Di Alessandro Valentini.
 
Il bello dell’Irlanda è la possibilità di imbattersi praticamente ovunque sul suo territorio nelle tante testimonianze delle numerose stratificazioni storiche che hanno concorso a formare la cultura, il popolo e la nazione irlandese.

Così Dublino oltre ai suoi simboli più noti (James Joyce, Oscar Wilde, Molly Malone, il Trinity College, i pubs di Temple Bar, il birrificio Guinness), mostra orgogliosa anche i segni delle dolorose vicende che hanno segnato buona parte del millennio di storia più recente, per esempio attraverso la toponomastica cittadina che richiama i nomi degli eroi dell’indipendentismo irlandese.

Ma la ricchezza di storia e di storie si riscontra con analoga frequenza anche nelle campagne, nonostante si tratti spesso di lande rigogliose ma molto poco abitate – l’Eire, come risultato della lunga storia di emigrazioni dall’isola, ha oggi meno di 4,5 milioni di abitanti, che diventano quasi 5,5 milioni con gli abitanti dell’Ulster.

Custodiscono la memoria di un passato millenario i tanti ruderi di castelli medievali e di abbazie sopravvissute alla furia distruttiva anglicana, i resti di antichi cottages abbandonati ai tempi della grande fame, i muretti che chissà da quanti secoli delimitano i fondi e le proprietà terriere.

Ma aggirandosi per la campagna irlandese può capitare di imbattersi in vestigia di un passato ancor più lontano e glorioso, vestigia umane solo apparentemente irriconoscibili e indistinguibili nel panorama rurale: cumuli di pietre, grandi massi allineati, o collinette perfettamente circolari, che in realtà sotto un verde manto d’erba custodiscono reliquie umane.

Questo è il genere di sorprese in cui ci si può imbattere nel Meath, una contea una trentina di km a nord di Dublino, e quindi facilmente visitabile in caso di soggiorno nella capitale: qui tra le dolci e rigogliose colline scorre il fiume Boyne, la cui vallata rappresenta la vera e propria culla della civiltà irlandese: su queste colline si trovano tracce del passaggio di San Patrizio, che proprio da qui nel 430 cominciò la sua opera di evangelizzazione dell’isola; qui nel XII secolo fu costruito il castello di Trim, la fortezza anglo-normanna, forse meglio conservata di tutta l’Irlanda; qui sopravvivono decine di ruderi di castelli medievali, e si stagliano ancora numerose croci celtiche in pietra; qui ha sede l’abbazia di Kells (del 554) da cui proviene uno dei più antichi vangeli esistenti e orgoglio del Trinity College di Dublino.

Non da ultimo è qui che ebbe luogo la battaglia del Boyne, in cui il primo luglio 1690, data infausta per la storia irlandese, Guglielmo III, Principe di Orange e protestante olandese, sconfisse il cattolico Giacomo II Stuart.

Tuttavia Meath in gaelico significa “il centro”, ed è quindi “la Contea di mezzo”, e per comprendere il motivo per cui quest’area non lontana dalla costa orientale dell’isola è così denominata occorre fare un salto indietro di 5000 anni, risalendo ad un’epoca lontanissima ma in cui l’Irlanda era già abitata da diverse migliaia di anni, ovvero dalla fine dell’ultima glaciazione, quando qualche migliaio di cacciatori del mesolitico vi si stanziò giungendovi dalla Scozia.

Questi uomini già attorno al IV millennio A.C., stimolati dai contatti commerciali e culturali con le popolazioni della vicina isola britannica e del continente europeo, si erano evoluti in una complessa e organizzata civiltà neolitica, basata sull’agricoltura, sull’allevamento e sulla produzione di vasellame, e specializzata soprattutto nell’arte megalitica, con cui erigendo grandi pietre o gruppi di pietre costruivano monumenti sacri, per il culto dei morti così come per l’osservazione del moto degli astri, fondamentale per apprendere e monitorare il susseguirsi delle stagioni, il che era di vitale importanza per organizzare le attività agricole, ma anche per confortare tutti gli uomini.

Essi infatti sarebbero stati inghiottiti dal freddo, dalle tenebre, dalle carestie e dall’estinzione se il sole ogni 22 dicembre non avesse ricominciato il suo percorso verso il ritorno alla luce, verso la stagione della rinascita della vita dalla terra.

Osservare l’andamento del sorgere del sole sulla linea dell’orizzonte – e quindi avere conferma che esso non si sarebbe fermato e ancora una volta avrebbe permesso la continuazione della vita sulla terra – rappresentava un momento di importanza capitale nella cultura religiosa degli uomini dell’epoca.

Gli studiosi e gli archeologi oramai concordando sul fatto che i circoli megalitici in pietra che si ritrovano in tutta l’Europa occidentale, il più noto dei quali è il cerchio di Stonehenge, sono tutti allineati con precisi momenti del moto degli astri (equinozi e solstizi in primis) e assolvono principalmente a tali funzioni rituali, piene di valenze religiose, scientifiche, ed anche sociali.

Ma i primi abitanti della valle del Boyne si specializzarono soprattutto nella costruzione di tombe a tumulo, ovvero in sepolture ricoperte da monticelli artificiali e quasi sempre di forma circolare, che in realtà nel corso dei millenni non funsero solo da tombe ma finirono per diventare anche luoghi per la celebrazione di cerimonie legate a vari culti, da quelli solari più antichi a quelli celtici più recenti.

Ebbene è nella valle del Boyne che si concentrano la maggior parte delle testimonianze di questo mondo, primordiale per certi versi, evoluto e sofisticato per altri.

E’ il caso soprattutto del sito noto col nome di Bru Na Boinne (in gaelico “il palazzo sul Boyne”), il principale centro degli insediamenti umani d’Irlanda per almeno 6 mila anni: dal 1993 è Patrimonio mondiale dell’Unesco, e attualmente è meta ogni anno di oltre 200.000 visitatori.

L’area così denominata si estende su circa 780 ettari di terreno collinare che costeggia il Boyne a una quindicina di km dalla sua foce sulla costa nord-orientale dell’Irlanda, e comprende una vasta necropoli in uso tra il 3200 e il 2700 A.C. composta da una novantina di preziosi siti archeologici: menhir, cerchi megalitici e soprattutto una quarantina di tumuli a corridoio, notevoli per numero e dimensioni, che rappresentano la più diretta testimonianza delle evolute conoscenze tecniche, artistiche ed anche astronomiche raggiunte dalle popolazioni neolitiche d’Irlanda.

All’interno di quest’area, sulla sommità di alcune piccole colline una vicina all’altra e dominanti il paesaggio circostante, spiccano i tre gruppi di Knowth, Dowth e Newgrange, che si sviluppano ognuno attorno a tre grandi tombe a corridoio, ovvero a enormi tumuli a pianta circolare, di diametro di diverse decine di metri.

Dowth al momento è chiuso al pubblico perché oggetto di scavi; il tumulo di Knowth invece è visitabile solo dall’esterno (ma una sua visita vale comunque la pena viste le numerose altre piccole tombe che circondano il tumulo maggiore) mentre Newgrange, la più antica e famosa tomba a corridoio d’Irlanda, è aperta al pubblico e visitabile anche all’interno.

Per accedere al complesso museale all’aperto di Bru Na Boinne occorre acquistare il biglietto presso il moderno Visitor Centre, ricavato senza arrecare danni al paesaggio circostante all’interno di una collinetta a debita distanza dai siti archeologici; da qui con una breve passeggiata nel verde, che include il passaggio su un ponticello pedonale sul Boyne, si accede alle navette che ogni quindici minuti attraversando le proprietà delle rade case e fattorie che persistono all’interno dell’area archeologia protetta portano i turisti sino ai piedi del luogo ove più di 5000 anni fa si decise di costruire una stupefacente e imperituro monumento alla memoria di chissà quale importante defunto.

Da vicino la tomba a corridoio di Newgrange appare finalmente nella sua maestosità e nella sua armonica bellezza: è un enorme tumulo a pianta circolare, con un diametro di 80 metri e alto fino a 15 metri grazie anche alla terra da riporto che lo ricopre, ed è ben distinguibile dalle altre sommità collinari per un alto muro perimetrale di pietre di bianchissimo quarzo, ricostruito fedelmente dagli archeologi esattamente come doveva essere a suo tempo.

A rendere ancora più suggestivo il sito concorrono poi alcune gigantesche pietre che dovevano fare parte di un enorme circolo megalitico di circa 100 metri di diametro, di cui gli studiosi finora non hanno saputo stabilire l’eventuale pre-esistenza al tumulo che circonda.

L’unica apertura presente, un piccolo portale che da adito al corridoio che porta alla camera sepolcrale posta al centro del grande monumento sepolcrale, è sul lato sud-est, ed il portale è come sbarrato da un’enorme pietra che bisogna aggirare per entrare.

Si tratta di un megalite lungo un paio di metri e alto all’incirca uno, intarsiato con elaborate spirali (simboli della ciclicità infinita del sole e di conseguenza della vita sulla terra) che lo rendono una delle più preziose testimonianze dell’arte megalitica europea.

All’interno il corridoio è buio, non molto largo e con un altezza di circa un metro e mezzo: così non è molto agevole percorrere i 19 metri fino alla camera sepolcrale, ampia ed elaborata, a forma di croce e con un soffitto a falsa volta alto sei metri.

L’imponenza del sito ha suggerito agli archeologi l’ipotesi che l’enorme tumulo dovesse essere luogo di sepoltura di qualche importante capo religioso o politico, e forse con lui fu seppellita anche tutta la sua famiglia.

Considerando che all’epoca gli uomini che costruirono Newgrange vivevano in capanne fatte di legname e pelli animali, stupisce infatti non solo la mole del tumulo ma anche quella delle singole pietre utilizzate per erigere il corridoio e la camera centrale: una evoluta tecnologia ed un’enorme forza lavoro dovettero essere impiegate per trasportare dalle lontane zone di provenienza le grandi pietre utilizzate e pesanti anche diverse tonnellate.

Senza contare poi che esse furono issate e incastrate perfettamente una sull’altra senza l’ausilio alcuno di leganti come la calce o il cemento, e dopo più di 5000 anni sono ancora esattamente nella stessa posizione, senza che all’interno sia mai filtrata una goccia d’acqua (i lavori di restauro effettuati nei decenni scorsi hanno interessato solo alcune parti perimetrali esterne).

Ciò che rende ancora più speciale il tumulo di Newgrange è quanto scoperto dall’archeologo O’Kelly alla fine degli anni ’60.

Egli scoprì che il sito era allineato con i movimenti del sole: più precisamente scoprì che all’alba dei giorni immediatamente precedenti e seguenti il solstizio d’inverno del 21 dicembre per una ventina di minuti un raggio di sole filtrava attraverso il lungo corridoio (e filtra, visto che il fenomeno è osservabile ancora oggi, tempo permettendo – all’epoca il clima d’Irlanda era un po’ più soleggiato di oggi): in questo modo un fascio di luce illuminava la camera sepolcrale, regalando agli osservatori un’intensa atmosfera mistica.

La particolarità è che all’alba di quei giorni la luce entra dal soffitto del portale ma illumina il pavimento della camera sepolcrale. Questo perché il corridoio dall’ingresso al centro del tumulo sale di circa 2 metri, senza peraltro che il visitatore abbia percezione di questa sensibile pendenza.

D’altronde che il tumulo di Newgrange fosse collegato al moto solare e più in generale al concetto di ciclicità lo si intuisce già osservando le spirali incise sul monolite d’ingresso o sulle grandi pietre che fungono da fondamenta del tumulo, o ancora rilevando come nel perimetro murale esterno composto da pietre di quarzo siano incastonate delle piccole pietre scure dalla forma ovale, richiamando quindi uno dei principali simboli pagani della rinascita.

Percorrere i venti metri di corridoio e soffermarsi nella camera sepolcrale di Newgrange è un’esperienza davvero unica, non solo perché i tanti misteri ancora irrisolti lasciano molto spazio alla fantasia del visitatore, ma anche perché, con ogni probabilità, lì dentro ci si ritrova con ogni probabilità all’interno del più antico edificio umano ancora in piedi ed entro cui si possa entrare.

Questo infatti è quello che si deduce da una parte considerando che i più recenti esami al carbonio 14 hanno posto l’edificazione dei tumuli di Newgrange, Dowth e Knowth a un paio di secoli prima del 3000 A.C. e dall’altra prendendo per buone le datazioni classiche che vogliono l’inizio della costruzione delle piramidi egizie attorno al 2700 A.C. Inoltre, dato che la sua costruzione è precedente anche a quella di Stonehenge, Newgrange è anche l’edificio allineato con gli astri più antico del mondo.

L’altro sito che concorre a spiegare la centralità del Meath si trova ad una quindicina di km a sud-ovest da Bru na Boinne: si tratta della mitica collina di Tara, uno dei luoghi più venerati della storia d’Irlanda, un sito cultuale e sepolcrale che ha alle spalle 4 millenni di storia, e che fu capitale politica e religiosa dell’isola almeno fino all’anno mille.

Per arrivarci dalle necropoli di Bru na Boinne occorre percorrere un breve tragitto che regala istantanee di altre epoche: si attraversa il villaggio di Slane ai piedi dell’omonima collina, che fu importante luogo religioso celtico prima e cristiano poi, e su cui domina un imponente castello settecentesco nella cui proprietà oggi si tengono esclusivi e suggestivi concerti di musica rock ( tra gli altri vi hanno suonato U2, Queen, Bob Dylan, David Bowie); si costeggiano vecchie cave e stabilimenti industriali dell’inizio del secolo scorso oramai dismessi; si scorgono nuove cittadine nate negli ultimi anni, che accolgono centinaia di giovani famiglie che fuggono dai folli prezzi del mercato immobiliare di Dublino, esploso negli anni di quel boom economico che ora è solo un lontano ricordo.

Tuttavia seguendo le indicazioni per la Hill of Tara si ritorna ben presto in mezzo al verde, e in un’altra epoca. Un bar, un ristorante due minuscole librerie e un piccolo parcheggio costeggiano gli ultimi metri di strada asfaltata, prima di procedere a piedi all’interno di un’area recintata ma dall’accesso libero.

Si sale per poche decine di metri verso una chiesetta sconsacrata con annesso un piccolo cimitero ottocentesco con grandi lapidi, dove alcuni irlandesi riuscirono a essere seppelliti, così vicino ad un luogo dalla centralità unica per la storia antica del proprio popolo.

Senza neanche accorgersene si è già quasi sulla sommità della collina. Essa oggi si presenta come un grande ampio poggio dalla forma quasi ovale, lungo più di 300 metri e con una larghezza di circa 250 m; da qui, nonostante la collina non sia particolarmente alta, si domina tutta l’area circostante, regalando un’ampia e bellissima visuale a 360° grazie a cui si ha la sensazione di poter abbracciare con lo sguardo gran parte dell’Irlanda.

Tara oggi è ricoperta di verdi pascoli, tuttavia due collinette chiaramente artificiali e strane e lunghe sagome curve e squadrate che rendono ondulato il terreno erboso tradiscono la grandezza e l’importanza che questo luogo ebbe nell’antichità.

Se per la mitologia celtica irlandese fu la residenza dei Tuatha de Danaan, preistorico popolo di colonizzatori dell’isola, venerati poi come dei nella tradizione gaelica, Tara storicamente fu un luogo sacro fin dalla tarda età neolitica (2500 A.C.), per poi divenire luogo fortificato durante l’età del ferro, ovvero con l’avvento della cultura celtica, quando Tara divenne anche un importante centro politico, sede di incontri e rituali, oltre che luogo privilegiato per l’incoronazione dei vari sovrani e sede regale dei Re dei re dell’isola, ovvero dei “Re di Tara”, denominazione con cui furono chiamate intere generazioni di capi celti.

Qui avevano luogo le grandi assemblee che coinvolgevano i capi politici delle tante genti d’Irlanda, che si riunivano per rinnovare le leggi, coordinarsi, e prendere importanti decisioni; nel contempo si celebravano cerimonie e si svolgevano fiere e mercati in cui si esibivano e commerciavano le più svariate mercanzie. In epoca celtica a Tara il più importante di tali appuntamenti cadeva ogni tre Samhain.

Il Samhain era una ricorrenza annuale che si celebrava in occasione dell’ultimo raccolto dell’anno: esso segnava l’inizio del periodo invernale, aveva luogo la notte del 31 ottobre, e in quest’occasione era possibile il contatto tra il mondo dei vivi e quello dei morti (Halloween discende da questa festività celtica).

Tuttavia di tutto questo quello che rimane oggi sono solo le “orme” degli edifici reali e dei luoghi di culto che almeno fino all’XI secolo fecero di Tara il centro d’Irlanda, come le fondamenta di quelli che oggi vengono chiamati il Forte dei Sinodi e la Sala del Banchetto.

Le orme più maestose sono tuttavia quelle di due grandi terrapieni circolari, tra loro tangenti, a protezione delle fortezze qui esistenti durante l’età del ferro. Nelle loro vicinanze, al centro ideale della sommità della collina, insistono le due cunette artificiali di cui sopra: una è nota col nome di “Tumulo degli ostaggi” ed è una piccola tomba a passaggio costruita attorno al 2000 A.C. (e quindi preesistente ai fossati e alle fortificazioni), l’altra è il Thea Royal Seat, contraddistinta da una pietra fallica conficcatavi sopra e nota con il nome di Lia Fail, la pietra del destino, una pietra sacra su cui venivano incoronati i re di Tara.

Si racconta che la pietra fosse magica, ed emettesse tre forti ruggiti udibili in tutta l’Irlanda quando veniva toccata dal re legittimo.

La chiesetta sconsacrata dell’800 e le varie lapidi sparse qua e là non sono le uniche testimonianze dell’importanza e dell’aura mistica che anche in epoca moderna molti irlandesi intendono riconoscere alla collina di Tara: non è raro infatti imbattersi in simbolici rituali “pagani”, come per esempio il decorare con colorati oggetti personali di poco valore i pochi alberelli che insistono sulla collina; oppure più semplicemente c’è chi viene qui per isolarsi dalla frenesia quotidiana, respirare la sacralità che gli avi conferivano a questo luogo, e mescolarsi al senso di pace e infinito che scaturisce dall’incredibile visuale a perdita d’occhio, magari percuotendo un bodhràn, il tipico tamburo celtico.