grotta-bianca6Una selva di ulivi secolari ricopre gran parte della Puglia. Questi alberi sempreverdi, caratteristici degli ambienti e dei climi mediterranei, amati e ammirati per i loro tronchi scultorei che si avvolgono in spirali ascendenti in senso orario verso l’alto, affondano le loro radici nel sottosuolo calcareo della regione; qui, cercando frescura e umidità, incontrano altre fantastiche forme creata dalla natura: cristalli, drappeggi e volute di alabastro che rivestono i pavimenti, le pareti e le volte delle grotte. Nelle profondità delle Murge, rilievi dalla superficie ondulata  che con ampi terrazzi si elevano dalla pianura costiera dell’Adriatico a Sud-Est di Bari, si sviluppano

le Grotte di Castellana

coppa-del-mondo21Della presenza nel sottosuolo dei grandi vuoti costituiti dalle grotte non v’è testimonianza in superficie, se non per la natura propria di un territorio carsico com’è quello delle Murge. Le Murge, infatti, dal latino murex (murice, conchiglia, ma anche roccia, pietra aguzza, sasso), sono costituite da rocce calcaree depositate in strati di vario spessore e formate da antichi sedimenti marini fossili che si sono determinati in seguito al lento accumulo di gusci di conchiglie, molluschi e alghe calcaree.

Il costante accrescimento di questi depositi, che si è verificato in tempi remoti, risalenti a oltre 100 milioni di anni fa, alternato a fasi di sedimentazione nei bacini marini è testimoniato dagli strati di diverso spessore della roccia calcarea, separati da pause di deposito.

Queste rocce, a seguito delle sollecitazioni tettoniche che si verificarono al momento della loro emersione dalle acque, furono soggette a un diffuso processo di fratturazione. Nel dialetto pugliese le pietre ricavate da un particolare orizzonte di queste bancate rocciose vengono chiamate chianche e chiancarelle. Le pietre strappate dagli antichi contadini alla Murgia per ricavare il poco terreno utile alle colture furono impiegate per edificare case, masserie, trulli, per pavimentare le vie cittadine e per costruire muretti a secco ed erigere specchie.

Le uniche spie di una possibile presenza nel sottosuolo di grotte sono particolari depressioni del terreno, prevalentemente di forma circolare, note con il nome di doline; molte di esse sono state sapientemente sistemate dai contadini a terrazze circolari per consentire la coltivazione e impedire al terreno di sprofondare verso il basso; questi avvallamenti superficiali, assieme agli inghiottitoi e alle voragini, costituiscono le vie preferenziali per l’assorbimento delle acque. 

Assente del tutto l’idrografia di superficie, per via della fessurazione e della conseguente permeabilità del calcare, le acque meteoriche raggiunsero così gli strati più profondi del sottosuolo creando corsi d’acqua sotterranei che via via hanno originato canali, gallerie e caverne, successivamente interessate da giganteschi crolli.

In alcuni casi essi furono tanto imponenti da interessare la volta e causare l’apertura di ampi lucernari che misero le grotte in comunicazione con l’esterno: è il caso della Grave, il grande pozzo profondo oltre 60 metri che dà inizio al fantastico mondo sotterraneo delle Grotte di Castellana.

 

La Grave

la-grave-101La prima caverna del sistema carsico delle Grotte di Catellana e l’unica comunicante con l’esterno è la Grave: un grandissimo pantheon naturale che misura cento metri di lunghezza, cinquanta di larghezza e con una profondità di sessanta. Dall’ampio lucernario, dal quale traspare un lembo dell’azzurro cielo di Puglia, nelle belle giornate i raggi del sole, con incidenza e durata diverse a seconda dell’ora del giorno o della stagione dell’anno, giungono fino al fondo dell’abisso a illuminare i giganteschi gruppi stalagmitici, ribattezzati Ciclopi, che si innalzano dal suolo, le grandi stalattiti troncate dagli immani crolli che si verificarono in tempi lontanissimi e le lontane pareti che la luce del sole e l’umidità hanno rivestito di muschi e felci.

Nella Grave si narra che siano scesi, verso la metà del Settecento, alcuni intrepidi esploratori castellanesi per svelare, infine, il mistero della grande voragine.

Essa era, infatti, conosciuta da tempo immemorabile e già compariva, con il termine Graua, nelle carte geografiche dell’inizio del Seicento.

All’estremità Sud-orientale della Grave due alte colonne affiancate, denominate le Colonne d’Ercole, immettono nel vasto complesso sotterraneo delle Grotte di Castellana.

Le caverne

Le Grotte di Castellana presentano, in tutta la loro estensione, sia lungo il percorsdo turistico che nei rami secondari, una molteplicità di dimensioni, forme e stili.

Alle grandi caverne succedono ampie gallerie, a queste, strette e alte forre che si aprono in nuove caverne e in altre gallerie. Spesso interrompono questa successione le brusche riduzioni di sezione di angusti meandri ed esigue strettoie.

Le profonde voragini che numerose si incontrano lungo il percorso indicano, infine, le vie attraverso le quali il corso d’acqua che scavò le grotte intraprese la ricerca della sua meta ultima, il raggiungimento del livello del mare.

Anche i rivestimenti creati dall’alabastro sulle volte, le pareti e i pavimenti  sono dei più vari aspetti: ricche colonne tortili, concrezioni eccentriche dalle arabescate volute, sontuosi drappeggi di cortine dai colori purpurei fanno da contrappunto a snelle guglie svettanti verso l’alto, alle ordinate scacchiere di un candido pavimento di cristalli.

La ricercatezza delle forme, tipica del Barocco, unita alla tensione verso l’alto del Gotico, si affiancano spesso in un’unica caverna o si inseguono in scenari che il più fantasioso artista avrebbe fatto fatica a immaginare e a convivere in un’unica armonia.

 

La Grotta Bianca

All’estremità del percorso sotterraneo e a circa 1.500 metri dalla Grave, un piccolo portale scavato in una imponente parete di alabastro, immette nell’ultima e più bella caverna delle Grotte di Castellana: la Grotta Bianca.

D’improvviso tutte le meraviglie degli ambienti attraversati fin qui, quasi scompaiono di fronte al fulgore di quest’angolo di paradiso.

Avanzando lentamente, quasi in religioso silenzio in questo tempio sotterraneo, si dispiega attorno allo stupito visitatore tutto il candore dell’alabastro, che ha fatto definire questa grotta la più splendente del mondo.

Un piccolo bacino, un tempo ricolmo di acque di stillicidio, mostra ora tutta una gemmatura di cristalli che ricopre il fondo e le pareti di questo minuscolo, ma spettacolare laghetto.

Bianche e diafane stalattiti nelle quali la luce si riflette, rivestono ogni angolo della caverna. Di fronte lo scenario finale: due alte, imponenti colonne sembrano sorreggere la volta dell’ultimo ambiente, in ogni dove adorno di bianche stalattiti e di concrezioni coralloidi. E’ questo il termine ultimo dell’esecuzione sotterranea e certamente il momento più suggestivo, che ci ricorda ancora una volta la potenza e la leggiadria della natura.

I rami laterali

Al di là dell’itinerario turistico normalmente percorso dai visitatori, esistono nelle grotte di Castellana varie diramazioni laterali, dove gli speleologi spesso si recano per condurvi i propri studi e per proseguire le esplorazioni.

Il più lungo di questi rami secondari, modesti affluenti dell’antico alveo fluviale, è quello dell’Angolo Incantato, che ha inizio nella Caverna della Fonte e che prende il nome da un ricco scrigno di concrezioni eccentriche che si trova in una delle caverne più lontane dall’mbocco.

Qui giunsero nel 1949 i primi esploratori del Gruppo speleologico castellanese, dopo che nel 1938 Vito Matarrese, che assieme ad Anelli partecipò alla scoperta delle grotte, si era fermato nella prima sala, chiamata Caverna dei Pipistrelli perchè qui, ancora oggi, usano svernare numerosissimi chirotteri.

Nel 1969 alcuni componenti del Gruppo Puglia Grotte, erede della prima associazione speleologica castellanese, forzando un’esigua strettoia si inoltrarono in un lungo budello, ricco di splendidi cristalli, che li portò fino alla Caverna Terminale, dal suolo ricolmo di esili stalagmiti traslucide. Altre diramazioni laterali sono quelle del Ramo Nord-occidentale, del Piccolo Paradiso e delle Voragini.

Le concrezioni

L’aspetto certamente più affascinante del paesaggio delle grotte è il loro concrezionamento: il rivestimento, cioè, delle nude pareti delle caverne da parte di depositi di calcare che, attraverso tempi lunghissimi, sono stati portati in sospensione dall’acqua piovana nel suo lento attraversamento degli strati rocciosi sovrastanti.

Una volta raggiunti i vuoti delle caverne, l’acqua di stillicidio cadendo al suolo lascia, sia sulla volta che sul pavimento, un deposito di carbonato di calcio che permette la crescita delle stalattiti, le formazioni che pendono dal soffitto, e delle sottostanti stalagmiti. Con il trascorrere del tempo il progressivo accrescimento della stalattite e della stalagmite porterà alla loro unione e alla formazione di una colonna.

Ma oltre a queste forme elementari, esistono molte altre tipologie di concrezionamento, quali le colate e le cortine, dovute allo scorrimento dell’acqua, le concrezioni coralloidi e i cristalli di laghetto, generati in ambiente subacqueo, e infine le concrezioni eccentriche, che sfidano le leggi di gravità e le perle di grotta, strati successivi di calcite formatisi attorno a un microscopico granello di roccia.

La fantasia della natura

La fantasia della Natura ha creato nelle grotte di Castellana singolari concrezioni, nelle quali gli scopritori e i primi visitatori hanno riconosciuto forme e aspetti del mondo esterno e alle quali hanno attribuito denominazioni che da allora contraddistinguono i vari ambienti. Già dalla prima caverna chiusa si incontra una riconoscibilissima Lupa romana, seguono poi il Cammello, i Cactus e il Castello, grandi gruppi stalagmitici della Caverna dei monumenti.

La natura ha spesso legato assieme anche note sacre e profane: la calza di Nylon pende ad esempio, come messa ad asciugare, all’ingresso del Corridoio dell’Angelo, sul quale sembra però vigilare un’aerea cortina alata, poco oltre la Civetta, animale sacro a Minerva.

Ancora un altro ambiente ed ecco il Presepe, quindi il Serpente, l’Altare e la Fonte, per rimanere nella prima parte del percorso.

Procedendo verso la Grotta Bianca appaiono in sequenza, dopo il Corridoio del Deserto, la Coppa di Champagne, il Duomo di Milano, in onore di Anelli, nativo di Lodi, il trono di Plutone, signore degli inferi, l’Inferno, alla cui soglia è un incerto Dante e la Torre di Pisa, ambiente noto anche con il nome di Caverna della Colonna Rovesciata.

Una ricca formazione semicircolare, il Baldacchino e la successiva Caverna della Cupola sono, infine, il preludio alla Grotta Bianca.