di Antonio Bordoni.

 

Una aerolinea ha il diritto di trasportare traffico da un punto all’altro all’interno di uno Stato”: questa libertà dell’aria viene denominata anche cabotaggio.

Essa rappresenta la nona libertà dell’aria, come mostrato nella sottostante tabella esemplificativa (1)

Non è un caso se essa è l’ultima  delle libertà in vigore dal momento che  è stato l’ultimo “strappo” a quelle che una volta erano le cinque libertà che regolavano il mondo dell’aviazione civile. Delle cinque libertà basiche quella più osé era la quinta, ovvero la possibilità per l’aerolinea appartenente al Paese “A” di volare fra “B” e “C” imbarcando (e sbarcando) passeggeri.

Per esporre un caso concreto, appartiene a quest’ultima tipologia il non poco contestato diritto concesso dall’Italia a Singapore Airlines di volare fra Malpensa e New York. (2) Ma non è questa la libertà su cui intendiamo soffermarci, quanto piuttosto la nona, ovvero quella che permette ad una compagnia del Paese “A” di condurre voli domestici all’interno di un Paese “B”. E lo vogliamo fare per evidenziare come su questo fronte l’Italia rappresenti uno dei pochi paesi, se non l’unico, ove le compagnie straniere hanno letteralmente invaso  e fatto man bassa del mercato domestico.

Ore 8.30 di un qualsiasi giorno (3). Siamo di fronte allo schermo del PC ove abbiamo attivato il programma Flightradar24. Abbiamo selezionato l’area del Mar Tirreno e osserviamo gli aerei che stanno operando. Troviamo la compagnia danese DAT che opera un volo da Palermo a Lampedusa, la irlandese Ryanair che sta operando sulla Catania-Fiumicino, la spagnola Albastar che opera fra Malpensa e Catania, la inglese Easyjet che opera da Malpensa a Catania, un’altra compagnia spagnola la Volotea o che sta volando fra Lampedusa e Bologna.

Siamo certi che la lista non finisca qui ma per amor di brevità la risparmiamo al lettore. Cinque compagnie straniere che operano voli nazionali crediamo già costituisca un valido esempio per affermare che i nostri servizi domestici, quelli che una volta venivano operati solo ed esclusivamente da compagnie italiane, sono oggi svolti in grande maggioranza da vettori stranieri.

D’altra parte questo fatto non era per noi una sorpresa dal momento che le pubblicazioni emesse dall’Enac, Ente Nazionale Aviazione Civile,  ci avevano sempre mostrato come le compagnie low cost straniere avessero invaso i nostri cieli e conducessero le graduatorie nei nostri traffici.

Fra le tante tabelle disponibili nell’annuario Enac che trattano del traffico nazionale, scegliamo ad esempio quella sulla graduatoria dei primi 50 collegamenti operati dai vettori low cost sui collegamenti domestici (4). Ebbene in questa tabella non compare alcun vettore italiano. Una successiva tabella (5) ci fornisce cifre in dettaglio per vettore (low cost e tradizionali) e  qui troviamo la Ryanair al primo posto, seguita da Alitalia/Ita. In questa tabella troviamo anche un altro vettore italiano, la Neos.

Graduatoria dei vettori operanti in Italia sul traffico nazionale (che hanno superato i 100mila movimenti)

  1. Ryanair 845.000
  2. Alitalia + Ita 775.000
  3. Easyjet 241.000
  4. Volotea 205.000
  5. Wizz Air 815.000
  6. Malta Air 250.000
  7. Blue Air     000
  8. DAT     000
  9. Neos     000
  10. Alba Star     000                           

Allarghiamo la nostra indagine e precisiamo subito che l’invasione di compagnie straniere in Italia  è stata generata grazie ai regolamenti comunitari in base ai quali un vettore battente bandiera UE può liberamente operare all’interno di un altro paese UE. Questo importante particolare spiega perché la Easyjet, allorchè la Gran Bretagnia è uscita dalla UE, si è affrettata ad aprire una filiale austriaca, altrimenti non avrebbe potuto avvalersi delle clausole comunitarie. Infatti nelle tabelle Enac la Easyjet viene indicata come Easyjet Europe Airline Gmbh (Austria).

In altre parole solo una compagnia battente una bandiera della Unione Europea può svolgere questi servizi che stiamo trattando ma, ad esempio, un compagnia asiatica, non verrebbe mai autorizzata a a svolgerli.  Una ulteriore precisazione è necessaria. I regolamenti comunitari cui abbiamo accennato nascono  con l’intento di favorire la reciprocità. Ovvero, la compagnia straniera può svolgere servizi domestici nella mia nazione e il vettore italiano, può fare altrettanto in casa altrui.

Ma avete mai sentito parlare di una compagnia italiana che ha operato all’interno dell’Irlanda, o della Spagna, o della Francia ecc.? La risposta è assolutamente negativa. L’Italia fra l’altro non ha visto mai nascere una genuina compagnia low cost nostrana, né l’Alitalia nel corso degli anni è riuscita  a fondare una sussidiaria low cost. Sarà il caso di ricordare, ad esempio, come l’Iberia ha una consolidata partecipazione azionaria (6) della compagnia low cost Vueling che nel 2019 ha trasportato più di 34 milioni di passeggeri. Comunque ci si rigiri siamo messi davvero male.

Il sorpasso da parte  delle compagnie straniere rispetto a quanto trasporta il vettore nazionale non è stato mai oggetto di dibattiti e riflessioni. Eppure data la straordinarietà dell’evento lo avrebbe dovuto essere. In Germania le compagnie low cost, in termini di numero passeggeri, non hanno superato la Lufthansa. Stessa cosa si può dire per la Francia e per il Regni Unito.

Perché l’Italia che vanta uno dei principali bacini di traffico aereo, ha visto addirittura scomparire i vettori nazionali, siano essi tradizionali e low cost, letteralmente surclassati da vettori stranieri in particolare dalle low cost? I tanti che nel corso degli anni per spiegare la debacle di Alitalia hanno sempre addossato la colpa alle low cost, dovrebbero riflettere sul particolare che questa tipologia di aerolinee  è presente in ogni Paese, non solo in Italia.

La risposta è semplice ma non rassicurante lo stesso tempo. Il comparto del trasporto aereo commerciale ha una peculiarità che lo rende unico fra i settori commerciali: una compagnia aerea straniera può istituire servizi in un altro Paese pur mantenendo i costi delle operazioni e del personale in base alle regole vigenti nel suo paese  di origine.

Spieghiamoci meglio. Se una industria di mobili, automobili, frigoriferi, televisori….viene in Italia e vi fissa uno stabilimento di produzione, quest’ultimo e tutti i suoi dipendenti che vi lavorano saranno soggetti a remunerazioni, costi sociali e fiscali uguali a quelli di una azienda italiana.

Ma se una compagnia aerea straniera opera voli domestici da noi e poi a fine giornata riesce a far tornare aereo ed equipaggio alla sua base di armamento all’estero, questa compagnia potrà generare in Italia  una sua produzione ma ciò verrà fatto in base a gravami fiscali/previdenziali/operativi vigenti nel suo paese di origine.

Va sottolineato che fino all’avvento di Internet la compagnia aerea che voleva operare in Italia doveva aprire rappresentanze locali con tanto di assunzione di personale in città e in aeroporto; da quando Internet ha preso il via  tutto ciò è divenuto superfluo quindi evitabile. Per evitare comunque che un vettore aereo produca fatturato in Italia, senza dover assumere alcun dipendente e senza pagare tasse e contributi locali si è ricorsi ad una normativa che ha precisato cosa si debba intendere per “base”.

 

Il concetto di “base”

 

 A prima vista la distinzione è evidente. Se un velivolo battente bandiera estera arriva in Italia e da qui riparte dopo breve sosta per tornare al suo paese di origine ovviamente non si può dire che la compagnia ha stabilito in Italia una “base”.  Viceversa se un vettore estero fissa su un aeroporto italiano una decina di aerei con i quali attiva collegamenti domestici all’interno del nostro Paese, in questo caso siamo in presenza di una “base”.

Fu proprio tenendo conto di tali fattori che il Governo Monti emanò in data 20 ottobre 2012 il decreto legge 179/2012 (art.38) il quale stabiliva quanto segue:

“Ai fini del diritto aeronautico, l’espressione «base» identifica un insieme di locali ed infrastrutture a partire dalle quali un’impresa esercita in modo stabile, abituale e continuativo un’attivita’ di trasporto aereo, avvalendosi di lavoratori subordinati che hanno in tale base il loro centro di attivita’ professionale, nel senso che vi lavorano, vi prendono servizio e vi ritornano dopo lo svolgimento della propria attivita’. Un vettore aereo titolare di una licenza di esercizio rilasciata da uno Stato membro dell’Unione europea diverso dall’Italia e’ considerato stabilito sul territorio nazionale quando esercita in modo stabile o continuativo o abituale un’attivita’ di trasporto aereo a partire da una base quale definita al periodo precedente.”  (7)

La norma fu denominata anche “Norma anti-Ryanair” e tutti si affrettarono a mettere in risalto che finalmente Ryanair la quale aveva fino ad allora applicato per i propri dipendenti le norme contributive del proprio Paese di origine sostenendo che dal momento che i lavoratori della compagnia prestano servizio per un’azienda irlandese, a bordo di aerei irlandesi, anche il regime fiscale a cui sono sottoposti doveva essere quello di Dublino, veniva messa in riga.

Il regime fino ad allora applicato garantiva inoltre notevoli vantaggi fiscali alla compagnia di Michael O’Leary, dal momento che l’aliquota locale è molto più bassa di quella italiana (37% contro 12%).  Ora finalmente -avvertivano i media- tutto sarebbe stato più regolare.

Si apriva “un capitolo che certamente non entusiasmerà affatto il management di Ryanair ma che, di fatto, è ora legge in Italia.” (8)

  Il Corriere della Sera Economia del 21 novembre 2012

La norma sollevò dubbi interpretativi nei confronti dei regolamenti internazionali in quanto  le convenzioni stipulate in base agli standard Ocse prevedono la tassazione esclusiva nel paese in cui si trova la sede di direzione effettiva della compagnia, a prescindere dall’esistenza di stabili organizzazioni altrove.

Questo ostacolo venne tuttavia superato  dalla nostra  Agenzia delle Entrate  la quale precisò che «l’attività di trasporto effettuata per mezzo di un vettore con sede di direzione effettiva all’estero in una tratta esclusivamente italiana non rientra nel concetto di traffico internazionale». (9)

 A questo punto per ogni compagnia low cost che disponeva in Italia di una “base” (e Ryanair nel 2012 ne aveva una decina)  i dipendenti avrebbero dovuto essere assunti secondo la legislazione italiana. (10)

Con l’introduzione di questa norma cessava dunque quella sorta di «concorrenza sleale» più volte denunciata dalle altre compagnie aeree. Preoccupate invece erano le società aeroportuali nei confronti delle quali Ryanair ha sempre recitato la parte del leone e che temevano un divorzio con la compagnia.  

“Quest’ultima in circostanze anche meno drammatiche si è comportata come chi sa di tenere il coltello saldamente dalla parte del manico: all’aeroporto di Verona, dove la società aveva chiesto di rivedere al ribasso una serie di incentivi economici concessi a O’ Leary, Ryanair ha reagito smobilitando la sua base in quattro e quattr’otto.” (11)

Nel 2012, quando la norma venne pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale, Ryanair  in Italia aveva trasportato 22.8 milioni di passeggeri su un totale di 79.5 dell’intera rete, ovvero  il 29 per cento del suo traffico proveniva dall’Italia. Quell’anno Ryanair aveva 10 basi in Italia e l’incidenza della voce indicata a bilancio come “Social welfare cost” nel corso degli anni successivi avrebbe dovuto aumentare notevolmente. Tuttavia con il passar degli anni l’incidenza dei costi sociali sull’importo dei salari rimaneva costante, anzi addirittura diminuiva.

 

Anno         N° basi ttl       N° basi Italia      Staff salaries cost      Welfare cost                     incidenza %

(Al 31/3)                                                         (milioni euro)              (milioni euro)

 

2011                      45                 10                         352.0                                       18.1                                      5.14

2012                      51                 10                         395.0                                       18.1                                      4.58

2013                      57                 10                         412.3                                     18.4                                       4.46

2014                      89                 14                         441.5                                      18.7                                      4.23

2019                      86                14                          929.2                                       38.5                                      4.14

2022                      90                17                          641.1                                     32.5                                       5.06

 

 

Pur aumentando il numero delle basi aperte, pur aumentando l’importo dei salari, l’incidenza dei contributi sociali/previdenziali rimaneva costante.  Come spiegare l’arcano?

La risposta ci fu fornita da una precisazione contenuta nel modello 20F che la società presenta annualmente agli organismi di controllo statunitensi. (12)

Il modello 20F è un Form molto articolato e dettagliato nel quale la società  deve elencare oltre ai risultati finanziari e di traffico ottenuti, anche impedimenti e difficoltà di cui  è a conoscenza che potrebbero influire sui successivi bilanci.

Ebbene, nel modulario in questione è contenuta la seguente precisazione:

 

La modifica delle normative UE in materia di assicurazione sociale dei datori di lavoro e dei dipendenti potrebbe comportare un aumento dei costi. La legislazione europea disciplina il paese in cui i dipendenti e i datori di lavoro devono pagare i costi dell’assicurazione sociale. Ai sensi della legislazione introdotta nel 2012, i dipendenti e i datori di lavoro devono pagare l’assicurazione sociale nel Paese in cui il lavoratore è basato. Prima di giugno 2012, Ryanair pagava le assicurazioni sociali dei dipendenti e dei datori di lavoro nel Paese in cui era disciplinato il contratto di lavoro del dipendente che era il Regno Unito o l’Irlanda. La legislazione introdotta nel 2012 prevedeva diritti di prelazione in base ai quali i dipendenti esistenti (cioè quelli assunti prima dell’introduzione della nuova legislazione nel giugno 2012) erano esenti dagli effetti della nuova legislazione per un periodo di 10 anni, fino al 2022, a condizione che non si trasferissero da una base all’altra.

Ogni Paese all’interno della UE ha regole e aliquote diverse in relazione al calcolo dei contributi previdenziali a carico dei dipendenti e dei datori di lavoro e qualsiasi aumento delle aliquote dei contributi avrà un effetto negativo significativo sui flussi di cassa, sulla posizione finanziaria e sui risultati operativi di Ryanair. (13)

 

La precisazione contenuta nel modello 20F spiega perché negli anni che vanno dal 2012 al 2022, l’incidenza dei costi sociali per Ryanair  non ha subìto sostanziali incrementi. Ciò è dovuto al particolare che la normativa comunitaria – emessa anch’essa nel 2012 – avvertiva che per quei dipendenti che erano già in forza alla compagnia nell’anno 2012 Ryanair avrebbe dovuto iniziare a pagare i contributi locali al termine di 10 anni di periodo-cuscinetto ovvero a partire dal 2023.

In pratica anche i legislatori comunitari avevano provveduto a emettere normativa analoga a quella contenuta nel decreto Monti (14)  con la novità però che essa sarebbe entrata in vigore a partire dal 2023. Ricordando che Ryanair per i suoi bilanci osserva il periodo Aprile:Marzo, ciò significa che a partire dal primo gennaio 2023 nel bilancio della più grande compagnia low cost d’Europa  dovrebbe trovar applicazione la nuova normativa in base alla quale tutti i suoi dipendenti impiegati nelle basi saranno assoggettati a normativa locale.  

 La domanda che a questo punto è lecito porsi è  la seguente: l’adeguamento che le compagnie low cost con basi nella UE dovranno obbligatoriamente condurre nei confronti dei costi sociali, significherà un aumento delle tariffe applicate da Ryanair e da tutti i vettori low cost che hanno istituito basi nei nostri aeroporti?

Di certo quello che si può dire è che finalmente avremo quel “campo livellato” da più parti auspicato e dovrebbe pertanto cessare la polemica sul trattamento di favore riservato ai vettori low cost.

 

 

  • Tabella tratta da: https://www.mcgill.ca/iasl/files/iasl/aspl_633_dempsey_air_traffic_rights.pdf
  • Altri esempi di quinte libertà in vigore in Europa sono: Gulf Air: Larnaca-Atene; Ethiopian Airlines: Stoccolma-Oslo e Ginevra-Manchester; Emirates: Malta-Larnaca e la Milano-Barcellona.
  • La ricerca è stata svolta il giorno 25/9/22 con particolare riguardo all’area del Tirreno.
  • ENAC dati di traffico 2021, Tabella LC3 (pag.95)
  • Come 4) Tabella VET3, pag.88. Ricordarsi sempre che nel contare i passeggeri che hanno volato sulle tratte domestiche si contano solo le partenze.
  • Iberia detiene una partecipazione del 9,49% nel vettore low-cost Vueling, con sede nei pressi di Barcellona, mentre la società madre IAG possiede il restante 90,51%. Questo è stato fatto per garantire che IAG non abbia il 100% delle azioni di Vueling, ma che le azioni siano suddivise tra le sue divisioni.
  • L’articolo in questione così terminava: “In deroga all’articolo 3 della legge 27 luglio 2000, n. 212, il presente comma si applica a decorrere dal periodo di imposta in corso al 31 dicembre 2012.” Il decreto 179/2012 si intitolava “Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese” e fu pubblicato sulla G.U. n.245 del 19 ottobre 2012.
  • https://www.fulltravel.it/ryanair-norma-governo-monti-per-pagamento-contributi-e-tasse-al-via/19708/
  • Circolare Agenzia delle Entrate n. 12/E del 5 maggio 2013
  • Al 31 dicembre 2012 le basi aperte in Italia erano su Alghero, Bari, Bologna, Brindisi, Cagliari, Bergamo, Pescara, Pisa, Ciampino, Trapani.
  • https://www.corriere.it/economia/12_novembre_21/ryanair-fisco-decreto_18b7c88c-33d7-11e2-a480-b74fe153b15c.shtml
  • Si tratta di un voluminoso documento. Il modulo in questione è un documento SEC presentato alla Securities and Exchange Commission degli Stati Uniti, utilizzato da società private straniere quotate in borsa per fornire informazioni. Il modulo è utilizzato dalle società in cui il 50% o meno del totale delle azioni con diritto di voto è detenuto da cittadini americani, ma le azioni possono essere negoziate in una borsa americana. Lo scopo del modulo è quello di standardizzare i rapporti delle imprese straniere per i mercati americani.
  • 15 Modello 20F chiuso al 31 marzo 2022. Testo completo in lingua inglese riportato sotto il capitolo “Risk Factors”: Change in EU regulations in relation to employers and employee social insurance could increase costs. European legislation governs the country in which employees and employers must pay social insurance costs. Under the terms of legislation introduced in 2012, employees and employers must pay social insurance in the country where the employee is based. Prior to June 2012, Ryanair paid employee and employer social insurance in the country under whose laws the employee’s contract of employment was governed, which was either the U.K. or Ireland. The legislation introduced in 2012 included grandfathering rights whereby existing employees (i.e. those employed prior to the introduction of the new legislation in June 2012) were exempt from the effects of the new legislation for a period of 10 years up until 2022 provided they did not transfer between bases. Each country within the EU has different rules and rates in relation to the calculation of employee and employer social insurance contributions and any increase in the rates of contributions will have a material adverse effect on Ryanair’s cash flows, financial position and results of operations.
  • Article 11(5) of Regulation No 883/2004.

 

Tratto da www.Aviation-Industry-News.com