In un continente sovraffollato, ove si vanno moltiplicando le grida di allarme sulla criticità raggiunta dal sistema, le Autorità di Bruxelles anziché disincentivare il proliferare di nuovi aeroporti e di nuovi collegamenti, si muovono esattamente nella direzione opposta; il tutto in nome della sacra concorrenza, figlia diretta della deregulation.

Ottantasei paragrafi contenuti in 8 capitoli; è così che la Commissione Europea ha ritenuto opportuno affrontare l’annoso problema circa il finanziamento degli aeroporti e gli aiuti pubblici di avviamento concessi alle compagnie aeree operanti su aeroporti regionali. Il testo ufficiale della “Comunicazione della Commissione” è apparso sulla Gazzetta Ufficiale della UE, numero di repertorio 2005/C/312/01. Riportiamo i punti salienti del testo, commentandone i passaggi più significativi. (Per chi fosse interessato, il testo completo è a disposizione di chi ne faccia richiesta)

1-Introduzione

1-1    Contesto Generale (1/5)

In apertura la Commissione passa in rassegna il contesto generale che si è venuto delineando dal 1993 ad oggi, uno scenario caratterizzato dall’introduzione del cosiddetto “terzo pacchetto” il quale ha in pratica permesso ad ogni vettore aereo, purché in possesso di una licenza di esercizio comunitaria, di accedere dall’aprile del ’97, al mercato intracomunitario senza incorrere in restrizioni di alcun genere, neppure di natura tariffaria.
In aggiunta a tali norme ciascuno Stato, se lo ritiene opportuno, può istituire i cosiddetti “oneri di servizio pubblico” con riferimento a particolari rotte, nonché l’applicazione di tariffe preferenziali per talune categorie di utenti.

Per spiegare ai lettori cosa debba intendersi per “oneri di servizio pubblico” rammentiamo che con questo termine si intende il complesso corpo di norme e di sussidi che gli Stati possono decidere di adottare, tenendo conto in via primaria delle finalità di pubblico interesse e di diritto alla mobilità che hanno i cittadini.
È stato questo uno dei primi paradossi con cui si sono dovuti confrontare i fautori della deregulation.
È in questa ottica che si inserisce anche la cosiddetta continuità territoriale, intesa appunto come garanzia di pari opportunità alla mobilità per tutti i cittadini di uno Stato, sia che essi vivano su una sperduta isola, sia che risiedano nel territorio sulla terraferma.. Da più parti è stato fatto presente che di fatto “il perseguimento di tali finalità sociali sostanzia un intervento di aiuto in grado di sovvertire le normali dialettiche concorrenziali che, come tale, è assoggettato alle limitazioni e restrizioni che tale tipologia di interventi ordinariamente subisce”. (1)
In poche parole, ai singoli Stati viene lasciata libertà di infrangere le regole comunitarie qualora siano in gioco territori che potremmo definire “svantaggiati”.
Da una parte quindi l’intervento pubblico è vietato, in quanto contrario ai principi del libero mercato, ma in determinate situazioni esso può venir reintrodotto.
Abbiamo parlato di paradosso in quanto se l’unica logica che deve regolamentare l’odierno mercato è quello della redditività dell’impresa, è abbastanza pacifico che tutte quelle aree che abbiamo sopra definito “svantaggiate” saranno completamente trascurate degli attori del sistema, da cui ne discende la necessità di azioni derogatorie quali appunto sono gli oneri di pubblico servizio.

La circolare passa quindi a rammentare i provvedimenti che nel settore del trasporto aereo sono stati già adottati, quali ad esempio l’assegnazione delle bande orarie (slots), l’assistenza a terra (handling) e i sistemi telematici di prenotazione (CRS), tutti regolamenti che mirano nelle intenzioni del legislatore a disciplinare la liberalizzazione del mercato e consentire alla concorrenza di esplicarsi secondo eque regole.
Parallelamente a queste norme è stata emanata quella che viene riconosciuta essere “una severa disciplina” in materia di aiuti di Stato.
La Commissione ricorda come l’applicazione del principio dell’aiuto unico (una tantum) ha permesso alle compagnie aeree “più dinamiche” di transitare da un sistema di funzionamento relativamente protetto ad un normale comportamento da operatore economico.
Viene inoltre rammentato come la Corte di Giustizia abbia impresso un nuovo slancio al settore aereo, con le sentenze note come “Open Skies” che hanno in pratica riconosciuto alla Comunità una competenza di negoziazione internazionale.
L’introduzione si chiude rammentando le due grandi novità che hanno caratterizzato il trasporto aereo: l’emergere delle compagnie low cost e di come “d’altro lato gli aeroporti sono stati protagonisti di un processo particolarmente intenso diretto ad attirare nuovi collegamenti aerei”.

1-2 Gli sviluppi nel settore aeroportuale (6/10)

In questi successivi cinque capitoli (6/10) viene passata in rassegna la metamorfosi registrata nel settore aeroportuale.
“Inizialmente – precisa la Commissione – lo sviluppo degli aeroporti rispondeva in molti casi ad una logica prettamente territoriale, o in certi casi, ad esigenze militari”. Ma ora molti degli scali, nel passato controllati dagli Stati, sono invece sotto il controllo delle regioni o di società pubbliche, o sono stati trasferiti ad operatori privati. In ogni caso si è notato un evidente processo di trasferimento sotto la forma della privatizzazione o di una progressiva apertura del capitale.
Per quanto più da vicino riguarda quella che la Commissione definisce l’industria aeroportuale comunitaria, essa è stata caratterizzata da una profonda ristrutturazione organizzativa “espressione non soltanto dell’interesse sostenuto di investitori privati nel settore stesso, ma anche del mutato atteggiamento delle autorità pubbliche rispetto alla partecipazione dei privati allo sviluppo degli aeroporti”.
La Commissione passa poi a ricordare come 7 soli aeroporti della UE raccolgono oltre un terzo di tutto il traffico aereo, mentre  i 23 aeroporti principali rappresentano oltre due terzi del traffico totale, prendendo atto che la maggior parte dei piccoli scali continuano ad essere controllati e gestiti da autorità pubbliche ed annota come”l’influenza dell’attività di un aeroporto su quella degli altri aeroporti e sul mercato tra gli Stati membri varia sensibilmente a seconda della categoria a cui appartiene”.
Non solo, ma si prende atto che gli scali svolgono anche un notevole ruolo sul successo delle economie locali e sul mantenimento di servizi locali come la scuola e sanità.
Ovviamente, rammenta la Commissione, il trasporto aereo non è il solo vettore di sviluppo e ricorda anche i collegamenti ferroviari ad alta velocità quali fattori di “primaria importanza ai fini della coesione socio-economica della UE”.

1-2-1 Tipologie aeroportuali (11/15)

Si inizia a venire al sodo della questione rammentando come nel settore aeroportuale “è in atto oggigiorno una concorrenza fra i vari tipi di aeroporto” e si passa ad esaminare le varie tipologie degli scali, come fin qui venutesi delineando nei vari orientamenti comunitari. Ma ai fini degli orientamenti di cui si deve trattare, la Commissione ritiene che ci si debba orientare verso quattro specifiche categorie:

  • categoria “A” o dei grandi aeroporti comunitari (più di 10 milioni di passeggeri annui);
  • categoria “B” o “aeroporti nazionali” (fra 5 e 10 milioni di passeggeri);
  • categoria “C” o “grandi aeroporti regionali” (1-5 milioni annui);
  • categoria “D” i “piccoli aeroporti regionali” (inferiore a 1 milione)

1-3 Le compagnie aeree a basso costo-low cost (16/17)

Dal 4 per cento del 1998 queste aerolinee sono balzate nell’anno 2004 alla rispettabile quota del 20,8%, anche se il loro share varia notevolmente da uno Stato membro all’altro: in tal modo la Commissione ricorda la significativa erosione che le low cost hanno apportato al mercato delle compagnie aeree tradizionali. Nell’anno 2004 soltanto, le tre principali compagnie low cost avevano trasportato più di 62 milioni di passeggeri all’interno della UE  “La Commissione non può che rallegrarsene ed apprezzare il contributo di questi operatori alla riduzione generale dei prezzi del trasporto aereo in Europa”.
Così esordisce la Commissione parlando delle low cost: apprezzamenti e lusinghe, ma la Commissione deve tuttavia verificare il rispetto delle regole e in particolare deve assicurare le regole che assicurano un’equa concorrenza. “infatti, le modalità con cui questi operatori aerei a basso costo negoziano attualmente le sovvenzioni dei poteri pubblici  – sia direttamente sia attraverso l’ente gestore dell’aeroporto – hanno sollevato diverse perplessità”. Ci si riferisce ovviamente al caso Ryanair-Chareroi. “il mercato si aspetta di conseguenza che sia messa a punto una precisa disciplina normativa che stabilisca le norme applicabili a queste nuove pratiche”.
Fin qui quindi siamo in presenza di un riassunto della situazione, di ricordare le denuncie che la Commissione ricorda sono state “numerose” e della necessità pertanto che i regulators intervengano a dire la loro sugli aiuti e sussidi che aeroporti e aerolinee si sono scambiati.

2 – Obiettivi dei presenti orientamenti e situazione rispetto agli orientamenti del 1994 (18/23)

Gli orientamenti in passato espressi dalle autorità UE non avevano mai toccato quei nuovi tipi di sussidio che dovevano fare “scandalo” negli anni successivi. Per questo motivo vi è la necessità, secondo la Commissione, di adeguare gli orientamenti stessi alla mutata realtà dei tempi.
Fin qui infatti ci si era interessati quasi esclusivamente alle condizioni di concessione di aiuti di Stato alle Compagnie aeree, toccando anche l’argomento degli oneri di pubblico servizio, ma non si poteva certo immaginare che qualche aeroporto fosse disposto a pagare l’aerolinea pur di veder scendere gli aerei di questa, sul suo campo. Un segno questo di quanto imprevedibili e repentini sono stati i cambiamenti che hanno riguardato i rapporti fra aeroporti e aerolinee in questi ultimi tempi.
“I presenti orientamenti completano pertanto gli orientamenti del 1994, senza sostituirvisi, precisando in che modo le regole di concorrenza debbano applicarsi ai diversi tipi di finanziamento degli aeroporti e agli aiuti pubblici di avviamento concessi alle compagnie aeree operanti su aeroporti regionali”.
Innanzitutto la Commissione riconosce che gli aeroporti regionali hanno l’innegabile vantaggio di alleggerire la congestione del traffico aereo “che si verifica nelle principali piattaforme”. Ricordiamo a tal proposito che il problema dell’affollamento dei maggiori hubs, ha visto mettere in atto vari tentativi di regolamentazione degli slots, ma di fatto esso non ha mai trovato ideali soluzioni definitive da parte dei regulators della UE. È infatti praticamente impossibile costringere i maggiori vettori che da anni utilizzano slots aeroportuali sulle loro basi d’armamento, a rinunciarvi per far posto ai nuovi entranti.
Sotto tale ottica, e ben sapendo che tale problema difficilmente potrà venir risolto, lo svilupparsi di aeroporti cosiddetti minori, che alleviano il traffico degli hubs, è stato sempre valutato positivamente dalla UE.
Quindi bisogna sviluppare l’offerta degli aeroporti regionali, ma questi – annota la Commissione – si trovano “in una situazione spesso meno favorevole di quella dei grandi hubs o piattaforme europee come Londra, Parigi o Francoforte; essi non dispongono di una grande compagnia aerea di riferimento”.
Su questo specifico punto val la pena soffermarsi.

La Commissione prende atto che vi sono aeroporti regionali ignorati dalle compagnie aeree. Ora sarà senz’altro vero che nel gran numero di tali scali ve ne sarà qualcuno, per così dire, “sottosviluppato”, ma bisogna pure ammettere che non sempre la presenza di un aeroporto, magari una volta campo militare, possa giustificare l’attivazione di collegamenti aerei regolari.
Non crediamo pertanto sia corretto affermare che questi aeroporti “si trovano in una situazione meno favorevole”, quanto piuttosto prendere atto che vi sono bacini e aree che necessitano senz’altro di uno scalo aereo – tale è il caso ad esempio di Milano, che fino all’avvio della nuova Malpensa non disponeva di un aeroporto intercontinentale – ed altre che ne potrebbero tranquillamente fare a meno.
Ancora, riferendosi di nuovo agli scali regionali e quasi a voler trovare nuove ragioni per permettere la concessione di facilitazioni, la Commissione annota che “inoltre, essi non hanno necessariamente raggiunto la dimensione critica sufficiente per essere abbastanza attrattivi”.
Decisamente si sprofonda nel patetico, perché la posizione più o meno di rilievo raggiunta da uno scalo ad un certo momento storico, non è altro che la risultante della capacità che ha quello scalo, situato in una determinata zona, di assurgere o meno alle fortune, e non è certo la risultante del caso.
Diciamolo in maniera più chiara: l’apertura di un secondo scalo che serva ad alleggerire l’aeroporto principale, ha un suo preciso significato; cosa completamente diversa è il voler favorire la proliferazione a dismisura di aeroporti magari sotto la pressione degli azionisti delle società di gestione che in quell’aeroporto hanno investito.
L’infrastruttura aeroportuale presenta limiti ben noti a tutti; si pensi ai ban notturni o, alle procedure cui sono costretti ad attenersi gli equipaggi per l’abbattimento del rumore durante le fasi di atterraggio e decollo. Ricordiamo a tal proposito, ad esempio, la recente decisione presa dall’Ente Nazionale per l’Aviazione Civile italiana (Enac) circa la riduzione dei movimenti orari sullo scalo romano di  Ciampino, portati da 22 a 15.
Sono tutti esempi, questi, che dimostrano l’estrema vulnerabilità del sistema-aeroporto allorché esso si trova ad essere inserito in un contesto altamente urbanizzato quale senz’altro è quello europeo.
Ebbene, in tali condizioni crediamo si debba andare estremamente cauti nel voler a tutti i costi fornire traffico, e quindi rendere operativi,  quegli scali di cui – nell’economia di un network di collegamenti continentale – si potrebbe tranquillamente fare a meno.
E quando diciamo “fare a meno” intendiamo riferirci a un concetto razionale della logistica del network, perché qualora uno scalo venga a disporre di un sia pur minimo numero di collegamenti, è scontato che esso contribuisca allo “sviluppo delle rispettive economie regionali”, come annota la Commissione al punto 20) del testo.
Così come pertanto oggi avviene in molti comparti dell’industria, in conclusione il dilemma da sciogliere sarà fra l’avere un aeroporto in più, non tanto per la necessità di dotare gli abitanti limitrofi con un volo diretto low cost su un aeroporto secondario londinese, quanto piuttosto perché quel collegamento significa “sviluppo della economia locale”.
Si finirà, cioè, per favorire l’attivazione di un collegamento non perché se ne senta la reale necessità, ma perché attraverso quella istituzione si mette in moto la macchina occupazionale.
Ora, poiché nello stesso rapporto, gli orientamenti della Commissione illustrano il ruolo primario che anche i collegamenti ferroviari vengono ad assumere, parlando di “complementarietà” fra il mezzo aereo e quello ferroviario, sarebbe alquanto opportuno valutare attentamente la situazione prima di far eccessivamente proliferare la rete aeroportuale.
Inoltre, abbiamo già annotato in nostri precedenti articoli, come l’avvio liberalizzato di collegamenti intracomunitari abbia creato dislivelli fra un paese come l’Italia che offre ad una KLM olandese o ad una Ryanair irlandese di attivare collegamenti con decine di appetibili scali nostrani, mentre nei loro rispettivi territori questi vettori hanno solo uno o due aeroporti da offrire in contropartita. In tale scenario ogni ulteriore proliferazione degli scali minori indebolirà ulteriormente chi si trova nelle condizioni italiane, favorendo invece i concorrenti.
Dopo tali premesse non desta  meraviglia che la Commissione al successivo punto 21) avverta che
“per questo nei presenti orientamenti la Commissione assume una posizione favorevole allo sviluppo degli aeroporti regionali”, purché ovviamente non si verifichino le tanto temute distorsioni concorrenziali.

3- Campo di applicazione e regole comuni in tema di compatibilità (24/52)

3.1-Ambito di applicazione e base giuridica

“I presenti orientamenti stabiliscono in quale misura e a quali condizioni la Commissione valuterà il finanziamento pubblico degli aeroporti e gli aiuti pubblici all’apertura di nuove rotte, alla luce delle norme sostanziali e procedurali della Comunità in materia di aiuti di Stato.”
Si è così giunti alla valutazione se sulla base dei famigerati articoli 86 e 87 del Trattato di Roma, i sussidi scambiati fra aeroporti e aerolinee possano essere accettati.
Al di fuori di quei casi eccezionali che i regolamenti UE già prevedono (avviamento, regioni svantaggiate, importanti progetti di comune interesse europeo) quali sono i fattori in base ai quali tali aiuti possono venir considerati compatibili  e quindi fattibili?
Per rispondere a questi quesiti la Commissione passa ad esaminare in dettaglio le attività aeroportuali.

3-2-l’esistenza di aiuti di Stato

3-2-1-Attività economica degli aeroporti

Se la proprietà di un aeroporto sia pubblica o privata, ciò ha poca importanza, in tal senso “il trattato è neutrale”. E indipendentemente dal suo status giuridico e dalla modalità dei finanziamenti è indubbio – annota la Commissione – che un aeroporto eserciti attività d’impresa, un’attività economica ai sensi dell’articolo 87, paragrafo 1 del trattato alla quale vanno senz’altro applicate le  norme comunitarie sugli aiuti di Stato.
Importante, a tal proposito, quanto stabilito dalla sentenza delle Corte Giustizia Europea (Aeroporti di Parigi) nella quale è stato chiarito che le attività di gestione e di esercizio degli aeroporti che comprendono la fornitura di servizi aeroportuali alle compagnie aeree e ai vari prestatori di servizi in uno scalo, costituiscono attività di natura economica poiché da un lato “consistono nel mettere a disposizione delle compagnie aeree e dei vari prestatori di servizi installazioni aeroportuali mediante pagamento di un corrispettivi il cui ammontare è fissato liberamente dal gestore stesso, dall’altro non costituiscono esercizio  di pubblico potere, anzi sono dissociabili dalle attività che rientrano nell’esercizio di tali poteri”.
E dopo aver precisato quali sono le attività che rientrano sotto la natura economica, la Commissione passa a chiarire quali possono ritenersi estranee.
Le attività che di norma rientrano sotto la responsabilità dello Stato nell’esercizio dei suoi poteri pubblici non sono di natura economica e come tali non rientrano nella sfera di applicazione delle regole sugli aiuti di Stato. Sotto questa categoria si possono far rientrare:
– la sicurezza, il controllo del traffico aereo, la polizia, le dogane ecc.
“Il finanziamento di tali attività deve restare strettamente limitato alla compensazione dei costi da essi generati e non può essere sviato a vantaggio di altre attività di natura economica”.

3-2-2 Le attività di servizio di interesse economico generale svolte dagli aeroporti

In taluni casi l’autorità pubblica può considerare l’opportunità che determinate attività svolte dagli scali possano rientrare sotto il concetto di “interesse economico generale”. È questo il caso degli “oneri di servizio pubblico” ed è in simili evenienze che il soggetto che gestisce l’aeroporto “può ricevere dalle autorità pubbliche un compenso per i costi aggiuntivi scaturenti dall’onere di servizio pubblico”.
Segue la conferma del ruolo di “interesse economico generale” che l’aeroporto può in taluni casi assumere:
“A questo proposito non è escluso che, in casi eccezionali, la gestione di un aeroporto nel suo insieme possa considerarsi come un servizio di interesse economico generale…va tuttavia notato che la gestione di un aeroporto nel suo insieme in quanto servizio economico di interesse generale non dovrebbe estendersi anche alle attività di base”.
La Corte Europea (causa Altmark) ha fissato la giurisprudenza in tal senso precisando che quattro sono i presupposti che debbono ricorrere affinché le compensazioni di servizio pubblico con costituiscano aiuti di Stato:
1) Chi beneficia del sussidio deve essere effettivamente incaricata degli adempimenti del servizio pubblico;
2) I parametri della compensazione debbono essere definiti in maniera obiettiva e trasparente;
3) La compensazione non deve eccedere quanto necessario per coprire interamente, o in parte, i costi relativi all’adempimento degli obblighi di servizio pubblico;
4) Qualora la scelta della società da incaricare allo svolgimento degli obblighi di servizio pubblico, non venga effettuata all’esito di procedura di appalto pubblico in grado di selezionare il candidato atto a fornire tali servizi al costo minore, il livello della compensazione deve essere determinato sulla base di una analisi dei costi che un’impresa media avrebbe dovuto sopportare per adempiere tali obblighi, tenendo conto dei relativi introiti e di un margine di utile ragionevole per l’adempimento di detti obblighi.
Se sono soddisfatte queste condizioni, la compensazione data al gestore affinché egli svolga gli oneri di servizio pubblico, non costituisce aiuto di Stato.

3-2-3 Effetti dei finanziamenti concessi ai rapporti sulla concorrenza e sul commercio tra Stati membri

“Un finanziamento pubblico erogato ad un determinato aeroporto potrebbe essere utilizzato per mantenere artificialmente bassi i diritti riscossi dall’aeroporto, in modo da attirare traffico, falsando in tal modo significativo la concorrenza”.
Sempre lì immancabilmente si torna: il mercato, una volta liberalizzato, non deve venir turbato da “aiuti” che potrebbero compromettere la trasparenza del mercato.
Comunque la Commissione concede spazi di manovra. Viene infatti stabilito che le sovvenzioni pubbliche erogate ad aeroporti di categoria “A” e “B” cioè tutti quegli scali con traffico passeggeri oltre i 10 milioni e fino a 5, saranno considerati aiuti atti a falsare, o a minacciare di falsare, la concorrenza e come tali vietati, “viceversa – avverte la Commissione – è poco probabile che i finanziamenti concessi ai piccoli aeroporti regionali (categoria “D) siano tali da falsare la concorrenza”.
In particolare, per gli aeroporti appartenenti alle categorie “C” e “D”, poiché non è possibile delineare una casistica adatta ad ogni ipotesi, la Commissione invita a notificare alla stessa “ogni misura che potrebbe costituire un aiuto di Stato”.
Quindi aiuti vietati per gli scali in categoria A e B, mentre saranno sottoposti a valutazione  i casi relativi agli aeroporti rientranti nelle categorie C e D.

3-2-4  Principio dell’investitore operante in economia di mercato (PIEM)

Ricorda la Commissione che l’articolo 295 del Trattato di Roma permette agli Stati membri di possedere e/o dirigere imprese e pertanto in tale ipotesi la Commissione non può “né penalizzare, né riservare un trattamento più favorevole alle autorità pubbliche che assumano partecipazione al capitale di determinate compagnie”.
Ciò significa che quanto la Commissione verrà a precisare in seguito, riguarderà indistintamente qualsiasi soggetto giuridico sia esso pubblico o privato.
Infatti, i principi fin qui delineati circa la non discriminazione e la parità, “non dispensano le autorità pubbliche o le imprese pubbliche dall’applicazione delle regole di concorrenza.”
La Commissione pertanto valuterà qualsivoglia aiuto sulla base del seguente principio, ossia se “in circostanze analoghe, un socio privato, basandosi sulle possibilità di reddito prevedibili, astrazion fatta da qualsiasi considerazione di carattere sociale o di politica regionale o settoriale, avrebbe effettuato il conferimento di capitale”.
Questo sarà il parametro di riferimento cui la Commissione si atterrà nel valutare casi di aiuti di Stato e se viene acclarato che l’Autorità o lo Stato si sono comportati nello stesso modo in cui si sarebbe comportato un privato, i vantaggi non saranno costitutivi di aiuti di Stato.
“Viceversa, nel caso in cui ad un’impresa vengano messe a disposizione risorse pubbliche a condizioni più favorevoli (ossia, in termini economici, ad un costo inferiore) di quelle che un operatore economico privato riserverebbe ad un’impresa che si trovi in una situazione finanziaria e competitiva analoga, la prima impresa beneficia di un vantaggio costitutivo di aiuto di Stato”.

Seconda Parte

Si scende ora ad esporre un caso concreto: un aeroporto pubblico accorda ad una compagnia aerea cosiddetti aiuti di avviamento, vantaggi finanziari cioè attinti dalle proprie risorse derivanti dalle attività economiche dello scalo. Questi aiuti, avverte la Commissione “non costituirebbero di per sé un aiuto di Stato se è comprovato che l’aeroporto agisce come investitore privato, per esempio sulla scorta di un piano economico-finanziario che comprova le prospettive di redditività dell’attività economica dell’aeroporto”.
Ma se fosse uno scalo privato a fornire finanziamenti che rappresentassero solo una mera ridistribuzione di risorse pubbliche di cui esso ha beneficiato, in tal caso si tratterebbe invece di “sussidi che configurano aiuti di Stato, nella misura in cui la decisione di ridistribuire risorse pubbliche è imputabile ad autorità pubbliche”.
La distinzione quindi fra pubblico e privato è un fattore determinante.

4 – Il finanziamento degli aeroporti (53/70)

Prima di introdurre l’argomento sul finanziamento degli scali, la Commissione passa ad esaminare quali siano le attività svolte da un aeroporto, riconducendole in quattro distinte categorie.
Va precisato che quanto segue è una lista non delle attività di prerogativa del gestore, bensì un elenco delle attività “svolte” in generale in uno scalo.

a)    costruzione delle infrastrutture e degli impianti aeroportuali (piste di volo, terminal, aree di stazionamento ecc);
b)    utilizzo delle infrastrutture, comprendendo anche la manutenzione e la gestione dell’infrastruttura aeroportuale;
c)    fornitura dei servizi aeroportuali connessi al trasporto aereo, quali i servizi di assistenza a terra, l’utilizzazione delle infrastrutture stesse. Vengono compresi sotto questa seconda tipologia anche i servizi antincendio, di pronto soccorso e di sicurezza;
d)    lo svolgimento di attività commerciali non necessariamente connesse alle attività di base dell’aeroporto. Avverte la commissione che poiché tali attività non rientrano propriamente nell’attività “di trasporto” il loro eventuale finanziamento pubblico esula dal campo di applicazione degli orientamenti espressi dalla Commissione stessa.
Gli orientamenti contenuti nel testo si applicano a tutte le attività aeroportuali, “escluse le attività connesse alla sicurezza, al controllo aereo e qualsiasi altra attività di cui è responsabile uno Stato membro nell’esercizio dei propri poteri pubblici.”
Il testo passa quindi ad esaminare quali possano essere le modalità di finanziamento delle quattro singole attività.

4-1 – Il finanziamento delle infrastrutture aeroportuali

Quando esercita un’attività economica, quale quella surriportata relativa al caso “Aeroporti di Parigi”, il gestore di un aeroporto dovrebbe finanziare con risorse proprie i costi di utilizzazione o di costruzione delle infrastrutture che gestisce. “Ne consegue che la fornitura ad un gestore, da parte di uno Stato membro (a livello sia regionale che locale) che non agisce come investitore privato, di infrastrutture aeroportuali senza adeguata contropartita finanziaria, oppure l’erogazione ad un gestore di sovvenzioni pubbliche destinate a finanziarie infrastrutture, possono conferire a quest’ultimo un vantaggio economico a scapito dei suoi concorrenti, che deve essere notificato ed esaminato alla luce delle norme relative agli aiuti di Stato”.
In presenza quindi di “attività economica”, posizione questa nella quale rientrano in pratica la maggior parte dei grandi aeroporti, eventuali sussidi dovrebbero essere vietati e comunque in ogni caso vanno vagliati alla luce della normativa vigente.
Un’ipotesi degna di essere evidenziata è quella prevista al punto 60, laddove viene precisato che nel caso vengano messe a disposizione del gestore dell’aeroporto infrastrutture addizionali rispetto a quelle originariamente a lui trasferite, “sarà necessario che il gestore versi un affitto corrispondente al valore di mercato, che rifletta in particolare il costo della nuova infrastruttura e la sua durata d’uso”.
In tutti i casi di dubbia interpretazione, qualora non sia possibile escludere l’esistenza di aiuti di Stato, la misura dovrà essere notificata alle autorità comunitarie.

4-2 – Le sovvenzioni per lo sfruttamento delle infrastrutture aeroportuali

Passando dal finanziamento delle infrastrutture al loro utilizzo, “la Commissione ritiene, in linea di massima, che il gestore di un aeroporto debba, come qualunque operatore economico, sostenere i costi normalmente connessi alla gestione e alla manutenzione dell’infrastruttura aeroportuale, attingendo alle proprie risorse”. Siffatti finanziamenti però non costituiscono aiuti di Stato qualora rappresentassero compensazioni di carattere pubblico erogate rispettando le condizioni previste dalla Corte di Giustizia relativamente alla sentenza Altmark; in tutte le altre ipotesi le sovvenzioni sarebbero sospette di aiuto di Stato.
Mentre per gli scali minori appartenenti alla fascia “D” la Commissione  considera compatibili le compensazioni di servizio pubblico che costituiscono aiuti di Stato, “dovrà invece essere notificata  ed esaminata caso per caso ogni compensazione di servizio pubblico costitutiva di aiuti di Stato concessa agli aeroporti di dimensioni superiori ( categorie A,B,C) che non rispetti i criteri e le condizioni  previste dalla presente decisione”.

4-3 – Le sovvenzioni per i servizi aeroportuali

In base a quanto stabilito dalla direttiva 96/67/CE, superata la soglia dei 2 milioni di passeggeri, l’attività di handling diventa una attività soggetta alle regole della concorrenza, e deve essere autosufficiente.
Al disotto dei 2 milioni di passeggeri l’ente di gestione dell’aeroporto, in assenza di concorrenza sull’attività di handling dovrà adoperarsi per non violare le disposizioni nazionali o comunitarie, in particolare per evitare abusi di posizione dominante.

5 – Gli aiuti di avviamento (71/80)

Dopo aver esaminato la situazione dall’ottica dell’economia aeroportuale e degli aiuti che il gestore può ricevere dallo Stato, la Commissione in questa parte introduce l’aspetto inedito, quello che in pratica necessitava di chiarimenti che tratta specificatamente l’argomento “caldo” degli eventuali sussidi che il gestore vuol concedere all’aerolinea.
Precisiamo che esaminando l’aspetto in linea generale, abbiamo già trattato l’argomento delineando il nostra opinione in merito. (Travelling Interline, Dicembre 2005, “Gli incentivi degli aeroporti, perché è sbagliato criticarli”)
Il nostro precedente intervento prendeva spunto dal decreto legge, di casa nostra, riguardante i cosiddetti requisiti di sistema, mentre ora si tratta di vagliare il parere della UE il quale, sarà bene ricordarlo, è scaturito essenzialmente dal caso “Charleroi-Ryanair”.
Già il primo paragrafo  di questo quinto capitolo è davvero assai “intrigante”: “gli aeroporti minori spesso non dispongono del volume di passeggeri necessario per raggiungere una dimensione critica e la soglia di redditività”.

In data 18 gennaio 2006, l’ACI (Airports Council International) ha diramato un comunicato dai toni preoccupati (2) ove si lancia l’allarme in previsione, entro l’anno 2020, del raddoppio del traffico aereo che dovrebbe arrivare a toccare i 2 miliardi di passeggeri.
Tutte le persone dotate di un minimo di buonsenso dovrebbero prendere atto che lo sviluppo di un mezzo di trasporto, qualunque esso sia, non può non prescindere dalle obiettive restrizioni con le quali esso si deve confrontare nello spazio, nell’ambiente, nel continente ove esso opera.
Se il mezzo automobilistico e la sfrenata corsa alla vendita di nuovi modelli  ha portato alla costruzione di autostrade sempre più larghe e inquinamento dell’aria che si respira, si dovrà prima o poi prendere atto che oltre non si può andare, con tutte le conseguenze pratiche che ne derivano.
Il mezzo aereo si dibatte, specialmente in Europa, con lo stesso problema di compatibilità ambientale in particolare per la carenza di spazi. Ebbene fino a quando vogliamo ancora permettere a nuovi aeroplani di prendere il volo? Ma soprattutto, siamo veramente sicuri che il tipo di collegamento sui quali essi vengono impiegati sia fatto in maniera rispondente alle reali necessità?
È un dato di fatto che in presenza di un mezzo di trasporto pubblico efficiente, quale ad esempio una capillare rete di metropolitana in una determinata città, i cittadini di questa città possono fare a meno di usare il loro automezzo per spostarsi.
In Italia, ad esempio, un solo aeroporto intercontinentale a cui faccia corollario un aeroporto attivo in ogni regione, tramite il quale connettersi al principale scalo del paese, non rappresenterebbe una politica più coerente rispetto ad avere una cinquantina di aeroporti attivi (3) ognuno dei quali pretende di avere il suo collegamento con Londra, se non addirittura con New York?
Sembra che per l’ambizione di un singolo, si tenda a sacrificare la realizzazione di un network razionale dei trasporti. Torniamo al citato paragrafo 71 dell’Orientamento:
“gli aeroporti minori spesso non dispongono del volume di passeggeri necessario per raggiungere una dimensione critica e la soglia di redditività”.
Ebbene, di fronte ad una tale ammissione, quanto è saggio insistere a mettere in condizione un determinato scalo di operare, fino ad arrivare al punto che esso “paghi” l’aerolinea pur di veder attivato un regolare collegamento di linea?

Prosegue la Commissione annotando come qualcuno degli aeroporti minori può farcela in virtù dell’aumentato flusso di traffico derivante dai passeggeri trasportati da quelle aerolinee che debbono adempiere oneri di servizio pubblico, ma per gli altri il problema sussiste.
È agevole già intravedere da una tale impostazione la volontà di voler in ogni caso dare per scontato che la tipologia degli aeroporti “minori” vada agevolata.

Ora è scontato che un aeroporto minore, opportunamente situato, possa fungere da eccellente valvola di sfogo di hub superaffollati risolvendo in tal modo ai burocrati di Bruxelles l’altra “patata bollente” degli slots aeroportuali, tuttavia una tale constatazione non dovrebbe far perdere di vista l’aspetto critico sopra accennato riguardante la sostenibilità del sistema aviazione. E quest’ultima non deve venir intesa solo come spazi aeroportuali, ma anche come congestione dei cieli, ferma restando in ogni caso la imprescindibile necessità di una rete di collegamenti “intelligenti”, non necessariamente basati su un continuo proliferare di aeroporti.

Stante tale situazione in cui versano gli aeroporti minori prosegue la Commissione, “ne consegue che le compagnie aeree non sempre sono disposte, senza incentivi, a correre il rischio di aprire collegamenti in partenza da aeroporti sconosciuti e non ancora affermati”.
Invitiamo il lettore a ben considerare le parole dei Commissari UE specialmente laddove essi confermano l’esistenza di aeroporti  “sconosciuti e non ancora affermati” e si parla di rischi per le aerolinee, in quanto tali affermazioni saranno da noi riprese più avanti.
A fronte di tali aggettivi viene comunque spontaneo ribadire l’obiezione di fondo circa la reale opportunità di favorire in ogni caso l’attivazione di collegamenti aerei da questi scali.
Ma la Commissione, che invece la pensa in modo differente, arriva ad accettare “nel rispetto di determinate condizioni, l’erogazione temporanea di aiuti pubblici alle compagnie aeree, nella misura in cui questo le incentiva a creare nuovi collegamenti o nuove frequenze  a partire dagli aeroporti regionali e ad attirare il volume di passeggeri necessario a permettere loro di raggiungere poi, entro un periodo di tempo limitato, la soglia di redditività”.
Bene, siamo giunti al punto focale del problema. In un continente sovraffollato, ove si vanno moltiplicando le grida di allarme sulla criticità raggiunta dal sistema, le Autorità di Bruxelles anziché disincentivare il proliferare di nuovi aeroporti e di nuovi collegamenti, si muovono esattamente nella direzione opposta; il tutto in nome della sacra concorrenza, figlia diretta della deregulation.
Il passo successivo è consequenziale: l’aeroporto è sconosciuto, l’aerolinea non può rischiare, ergo: i sussidi elargiti dal gestore all’aerolinea si possono approvare.
Al successivo paragrafo 75 la Commissione ha comunque un barlume di apertura circa il nostro punto di vista, arrivando a concedere che “non sarà ammissibile concedere aiuti per l’apertura di un nuovo collegamento aereo che corrisponde ad un collegamento ferroviario ad alta velocità”.
Quindi, si riconosce la necessità di armonizzazione del sistema trasporti europeo; peccato che non si arrivi fino alle estreme misure che derivano da una tale presa d’atto.
La Commissione avverte infine che saranno inoltre ammesse facilitazioni “a favore delle regioni ultraperiferiche penalizzate da una ridotta accessibilità”.

5-2 Criteri di ammissibilità

Quali sono gli incentivi ammessi e di quali modalità operative essi si avvalgono?
Attenzione a quanto segue in quanto ci imbattiamo in un nuovo caso di palese incongruenza.
Avverte la Commissione (paragrafo 77) che gli incentivi finanziari eventualmente concessi dai gestori alle aerolinee “procurano vantaggi” a quest’ultime “e possono pertanto originare direttamente distorsioni tra compagnie nella misura in cui determinano un abbassamento dei costi operativi dei beneficiari”.
Ma tre paragrafi prima (74) la Commissione non aveva riconosciuto che l’aerolinea che avesse aperto una rotta su questi aeroporti minori, correva un rischio?
Allora, se si ammette la possibilità del rischio d’impresa, in virtù del quale viene anche approvata la corresponsione di un sussidio, come si può poi affermare che tale sussidio  crea “distorsioni”? Ma nei confronti di chi? Del concorrente che non ha voluto correre il rischio?
Decisamente ci sembra che si voglia spaccare il capello e, come solitamente avviene in questi casi, si finisce per “accartocciarsi” sulle proprie tesi.
La commissione avverte anche che, “tali incentivi possono inoltre incidere indirettamente sulla concorrenza tra aeroporti in quanto aiutano gli aeroporti a svilupparsi o in quanto spingono una determinata compagnia alla delocalizzazione da un aeroporto comunitario ad un aeroporto regionale. Si tratta pertanto di incentivi che di norma costituiscono aiuti di Stato e sono soggetti all’obbligo di notifica alla Commissione”.
Tenendo conto di questi fattori la Commissione può autorizzare siffatti sussidi solo se ricorrano determinate condizioni quali le dodici (!) sottoelencate:
1- gli aiuti vanno versati a vettori che detengono una licenza in corso di validità;
2- i sussidi vanno versati per rotte che collegano un aeroporto regionale rientrante
nelle categorie Ce D con un altro aeroporto dell’Unione. Aiuti per scali rientranti
nella categoria B potranno essere previsti solo in via eccezionale.
3- Gli aiuti non devono riguardare rotte che comporterebbero “uno sviamento ingiustificato del traffico in relazione alla frequenza e alla redditività dei servizi esistenti in partenza da un  altro aeroporto situato in una stessa città, uno stesso agglomerato urbano o da uno stesso sistema aeroportuale che serve la stessa destinazione o una destinazione comparabile secondo gli stessi criteri”.
4- Gli aiuti di avviamento dovranno essere decrescenti e limitati nel tempo.
5- L’aiuto non può riguardare i costi operativi normali quali ad esempio ammortamento
aeromobili, carburante, salari del personale di volo, oneri aeroportuali, catering, ma
deve essere “strettamente legato ai costi supplementari di avviamento connessi all’apertura del nuovo collegamento o della nuova frequenza”. Rientrano sotto tale tipologia di aiuto l’opera di marketing e di pubblicità necessarie per pubblicizzare  l’avvio del nuovo prodotto.
6- Intensità e durata: l’aiuto decrescente può essere concesso per una durata massima di tre anni e comunque “il periodo durante il quale ad una determinata compagnia aerea viene concesso un aiuto per l’apertura di nuovi collegamenti deve essere ampiamente inferiore al periodo per il quale tale compagnia si impegna ad esercitare le sue attività in partenza dall’aeroporto considerato”.
7- Il versamento dell’aiuto deve essere rapportato all’aumento effettivo del numero di
passeggeri trasportati.
8- L’ente pubblico che intende erogare ad una compagnia, tramite uno scalo o senza, aiuti
all’avviamento di una rotta è tenuto a rendere pubblico il proprio progetto.
9- La compagnia aerea che proponga un servizio ad un ente pubblico che intende erogare
un aiuto di avviamento dovrà presentare un piano economico che dimostri la redditività
della linea anche dopo la cessazione dell’aiuto.
10- Gli Stati debbono provvedere a pubblicare ogni anno per ogni aeroporto l’elenco delle
rotte sovvenzionate.
11- Possibilità di ricorrere agli appropriati organi giurisdizionali per eventuali controversie
circa discriminazioni che possono sorgere in seguito alla concessione di aiuti pubblici.
12- Previsione di sanzioni da applicare alla compagnia aerea in caso di mancato rispetto degli impegni assunti nei confronti dell’aeroporto.
Gli aiuti non potranno essere concessi quando l’accesso ad una determinata rotta è riservato ad un solo vettore aereo a norma dell’articolo 4 del regolamento CEE 2408/92. Vedi a tal proposito nota (4)
Gli aiuti di avviamento inoltre, avverte la Commissione, non potranno cumularsi con altri tipi di aiuti erogati.

6) Beneficiari di aiuti precedenti illegali (82)

Questo breve capitolo nell’unico suo paragrafo (82) tratta dell’eventualità di erogazione di un aiuto illegale in merito al quale la Commissione avesse già adottato una decisione negativa.

7) Opportune misure ai sensi dell’articolo 88, paragrafo 1 del trattato (83/84)

Gli Stati vengono invitati a variare opportunamente gli eventuali loro regimi in modo da renderli conformi ai pareri della UE, “al più tardi il 1° giugno 2007”.

8) Data di applicazione (85/86)

La Commissione si riserva la facoltà di “procedere ad una valutazione approfondita dei presenti orientamenti in quattro anni dopo la loro applicazione. In base ai risultati di tale valutazione la Commissione potrà eventualmente rivedere i presenti orientamenti”.

Cosa dire di questi “orientamenti”? Siamo in presenza di un chiaro tentativo di regolamentare un settore che si è voluto deregolamentare. Già questa considerazione da sola la dice lunga sulla reale efficacia di tali interventi. Come da noi più volte annotato, le aerolinee sono state chiamate a liberalizzare il loro cartello tariffario con sconti e offerte di ogni tipo, ma se sconti e offerte vengono fatte dagli aeroporti a favore delle aerolinee, allora – fermi tutti! – il caso va vagliato attentamente. E tutto ciò avviene in uno scenario che vede ogni giorno fiorire ovunque nuovi collegamenti, nuove aerolinee, nuovi aeroporti, mentre gli scali già attivi sono chiamati a ridurre la loro attività a causa di restrizioni ambientali: non c’è che dire, è uno spettacolo assai poco rassicurante ove gli interventi delle autorità incaricate più che fornire soluzioni contribuiscono a ingarbugliare ancor più le file della matassa.
Noi ribadiamo il nostro punto di vista; il rapporto tra aerolinea e aeroporto deve essere aperto a tutte le facilitazioni commerciali e di marketing che possono attuarsi fra soggetti uno dei quali è cliente e l’altro fornitore: massima facoltà di concedere facilitazioni e sconti senza passare sotto le forche caudine di condizioni restrittive di autorità terze. Eventuali, temute distorsioni di concorrenza si superano permettendo a tutte le aerolinee di qualsiasi tipologia e a tutti gli scali, pubblici e privati indipendentemente dal numero passeggeri annui, di poter concedere sconti.
In pratica gli aeroporti debbono essere messi in grado di poter condurre qualsiasi politica tariffaria essi reputino opportuna per catturare i loro clienti, ossia le aerolinee. Si tratta in pratica di liberalizzare in pieno il rapporto aerolinee:aeroporti, così come già accaduto nel rapporto aerolinee:passeggeri.

(1)    Massimo Deiana, “gli oneri di pubblico servizio nel trasporto aereo” (Il nuovo diritto aeronautico)
(2)    ACI: “Europe’s airports call for greater industry cooperation to tackle mounting capacity crisis”
(3)    L’annuario Statistico ENAC, anno 2004, riportava 49 scali attivi nel trasporto aereo commerciale.
(4)    Specifica tale articolo: “L’accesso ad una rotta sulla quale nessun vettore aereo abbia istituito o si appresti ad istituire servizi aerei di linea conformemente all’onere di servizio pubblico imposto su tale rotta, può essere limitato dallo Stato membro ad un unico vettore aereo per un periodo non superiore a tre anni al termine del quale si procederà ad un riesame della situazione. Il diritto di effettuare siffatti servizi sarà concesso, tramite appalto pubblico, per rotte singole o serie di rotte a qualsiasi vettore comunitario abilitato a effettuare tali servizi”.

Antonio Bordoni