Non ci voleva molto a capirlo. Non bisognava avere doti divinatorie per immaginare che le trattative fra Alitalia e l’ennesimo nuovo probabile partner sarebbero state tutt’altro che facili. E in tal senso quando giorno dopo giorno leggevamo sui giornali che quella che veniva sarebbe stata la “settimana decisiva” ci veniva da sorridere.
Ma d’altra parte i giornali qualcosa la devono pur scrivere e probabilmente nemmeno l’estensore dell’articolo ci credeva. E così man mano che passavano i giorni, settimana (decisiva) dopo settimana, si è arrivati a giovedì 24 luglio quando da Abu Dhabi è giunto un avvertimento, o si firma entro lunedì 28 luglio o l’accordo salta.
Siamo certi che Etihad era ben conscia delle difficoltà di un accordo in tempi rapidi, ma evidentemente speravano in una maggiore incisività e potere decisionale da parte del governo italiano che invece si è arenato di fronte alle sabbie mobili degli italici tatticismi.
Il fatto è che Alitalia non è più il vettore aereo quale era quello dei tempi passati, ma come tutte le moderne aziende si porta dietro intrecci e allacci di diversa natura ognuno dei quali va ad incidere sulle trattative di merger. In poche parole quando ci si incontra con James Hogan, ceo di Etihad quest’ultimo può decidere e concludere un accordo, mentre l’interlocutore italiano deve muoversi con estrema cautela e in ogni caso non è in grado di dire la parola definitiva su ciò che si dibatte.Esaminiamo alcuni fra i non pochi nodi caldi che hanno lavorato da freno.
Il “nodo-poste” . Poste Italiane il socio pubblico che ha una partecipazione del 19.48 in Alitalia (la seconda per grandezza alle spalle di Intesa San Paolo) ha assunto una posizione rigida sulla ricapitalizzazione in pratica rifiutando lo schema di accordo che invece era stato accettato dagli istituti bancari ed altri soci. Alla base dell’irrigidimento, secondo quanto trapelato, vi è il fatto che dovendosi Poste Italiane quotare in borsa ogni investimento va fatto con oculatezza e pertanto tutto lascia capire che il socio pubblico non abbia molta fiducia che un eventuale investimento in Alitalia possa fornire alla sua azienda un ritorno proficuo.
L’aumento di capitale sotto forma di “equity commitment” è necessario per venire incontro alle condizioni poste da Etihad la quale vuole tutelarsi (e come dargli torto?) nel caso dovesse essere chiamata a coprire oneri derivanti da strascichi legali dei primi cinque anni di gestione Alitalia-Cai non vuole avere sorprese. A tal proposito va osservato che la nuova compagnia era partita “pulita” nel senso che i debiti della vecchia gestione erano passati alla bad-company, e se oggi a pochi anni dall’avvio essa si ritrova a dare queste impressioni ai suoi interlocutori vuol dire proprio che la lo status della nuova compagnia è pure peggiorata da quando è stata fondata.
In chiusura di questo articolo in data 27 luglio apprendiamo che l’assemblea di Alitalia ha approvato il bilancio con conti in rosso per circa 569 milioni, mentre per il problema Poste si parla di una “med-co” ovvero nuova società intermedia in cui riunire i soci italiani e in cui Poste sarebbe disposta ad investire anche più dei 40 milioni richiesti.
Tutti i problemi dell’accordo dai sindacati ai soci
Inutile dire che i due istituti bancari, Intesa San Paolo e Unicredit, i quali hanno accettato i sacrifici richiesti da Abu Dhabi non vedono di buon occhio il fatto che un socio pubblico cerchi di defilarsi dall’accordo.
Ma i guai non finiscono qui perché la divisione dei fronti si è avuta anche in campo sindacale al momento delle firme. Cisl e Ugl hanno firmato l’accordo, la Cgil non ha firmato l’accordo sui 2.251 esuberi, ma ha invece firmato l’intesa che taglia i salari per un semestre; questa intesa invece non è stata siglata dalle associazioni autonome dei naviganti e dalla Uil. Indubbiamente anche le tante sigle sindacali con cui doversi confrontare non facilitano i tempi della definizione dell’accordo.
Poi c’è il nodo dei contratti in leasing che AirOne, attraverso il veicolo di “AP fleet” una società di noleggio collegata, aveva portato in dote allorché è confluita in Alitalia. Senza troppo dilungarci in dettagli tecnici-finanziari diremo solo che per un vettore estero che decide di rilevare Alitalia il problema di dover onorare contratti di noleggio per aerei che magari non sono necessari alla politica operativa che si vorrà adottare, potrebbe costituire un rilevante problema.
Parlando delle trattative in corso e ricordando come Etihad è reduce da un’altra fresca acquisizione, quella di Air Berlin, balzano evidente i tempi ridotti che hanno caratterizzato le trattative con i tedeschi e i tempi al rallentatore dell’altra. Pur prendendo atto che Air Berlin non è la principale aerolinea tedesca bensì la seconda, tuttavia rammentando anche il fallimento delle trattative con Air France viene spontaneo annotare come l’Italia sia una nazione molto, molto difficile con cui trattare.