a livello nazionale.

Anche qui la gente è cordiale e ospitale e i bambini giocano tranquillamente per le strade interne o a pallone in un campo di calcetto.

Vorrei fotografare tutti, soprattutto i bambini, sono tutti belli, vivaci ed espressivi.

Mentre sto fotografandone uno, esce da una casa una signora che mi invita a visitarla.

L’abitazione è ancora da terminare, ma la felicità che traspare dai suoi occhi e dalle sue parole, mentre mi spiega come verranno disposti i mobili e chi ci sarà nelle camere ancora da terminare, ha il potere di commuovermi.

Quanto entusiasmo per questo suo desiderio che si sta avverando, e quanta voglia di tenermi lì per descrivermi come è composta la sua famiglia!

Devo raggiungere gli altri giornalisti per proseguire la visita del centro e mi accingo a salutare la signora ma lei, che nel frattempo sta preparando la cena, mi offre una croccante ala di pollo fritto che sta cuocendo in cucina.

La saluto intenerita e commossa e ‘addento’ con piacere quel cibo che mi ha donato con tanta naturalezza e generosità.

E’ proprio vero che chi ha poco, quel poco lo divide anche con gli altri!

Continuiamo il nostro giro nella Comunità e ci viene spiegata l’importanza delle scuole tecniche del Centro che, oltre ad insegnare le normali materie, abituano i ragazzi, sin da piccoli, al pensiero del sociale e della vita comunitaria, all’esistenza delle altre persone e non solo a quella di noi stessi.

Mi piace questa cosa, è una piccola speranza in più per un futuro migliore nella società della Repubblica Bolivariana del Venezuela.

Ci vorrebbero anche da noi questo genere di scuole, visto che molte delle nostre famiglie non sono più in grado di trasmettere ai propri figli  i valori di una vita civile e sociale.

Sempre che i genitori stessi li abbiano!

Se non ci fossero i volontari a rendere meno arido e menefreghista il nostro vivere quotidiano, ci sarebbe veramente da piangere al pensiero di far parte di una società malata come quella in cui viviamo.

Basta vedere su Youtube cosa avviene dentro le nostre scuole…o ciò che accade all’interno delle famiglie!

Terminiamo la visita alla Comunità per recarci nel ristorante più rinomato della città per la bontà della carne alla brace e per il mangiare in generale.

Appena entriamo avvertiamo un profumo di carne alla brace che ci fa venire voglia di sederci con gli altri avventori e mangiare lì.

Dalla cucina escono piatti tradizionali come la ‘chapa’, una specie di frittella di mais cotta sulla piastra e riempita con ciò che più piace: formaggio, salame, prosciutto cotto, carne.

La chapa si chiude come un nostro calzone, oppure si copre come se fosse un’omelette. Ci viene offerto da bere e fatto assaggiare i loro cibi locali.

E’ tutto buono e sfizioso e le facce dei clienti che stanno mangiando dimostrano la bontà di ciò che stanno ingerendo.

E’ buio ed è ora di rientrare in hotel. Ci resta il tempo per un bagno in piscina, prima di cenare e…un altro bel giorno, pieno di emozioni visive, gustative e umane è passato!

OTTAVO GIORNO: CARACAS

E’ il nostro ultimo giorno a Caracas e per noi è stata organizzata una visita al monte Avila, dal quale si ha una vista mozzafiato della città.

Saliamo sulle moderne cabine della teleferica che, in 15 minuti circa, ci porta fino alla cima del monte…e lo spettacolo sottostante è veramente da lasciare senza parole. Il monte è alto 2.200 mt e l’aria è “frizzantina” .

Percorriamo una strada dove troviamo tante coppie e famiglie venute quassù per trascorrere una giornata di festa.

E’ domenica, infatti, e il luogo è pieno di chioschi e negozi che vendono dolci o i piatti tipici venezuelani.

C’è aria di grande festa. Giocolieri, clown, maghi e ballerini intrattengono grandi e piccoli.

C’è anche una pista di pattinaggio, un ristorante panoramico ed un hotel di 19 piani del 1956, l’Humboldt, alto circa 60 metri.

L’hotel, che è in ristrutturazione, ospitava negli anni passati solo l’elite del paese che, addirittura aveva la teleferica che arrivava direttamente nell’albergo.

All’interno l’hotel conserva ancora l’arredamento tipico degli anni ’50. Ci sono i classici divani dell’epoca, alcuni mosaici alle pareti ed un enorme camino con la cappa rotonda, in rame e lavorata a mano.

Alcune sale oggi vengono utilizzate per ospitare congressi e per festeggiare Capodanno.

Siamo in alto e la nebbia, purtroppo, ci ha impedito di osservare totalmente la città e la parte che affaccia sul Mar dei Caraibi, ma è abbastanza quello che vediamo ed è molto bello vedere la demarcazione fra il verde dei boschi, che arriva a lambire la città, e le numerose case dei centri abitati.

Mangiamo nel miglior ristorante del luogo, che ha una vetrata che ci permette di gustare uno splendido panorama anche mentre consumiamo un ottimo pasto.

Indugiamo un po’ più del dovuto nel ristorante. Non abbiamo molta voglia di lasciare quel luogo che ci fa sentire più vicini al cielo…ma dobbiamo riprendere la teleferica per tornare nel nostro Hotel.

La nostra permanenza in Venezuela è arrivata alla conclusione e domani mattina alle 4 lasceremo questa terra piena di colori, di natura rigogliosa, di cascate incredibili ma, soprattutto, ricca di gente vera, la cui straordinaria umanità ci ha accompagnato dall’inizio alla fine di questo viaggio.

Il Venezuela, per me, viaggiatrice collaudata, è stata una grande sorpresa.

Il viaggio mi ha lasciato il ricordo indelebile di luoghi dove il tempo si è fermato, lasciando inalterato il rapporto tra uomo e ambiente.

Ho trovato pagine di umanità illustrate con scene di una natura incontaminata incastonata in cornici di verdi distese e acque cristalline.

Venezuela, così come il Nicaragua, hanno significato per me, come sarà sicuramente per i viaggiatori desiderosi di conoscere questi territori, un ritorno al passato per scoprire l’essenza di ciò che è davvero naturale.

Ed è stato un viaggio meraviglioso perché mi ha permesso di conoscere un angolo di questa terra, malata di inquinamento e degrado, comparabile con quello che è il concetto di Eden.

E sono sempre più convinta di quanto tutta la gente del mondo, pur parlando lingue diverse, professando religioni differenti e di diverso colore della pelle, potrebbe vivere in amicizia e in pace.

Arrivederci Venezuela, sono sicura che il mio non è un addio e che tornerò per ammirare gli altri luoghi meravigliosi di cui ho sempre sentito parlare ma che non ho ancora visto.

Quell’alchimia di bellezze paesaggistiche e naturalistiche, unite al calore umano della sua popolazione dalla storia gloriosa, mi sono rimaste impresse nel cuore e nella mente.

E desidero provare nuovamente le stesse emozioni!