Vi immaginate cosa sarebbe potuto accadere in Italia alla notizia che l’Air France  avrebbe acquisito il controllo di Alitalia?  Eppure il 18 dicembre 2003 quando Air France e Klm notificarono alla Commissione Europea “a framework agreement according to which Air France will acquire control of KLM” non ci risulta che l’opinione pubblica olandese, nonché i diretti interessati, leggasi aeroporti olandesi e staff Klm, abbiano alzato polveroni e barricate o attuato ostruzionismi.
Esprimiamo questi appunti, non per una questione di gratuita polemica, quanto piuttosto per mettere in evidenza l’assurdo comportamento di chi oggi, a fronte dei positivi risultati dichiarati dal gruppo in oggetto, continua a ad affermare che una unione con Klm e Air France sarebbe la soluzione più auspicabile per far uscire Alitalia dalle sabbie mobili cui essa sta sprofondando.
Si è sperato, e si spera ancora, che dietro Aeroflot, vi sia l’interesse di Air France; certo la speranza è l’ultima a morire, e in fondo non costa niente voler credere a una tale possibilità, tuttavia tenendo presente che lo scorso mese di maggio, secondo quanto dichiarato da fonte Consob nel corso di una audizione alla Commissione Finanze del Senato, il gruppo Air France-Klm ha presentato alla Consob un esposto “in merito a presunti danni provocati dalla diffusione di articoli di stampa concernenti il suo coinvolgimento nella procedura di privatizzazione di Alitalia”, c’è da chiedersi se non convenga essere più realistici. Ma tornando alla nostra domanda: se a dicembre 2003 Air France e la nostra compagnia avessero diramato un comunicato ove si dichiarava che “Air France will acquire control of Alitalia” perché essere così ipocriti o corti di memoria, da non illustrare ai propri lettori quale sarebbe stata la reazione nostrana, dai sindacati al mondo politico, dai mass media ai dipendenti, che avrebbe accompagnato una tale notizia, per non parlare della raffica di scioperi che ne sarebbe seguita?
Noi siamo stati capaci di spaccarci finanche sulla dualità Fiumicino-Malpensa, una questione tutto sommato delicata quanto si vuole ma pur sempre giocata in casa, figuratevi cosa sarebbe potuto accadere di fronte a un merger in cui l’Alitalia – stante le condizioni disastrate in cui versava – non avrebbe certo potuto imporre le sue condizioni all’altro partner straniero.
Dunque nell’anno 2003, correva in Alitalia l’epoca Francesco Mengozzi,  Klm e Air France annunciano la loro unione.
I timori che accompagnarono la notizia possono essere così riassunti: tagli nei posti di lavoro,
Schiphol che avrebbe perso la sua funzione di hub a scapito degli scali parigini, Klm che avrebbe visto scomparire la sua identità.
In quel primo momento l’evento venne presentato come un “merger” e nell’ambiente aeronautico si sa che a fronte di questo termine, solitamente uno dei due partecipanti scompare.
Volendo fare il punto dell’attuale stato, dell’unione tenendo conto dei cambiamenti avvenuti nel tempo rispetto al piano originale, è opportuno rammentare la situazione in cui si trovavano i due vettori prima del fatidico annuncio, soprattutto per meglio valutare l’evoluzione dell’accordo.
All’anno finanziario che si chiudeva al 31 marzo 2003, la Klm dichiarava una perdita di 416 milioni di euro; alla stessa data gli impiegati assommavano a  37.487 unità. L’Air France, da parte sua, dichiarava un profitto di 120 milioni di euro e una forza lavoro composta da 71.525 dipendenti.
Fin dall’inizio fu chiaro che quello che veniva presentato come un merger, in realtà non era esatto definirlo tale: “despite being billed as a merger, the two airlines will continue to operate as separate companies out of their bases in Paris and Amsterdam.” (1)
Le compagnie rimanevano distinte, e i motivi per una tale decisione erano molteplici.
I tecnici del settore avvertivano che se non si faceva così, i diritti di traffico che l’Olanda aveva stipulato con tutti i paesi nei quali operava, avrebbero potuto essere misconosciuti dalle rispettive controparti. Altre motivazioni meno tecniche ma più pratiche  risiedevano in fattori emozionali. Come abbiamo più volte sottolineato da queste colonne, le compagnie di bandiera avevano un legame molto stretto con la loro nazione e questo era particolarmente vero nel caso di Klm, una compagnia che addirittura fa risalire le sue origini all’anno 1919. Un merger con relativa scomparsa sarebbe stato visto come un tradimento verso gli interessi vitali del paese.
Per quanto riguarda gli accordi bilaterali, i regolamenti allora in vigore, prevedevano che i diritti di traffico venissero assegnati al vettore purché quest’ultimo abbia la sua “ownership” e controllo in mano a investitori della stessa nazionalità della bandiera rappresentata.
E’ interessante rivisitare il contesto nel quale è venuta maturando la decisione, non certo facile, dei due vettori ad unire le loro forze. E quando diciamo non facile, si tenga presente che l’esempio KLM/Air France rappresenta il primo caso al mondo di due vettori di differente nazionalità che parlano di “merger”.
Quando a Marzo del 2000 i capi dei governi UE si incontrarono a Lisbona, si parlò per la prima volta di creare leaders pan-europei capaci di fronteggiare le nuove sfide che si aprivano di fronte alle ampliate dimensioni del mercato UE. In poche parole veniva richiesto di abbandonare il concetto del “campione nazionale” per puntare al campione sovranazionale. Ed è a Lisbona, in quella occasione che Leo van Wijk e Jean-Cyril Spinetta ebbero il loro spunto.

Lo scoglio della nuova “inquisizione”

Superato il primo scoglio di essere convinti a voler intraprendere il grande passo, il successivo ostacolo che si presentava era l’approvazione da parte dei burocrati di Bruxelles.
Questa arriverà l’11 febbraio del 2004 e, seguendo un consolidato copione, viene rilasciata a patto che  le aerolinee interessate rinuncino a qualcosa in nome di sua maestà il consumatore, nonché sull’altare della concorrenza. Bruxelles aveva individuato 14 rotte ove l’unione fra i due vettori avrebbe potuto provocare un detrimento alla concorrenza; in particolare esse erano:

In Europa                    Lungo Raggio:
Amsterdam-Parigi;                Amsterdam-New York:
Amsterdam Lione;                Parigi-Detroit;
Amsterdam-Marsiglia;            Amsterdam-Atlanta;
Amsterdam-Tolosa;                Parigi-Lagos;
Amsterdam-Bordeaux;            Amsterdam-Lagos
Amsterdam-Roma;
Amsterdam-Milano;
Amsterdam-Venezia;
Amsterdam-Bologna

Alla luce delle richieste di Bruxelles, le due compagnie aderivano a rinunciare a 47 paia di slots, ossia 94 fra partenze e arrivi, il che permetteva di creare un massimo di 31 voli giornalieri a nuovi entranti in modo tale da assicurare ai passeggeri ampia scelta di vettori e di tariffe.
Per la prima volta, il rilascio degli slots avveniva a tempo illimitato; in altri casi di alleanze si era sempre concordato su un periodo di 6 anni.
Altra condizione imposta era quella di non aumentare le frequenze sulle rotte individuate a rischio (frequency freeze) sempre con l’intento che altri concorrenti  potessero rimanere sulla rotta a condizioni possibili.

La soluzione corporate adottata

Come abbiamo annotato uno dei maggiori rischi consisteva sul caso “bilaterali” e loro relativa perdita, ma non andava sottovalutato l’aspetto “relazioni industriali” ossia i rapporti fra management e staff. In quel periodo l’annunciata unione fra Delta e Continental era fallita a causa dell’opposizione dei sindacati dei piloti. Un passo falso, una dichiarazione di troppo e tutto, nel caso KL-AF, sarebbe potuto andare a monte soprattutto tenendo conto dell’alto impatto che il  labour issue ha in Europa rispetto agli Usa. E’ così, che quello che doveva essere un merger, è divenuto “una holding company con due aerolinee sussidiarie”. In pratica siamo in presenza di “un gruppo, due aerolinee”. Questa struttura, affermano i vertici delle due compagnie, permette di liberare al massimo le sinergie dei due vettori, le quali vengono ancor più valorizzate dalle complementarietà insite in ciascuna aerolinea.

La soluzione adottata è stata quella che poi ha permesso di mantenere in volo le rispettive flotte con i due logo, lasciando intatti i due marchi: la fusione e l’incorporazione di uno dei due soggetti non è avvenuta.
Ma vi è anche un aspetto singolare sull’argomento diritti di traffico che Spinetta ha svelato durante una conferenza tenuta a un convegno nel febbraio del 2006.
“Leo van Wijk ed io abbiamo deciso  che,  tenuto conto dei cambiamenti avvenuti negli accordi di traffico, sarebbe stato assai improbabile che uno Stato non-UE avrebbe usato il merger come pretesto per togliere i diritti di traffico che aveva concesso alla Klm. Da un punto di vista legale sarebbe stato certamente  possibile, ma il rischio era secondo noi davvero minimo. Decidemmo pertanto di andare avanti e fino ad oggi, debbo dire,  nessun paese extra UE ha avanzato l’intenzione di cancellare i suoi diritti di traffico”.
Quali erano i cambiamenti cui si riferiva il presidente di Air France?  Erano quelli relativi agli open skies agreement dei quali a quel tempo si iniziava a parlare in Europa.
A Bruxelles si voleva introdurre un nuovo regime di accordi; in pratica si trattava di sostituire ai molteplici bilaterali che ogni Stato UE aveva in essere con altri Stati, un unico accordo condotto da Bruxelles in nome e per conto della UE. (vedi sull’argomento il nostro articolo apparso su questa rivista “Bruxelles e gli open skies, Maggio 2007).

La strategia marketing

“Alcuni analisti di questa industria, sono rimasti delusi sul fatto che non abbiamo tagliato la capacità e lo staff” è ancora Spinetta ad annunciare l’ennesimo particolare dietro le quinte dell’accordo.
E guarda caso troviamo nuova conferma che quando una compagnia aerea si espande i risultati positivi sono dietro l’angolo, mentre quando i grandi strateghi tagliano e riducono, la compagnia finisce male.
Uno dei problemi  più scottanti con cui devono confrontarsi Spinetta e van Wijk è quello relativo all’uso dei loro hub i quali, come ben si sa, oggigiorno non sono semplici campi di ricovero bensì vere e proprie entità industriali. Quali rotte saranno tolte ad uno per essere assegnate all’altro? Come scegliere quali destinazioni lasciare sull’uno piuttosto che sull’altro? Anche su questo fronte gli analisti ritenevano che molte rotte sarebbero scomparse e invece, andando di nuovo controcorrente, quello a cui le compagnie hanno mirato non è stato il downsizing quanto piuttosto la razionalizzazione del loro network.
“La Klm ad esempio non vola più su Caracas mentre è Air France che opera su questa rotta per conto di entrambe le aerolinee. Il risultato è stato  che una rotta in perdita è stata tolta dal nostro network e i voli svolti da Air France hanno fornito invece un buon profitto;  inoltre ciò ha permesso alla Klm di disporre di un 747 che poteva mettere su altre rotte ed è così che abbiamo deciso che da Amsterdam avrebbe operato la Klm  sulla rotta per Manila, una rotta speculare a quella su Caracas  e dove ora opera solo KLM ancora per conto di entrambi i vettori.” (2)
Ecco come i due vettori hanno ottimizzato le loro rotte, non rinunciando ad alcuna destinazione in precedenza servita ma semplicemente ripartendo con logica le destinazioni. Va inoltre ricordato il particolare che esse ora potevano offrire ai loro passeggeri rotte in uscita da Parigi avvalendosi del ritorno via Amsterdam, o viceversa.
D’altra parte, parlando dei timori di Schiphol di veder ridotto il suo traffico,  l’eventuale trasferimento dei voli su Parigi, non sarebbe stato praticamente attuabile solo tenendo conto dell’alto volume di traffico originante sull’hub olandese. Nell’anno del merger, il 2003, Schiphol era piazzato al 9° posto in graduatoria mondiale per totale numero passeggeri, con circa 40 milioni di passeggeri movimentati

I risultati

Al 31 dicembre 2003 a merger annunciato, le due compagnie che nell’anno in questione erano di fatto due separate entità, trasportano un totale di 62.255.000 passeggeri;  43.514.000 di Air France, 18.741.000 da parte Klm.
Nei dodici mesi che si sono chiusi al 31 marzo 2007 il gruppo ha trasportato 73.484.000 contro i 70.015.000 dell’anno precedente. Nel triennio 2003-2006 quindi la percentuale di incremento dei passeggeri trasportati si è aggirata intorno al 18%.
Per quanto riguarda gli aeroporti, Schiphol nell’anno 2003 aveva movimentato 39.694.502 passeggeri, il CDG 43.197.336
I dati preliminari diffusi dal’ACI per l’anno 2006 vedono Schiphol a quota 46.088.221, il Charles De Gaulle a 56.808.967
I dipendenti del gruppo al dicembre 2006 assommavano a 102.422 unità.

Movimenti Passeggeri sugli hub

2003            2006

SCHIPHOL            39.694.502    46.088.221

CHARLES DE GAULLE    43.197.336    56.808.967

Numero Passeggeri trasportati

KLM                18.741.000

AIR FRANCE            43.514.000

Totale                62.255.000    70.015.000    73.484.000    2003 :2006 + 18%
(al 31/3/06)    (al 31/03/07)

Sono cifre da ponderare. Raffrontando l’incremento del numero passeggeri  KL/AF con quello delle altre majors europee si ha la certezza di come il gruppo sia cresciuto più degli altri.
Vi è da considerare che nel caso British Airways, il modesto rateo di crescita sia dovuto in via primaria alla saturazione che contraddistingue gli scali di Gatwick e Heathrow.

Passeggeri trasportati

2003               2006        Incremento

Lufthansa        44.463.000        51.194.000         +15%
Iberia            24.669.000        27.218.000         +10%
British Airways        34.815.000        36.085.000         +4%

Conclusioni

La formula, un gruppo-due aerolinee, finora ha funzionato. Ciò si deve al particolare che quello che si pensava dovesse accadere, non è accaduto. Il merger, l’acquisizione non è stata tale, ed entrambi i vettori sono rimasti due entità separate.
Agli attori dell’industria trasporto aereo al momento, in campo internazionale, ancora non è permesso fondersi e far scaturire una unica entità da due compagnie distinte.  Per rimanere in terra francese, quando UTA e Air France annunciarono il loro merger, la prima scomparve, assorbita dall’altra.
In tal senso rimangono validi tutti i dubbi e le perplessità espresse all’indomani dell’annuncio, quando si avevano buone ragioni per ritenere che il marchio Klm sarebbe scomparso dai cieli del mondo e allora de ciò fosse avvenuto, forse, le cose avrebbero potuto prendere una differente piega.
Le acquisizioni rimangono totalmente fattibili se riferite al campo nazionale, ne fa fede quanto sta accadendo in India fra Indian Airlines e Air India, e fra Jet Airways e Air Sahara, ma c’è ben poco da sperare invece per quanto riguarda le fusioni cross borders.
La formula ha funzionato anche perché, malgrado le pressioni esercitate, il gruppo ha rifiutato l’adesione di altri partner ritenuti in salute non ottimale o che si riteneva non fossero indispensabili al consolidamento dell’iniziativa.
Valutando le cifre ottenute, avendo a mente che le stesse derivano non da tagli, ma da politiche espansionistiche, si ottiene la conferma che nell’ambito internazionale del trasporto aereo la strategia vincente rimane quella dell’aggressività e non certo del ritiro dai mercati: questo è particolarmente valido se si punta a rimanere compagnia di riferimento e non di nicchia; i risparmi nel tagliare le rotte sono il preludio di ben più gravi crisi.
Va anche individuata una sostanziale differenza fra l’accordo KL/AF e le alleanze dei cieli, Oneworld, Star Alliance e la stessa Skyteam. Il caso Klm-Air France è l’ennesima riprova della dubbia utilità di tali formule per risolvere i problemi cui versa l’industria aerea. Ad altra conclusione non si può giungere ricordando che i due vettori,  anche se entrambi facenti parte di una alleanza, hanno sentito la necessità di puntare alla formazione del gruppo per esprimere al meglio le loro potenzialità. L’esempio andrebbe ripreso da altri in quanto è tutta da dimostrare la tesi che la sola via di uscita, per compagnie che vogliono crescere, sia quella di aggregarsi a questo specifico gruppo, la cui formula stranamente ancora non risulta clonata da altri attori del sistema.
Per quanto riguarda se e come le low carriers possano influenzare i risultati di questo come di altri gruppi che potrebbero seguire, è ormai chiaro che Klm e Air France hanno imparato la lezione sul corto raggio laddove è presente la concorrenza delle LCC, mentre non temono quest’ultime sul lungo raggio.
Circa il primo aspetto, quello dei collegamenti continentali, Klm e Air France operano servizi strutturati in modo tale da offrire interconnessioni ai loro servizi a lungo raggio, e solo marginalmente si focalizzano sul traffico punto-a-punto.  Su questi ultimi settori esse hanno una utilizzazione non intensiva degli aeromobili che arriva alle 3.000 ore/annue contro le 4.000 ore svolte invece dalle LCC. Ma sui collegamenti intercontinentali le cifre cambiano. Su questo fronte Klm e Air France hanno un record di utilizzo di 5000 ore annue, praticamente impossibile da eccedere tenendo conto delle peculiarità che un servizio a lungo raggio comporta; un fattore dal quale le LCC finora non hanno derogato, e che in fondo era il motivo per cui preferivano appoggiarsi su scali non affollati, era l’aspetto del turnaround di 20 minuti. Ebbene, su un servizio intercontinentale l’uso estensivo delle macchine dovuto appunto ai turnaround rapidi non è fattibile, e pertanto un punto di vantaggio della strategie LCC viene a decadere.
Un ultima parola va spesa sugli aeroporti i quali anch’essi hanno beneficiato della crescita delle due compagnie: entrambi sono cresciuti,  pertanto il successo di uno non è avvenuto a scapito dell’altro. Si potrebbe discutere, nell’ipotesi che le  due  compagnie fossero rimaste ad operare per proprio conto, se i risultati aeroportuali sarebbero stati migliori o peggiori,  ma il fatto che oggi le due compagnie siano in ottima salute finanziaria fornisce già una prima risposta al dubbio, non dimenticando inoltre che è l’aeroporto che deve ospitare le aerolinee e non viceversa. Anche questa è una lezione di cui prendere nota, specialmente per coloro che temono che il potenziamento di uno scalo limitrofo significhi obbligatoriamente una remissione per il loro scalo. In realtà se la compagnia cresce in virtù di una politica indovinata, saranno più aeroporti a trarne vantaggio e non certo uno solo.
Tutto insomma lascia intendere che la formula KL/AF funziona: a patto che le rispettive bandiere continuino a sventolare sulle carlinghe dei velivoli.

Antonio Bordoni

(1) wsws.org “Air France/Klm merger heralds further rationalisations and job cuts” ; 7 ottobre 2003.

(2) ATW ; intervista al gruppo KLM/Air France,  apparsa nel numero di Aprile 20