Di Antonio Bordoni.
Da sempre nella centenaria storia dell’aviazione civile le compagnie aeree hanno evitato di commercializzare la sicurezza dei passeggeri. Ma ora un virus invisibile le ha costrette a cambiare rotta.
Alcune compagnie aeree, non tutte per la verità, stanno bloccando i posti a sedere centrali come gesto di distanziamento sociale, e lo stanno commercializzando come incentivo al viaggio. Una tale scelta di certo non potrà permettere ritorni commerciali, ma può aiutare a fidelizzare i clienti per il futuro. Qualcuno infatti si ricorderà che nell’era del Covid quella certa compagnia ha agito coscienziosamente distanziando i passeggeri all’interno dei propri aerei: il distanziamento può trasformarsi in fattore di fidelizzazione.
Per un concreto rilancio ciò che tuttavia servirebbe in questo delicato momento è “omogeneità”.
Per far riprendere il traffico, per permettere ai passeggeri di fare una prenotazione è indispensabile che gli standard operativi siano concordati, prefissati in tutto il settore, ovvero tutte le compagnie aeree, low cost o tradizionali che siano, debbono adottare gli stessi provvedimenti. Detto in maniera più chiara, la ripresa dell’aviazione commerciale è nelle mani delle compagnie aeree e degli aeroporti: il passeggero deve sapere in anticipo cosa l’attende sia negli scali sia una volta che egli sale a bordo di un velivolo.
Se oggi le compagnie aeree sono costrette a ridurre il numero voli e tenere a terra centinaia di velivoli è perché i potenziali passeggeri, in questo clima di incertezza e soprattutto di decisioni non omogenee prese a macchia di leopardo, rinunciano a partire. Ma ben differente sarebbe la situazione se in tutti gli aeroporti, o comunque nella stragrande maggioranza di essi, fossero in atto misure ben determinate, omogenee e prefissate tali da non dover costituire sorpresa nei momenti di arrivo o di partenza. E stessa cosa dicasi per ciò che avviene a bordo degli aerei.
Ciò può essere fatto soltanto e solamente con direttive provenienti da organismi sovranazionali quali ICAO e IATA coordinate ovviamente a livello governativo. Non si può andare avanti costringendo il passeggero a consultare una lista che comprende duecento nazioni ognuna delle quali ha imposto sue regole e sue restrizioni particolari con date di efficacia variabili.
Certo questa soluzione poteva andar bene per una emergenza temporale limitata, ma dal momento che ormai la situazione si è cronicizzata, bisognerebbe andare oltre e pensare a più lineari misure.
Se ormai possiamo sapere a livello preventivo se un determinato soggetto è malato o meno, se tale stadio può essere determinato a priori, se a bordo dei velivoli si adottassero misure obbligatorie di distanziamento, quanto è saggio tenere ancora chiusi i collegamenti aerei fra gli Stati? Eventualmente si potrebbero bloccare i collegamenti fra quegli Stati che presentano alti picchi di contagio, ma bloccare completamente l’aviazione civile a livello globale così come sta avvenendo da mesi può essere davvero distruttivo per l’economia delle nazioni.
E’ evidente che siamo di fronte a un bilanciamento fra responsabilità sanitaria nazionale e problemi economici globali di PIL quest’ultimi causati in via primaria dal blocco del turismo. Di certo si può dire che non ci sono precedenti per quanto sta accadendo ora. Questo è importante da riconoscere, perché rende impossibili previsioni attendibili fatte nell’attuale momento storico.
E in Italia è davvero sorprendente che proprio ora nel bel mezzo di mercati mondiali tramortiti, letteralmente alle corde, si parli di un nuovo piano per Alitalia. Questa volta non si tratta del Piano Fenice2 bensì di “discontinuità”.
Ecco il nuovo termine magico escogitato per presentare l’ennesima nuova Alitalia che avrà un suo piano industriale basato su una flotta ancor più ridotta (110/70) e nuove rotte ancor più striminzite, non si sa quali. Una nuova compagnia che nella prima fase di avvio disporrà dell’ennesima dote finanziaria con la quale dovrà barcamenarsi in attesa di trovare il tanto agognato partner industriale che in tutto il periodo di commissariamento (tuttora perdurante) non si è materializzato. Ciò significa che la nuova Alitalia partirà pubblica ma verrà abbandonata nelle mani di chi la compra, lo Stato spera prima possibile.
Infatti per discontinuità si deve intendere la creazione di una badco ove far confluire esuberi (4000/5000?) in modo da lanciare una compagnia che avrà in carico solo 6000/7000 dipendenti la quale proprio per questo particolare diventerà appetibile sul mercato.
Da notare che quest’ultima soluzione che viene oggi propagandata quale “discontinuità” altro non è che quello che Lufthansa va ripetendo da almeno dieci anni a questa parte: vi potete scordare che qualcuno sia interessato ad Alitalia se la mettete in vendita con 11mila dipendenti….
Quindi finalmente si prende atto che l’attuale Alitalia per la quale si è rimasti in attesa da decenni di un investitore che non veniva mai, se non la si vuole chiudere (soluzione sempre fattibile) va comunque ridimensionata, e per far ciò lo Stato italiano è disposto ad entrare nel nuovo pacchetto azionario onde fornire il solito aiuto finanziario e una spintarella di avvio. Con un po’ di fantasia possiamo figurarci la discontinuità come la manovella che si usava agli inizi del novecento per mettere in moto il motore del nuovo mezzo di trasporto chiamato automobile.
Fare un nuovo piano industriale sinceramente non sarà difficile. Basterà mettere nel frullatore un mix di previsioni, speranze e belle parole; ben più arduo sarà invece, all’atto pratico, trovarsi a guadagnare uno spazio in un mercato che allo stadio preCovid era caratterizzato – e tale rimarrà – da spazi operativi sempre più ristretti ove i big dei cieli la fanno da padroni sulle lunghe distanze, e stessa cosa dicasi per i big delle low cost sul medio raggio.
Tuttavia, sforzandosi un po’, qualcuno potrebbe vedere una logica in tutto ciò.
Il nuovo piano giunge nel bel mezzo di sussidi e aiuti portati avanti da ogni Stato per cercare di tenere in vita le proprie compagnie aeree. Numerosi infatti sono stati i salvataggi dell’industria, diretti e indiretti, attraverso programmi di sostegno all’occupazione a livello comunitario. Per la maggior parte si trattava di strumenti spuntati, con una pianificazione limitata che andava oltre il superamento della crisi dei flussi di cassa a breve termine.
Nessuno sapeva quanto sarebbe durata, ma molti credevano che dopo pochi mesi le cose sarebbero tornate alla normalità. Ma così non è stato. In questo clima quindi, alcuni potrebbero sostenere che anche il governo italiano ha fatto il suo gioco.
Ma non crediamo che all’estero, e in particolare a Bruxelles, nel momento di andare ad analizzare gli aiuti concessi metteranno sullo stesso piano fondi dati a compagnie che prima del Covid chiudevano i bilanci in nero, con chi invece era da sempre immerso in conti in profondo rosso…
Tratto da www.aviation-industry-news.com