Alchimie di comunicazione per far credere a tutti i costi che gli stipendi aumenteranno.

I lettori più attenti avranno notato la novità. Nei comunicati che si sono susseguiti a ridosso dell’uscita della finanziaria, i signori ministri insistevano, quasi ossessivamente, nel dire che per valutare i risparmi che la finanziaria introduceva nelle tasche delle famiglie, bisognava tener conto congiuntamente delle nuove aliquote Irpef e dei nuovi importi degli assegni familiari.
Al di là della mera operazione matematica che un tale raffronto comporta, vogliamo avvertire tutti i lavoratori dipendenti di quanta “malainformazione” si celi dietro una comunicazione impostata in tal modo.
Va infatti annotato come in primo luogo gli assegni familiari non vengano erogati gratuitamente dall’Inps; essi sono alimentati da una aliquota contributiva che grava su tutti i datori di lavoro e facente parte di quegli oneri aggiuntivi che fanno dell’Italia uno dei paesi dal costo del lavoro più elevato nel mondo. Ebbene, non potendo aumentare l’aliquota a carico dei datori, nella finanziaria viene previsto un aumento della percentuale dello 0,30% sulla quota Inps a carico dei dipendenti che quindi passerà dall’8,89 al 9,19%
Quindi, è proprio il caso di dirlo, quello che da una parte entra, dall’altra esce, ma con una precisazione di non poco conto: mentre l’aumento dello 0,30 graverà sulla generalità dei dipendenti, i nuovi importi degli assegni familiari saranno a beneficio di ben pochi lavoratori, se è vero come è vero, che in Italia natalità, e matrimoni, sono ai minimi storici. Quindi trattenute che aumentano per tutti, benefici a vantaggio di pochi. E questo è un primo punto che meritava di essere evidenziato e che invece è passato sottotono sulla stampa nostrana.
Ma l’improponibilità dell’accostamento Irpef-Assegni Familiari non si limita a questa considerazione, investendo aspetti ancor più rilevanti.

L’Irpef è una imposta che colpisce qualsiasi reddito, sia quello da lavoro dipendente come pure l’eventuale casa o qualunque altra entrata, quindi insistere nel voler accomunare nei conteggi questa imposta con gli assegni familiari, è tecnicamente errato, in quanto si tenta di comparare un istituto che coinvolge la generalità dei redditi, con un fringe benefit che è favore solo di una minima parte dei contribuenti, il quale fra l’altro, come abbiamo visto, è alimentato da un onere contributivo a carico dei datori di lavoro. Anche in questo caso, quindi, è scorretto comparare una imposta che colpisce tutti i cittadini con un istituto come quello degli assegni familiari che viene percepito solo dai lavoratori dipendenti, e solo se ricorrono determinati presupposti.

E tutto ciò senza tener conto delle aliquote regionali e comunali per giustificare i cui aumenti, assistiamo ad un patetico scaricabarile, con il governo centrale che avverte che non è colpa nostra dell’eventuale malagestione a livello locale, mentre i responsabili locali a loro volta si lamentano che ricevendo pochi fondi dal governo centrale, sono costretti ad aumentare le aliquote…una commedia davvero comica se non fosse per il particolare che alla fine, per risanare i loro buchi di cassa, sempre nelle nostre tasche vengono a mettere le mani.

L’epilogo di questa storia è che non si riesce mai e poi mai ad avere una riduzione reale, concreta e complessiva degli oneri e tasse che gravano sulla busta paga, in quanto al pur minimo accenno di beneficio di una delle tante tasse, corrisponde sempre un aumento (magari superiore al beneficio) di altre voci.  E quanto abbiamo sopra esposto è una evidenza inequivocabile di ciò, prova ne sia che si è tentato, attraverso i media, di mettere in mostra i benefici, cercando appunto di minimizzare e far passare in silenzio i contemporanei aumenti che sono stati introdotti.

Antonio Bordoni