di Antonio Bordoni

 

Il 2022 sarà il primo anno  di un’Italia senza Alitalia. E’ dal 1947 infatti che la storia dell’aviazione commerciale italiana è stata sempre contrassegnata dalle vicende della compagnia aerea che era riuscita ad affermarsi nel mondo come uno dei più validi vettori aerei  le cui rotte si espandevano nei cinque continenti e i cui numeri la ponevano ai vertici delle graduatorie mondiali.

Delle tante “eccellenze” nostrane di cui andavamo fieri e che siamo stati capaci di distruggere, l’Alitalia costituisce forse il più valido ed eclatante esempio.

Tutti noi sappiamo dei recenti, desolanti anni che hanno accompagnato il declino di Alitalia una compagnia della quale si diceva che l’Italia non poteva fare a meno. Oggi possiamo affermare che questa frase, specialmente se pronunciata in tempi recenti, non era corretta e non lo era per il semplice motivo che l’aviazione civile ha subìto nel corso degli anni radicali mutamenti che hanno reso l’intero comparto altamente dipendente dall’economia nazionale del paese di riferimento.

Una volta infatti, erano gli anni dei cosiddetti accordi bilaterali, una British Airways poteva effettuare verso l’Italia tanti voli (e quindi offrire tanta capacità) quanti ne poteva offrire allo stesso tempo l’Alitalia verso il Regno Unito.

Vigeva cioè un regime paritario che permetteva alle compagnie dei due paesi interessati di operare su un  terreno livellato. 

Se per caso poi Alitalia non era interessata a volare verso un determinato paese il nostro Ministero dei Trasporti (allora Civilavia, oggi Enac) non firmava accordi con quel paese e pertanto anche la compagnia di quella nazione straniera non poteva effettuare collegamenti con l’Italia.

In quegli anni era davvero indispensabile avere una compagnia di bandiera  che dettasse le regole e mettesse i paletti verso chi poteva volare nel nostro paese e ciò avveniva solo se quella destinazione interessava alla nostra compagnia. Certamente erano quegli gli anni in cui affermare che l’Italia non poteva fare a meno di avere Alitalia, aveva un senso.

Poi come sappiamo è intervenuta la deregulation dei cieli alla quale è succeduta nella Unione Europea la libera circolazione fra i paesi aderenti.

Sono due eventi che di fatto hanno significato  la fine del bilateralismo e l’inizio della globalizzazione nei collegamenti aerei.

Detto in breve e senza girarci troppo intorno, se una compagnia aerea dispone di una flotta di 500 aerei è chiaro che essa potrà aprire un nutrito numero di collegamenti offrendo generose frequenze, cosa che non potrà fare una compagnia che dispone invece di una flotta di 50 aerei.

Ecco spiegato cosa intendevamo dire quando abbiamo affermato che il comparto è oggi “altamente dipendente dall’economia nazionale del paese di riferimento”. Ma val la pena approfondire ulteriormente questo aspetto.

Oggi una compagnia aerea straniera che vuole operare nel nostro paese non ha più bisogno di uffici in Italia con personale italiano (cosa che invece avveniva nel passato): le emissioni biglietteria verranno infatti effettuate tramite sito web della società.

Sul bilancio di tale aerolinea pertanto non graveranno più le spese del personale straniero bensì solo quello iscritto a libro paga laddove ha sede il suo head-office.

Ricordando però che insieme al costo del carburante la componente salari e stipendi è una delle voci di maggiore incidenza sui conti di una aerolinea, appare evidente che quei vettori  che hanno la loro base centrale in paesi dal costo del lavoro contenuto  saranno quelli che potranno avvantaggiarsi economicamente e addirittura arrivare ad immettere sul mercato tariffe più basse dei concorrenti.

L’Italia, come sappiamo si trova ai vertici delle classifiche fra i più alti costi del lavoro, prova data delle tante multinazionali che smobilitano dal nostro paese per andare a produrre all’estero.

Ora se ben riflettiamo, una compagnia aerea che risiede all’estero ma che si trova ad operare in Italia, altro non è che una compagnia già  “delocalizzata” dal momento che il manufatto che essa vende in Italia, i collegamenti aerei, viene prodotto all’estero da personale straniero circa il quale il vettore si trova a pagare contributi e tasse  più favorevoli di quanto avverrebbe se la compagnia fosse italiana. (1)

E giunti a questo punto possiamo ricollegarci all’odierna Italia senza Alitalia, ovvero parlare di quale futuro può attendere ITA Airways.

Noi abbiamo oggi una compagnia aerea con una flotta dalle dimensioni davvero lillipuziane, quindi abituiamoci all’idea che ormai i nostri aeroporti  vedranno atterrare e decollare sempre più velivoli appartenenti a vettori stranieri.  

Secondo i dati diramati dall’Enac e riferiti all’anno 2020 (2) se noi sommiamo il numero passeggeri trasportato dalle 4 maggiori compagnie aeree italiane otterremo un totale di 7.436.000 passeggeri, un numero che è ben lontano dagli 11.8 milioni movimentati dalla sola Ryanair sui nostri aeroporti.

Alitalia                          6.515.000

Neos                                 403.000

Blue Panorama            273.000

Air Italy                           245.000

TOTALE                       7.436.000

Mandati all’aria quegli accordi che ci avrebbe potuto far mantenere una “grande” Alitalia, leggasi KLM e Air France,  le dimensioni assunte dalla attuale ITA rendono assolutamente necessario appoggiarsi ad un altro vettore primario internazionale per poter rimanere sulla scena con un minimo di speranze.

E qui il discorso si fa alquanto delicato perché parlando di accordi il primo pensiero che viene in mente è quello di un vettore che faccia sinergia con Alitalia, ma non si può far finta di ignorare il pericolo che corre una compagnia così modesta di venir inglobata dentro un altro vettore alla stessa stregua di quanto avvenuto per Swissair o Sabena.

Di certo possiamo dire che non sarà con un semplice accordo di code-sharing o di partnership, quale quello annunciato con Delta Airlines, a chiarire il futuro di ITA Airways la quale nel frattempo ha chiuso il 2021 con deludenti risultati imputabili alla pandemia.

Il piano industriale che era stato sottomesso a settembre stimava 173 milioni di euro di ricavi per l’anno 2021, ovvero fino al 31 dicembre, ma ne sono stati prodotti solo 86 milioni, riduzione ovviamente imputata ad Omicron.

Però a consolazione è intervenuta il 13 gennaio scorso la vicepresidente della Commissione europea e titolare dell’antitrust UE, Margrethe Vestager, la quale ricordando che “Ita non è Alitalia” ha detto che la nuova compagnia avrebbe diritto ai ristori dei danni prodotti  dal virus, tramite ovviamente contatti con il proprio governo.  

In pratica perdurando le restrizioni della pandemia è del tutto fuori luogo fare commenti su quanto fin qui fatto da Ita Airways, mentre conoscendo i numeri di cui dispone la compagnia è del tutto agevole ipotizzare una celere convergenza verso un altro vettore major.

  

  • “Delocalizzazione e crisi compagnie aeree italiane” , nostra Newsletter del 5 settembre 2021
  • “Il trasporto aereo italiano nell’anno 2020” , nostra Newsletter datata 29 agosto 2021

 

Tratto da www.Aviation-Industry-News.com