La presenza della Presidente di Confindustria Emma Marcegaglia alla sessione aperta dell’Assemblea annuale dei soci dell’Associazione è un fatto particolarmente significativo per rafforzare il rapporto tra impresa e cultura e ribadire insieme il valore che la cultura può avere nella ripresa economica. 

L’Assemblea dei Soci di Civita è l’occasione per alcune riflessioni.

La crisi del sistema politico è grave e si somma ad una fase economica in cui si misureranno davvero le effettive capacità del paese di intraprendere una nuova strada di crescita e di prosperità.

La crisi finanziaria  rende difficile la gestione delle finanze pubbliche, e conseguentemente del settore dei beni culturali dove un quadro emerge chiaramente: la riduzione di un terzo delle spese del Ministero per i Beni culturali, dallo 0,34% del bilancio dello Stato del 2005, all’attuale 0,21%.

L’esigenza di avviare una stagione di grandi riforme, che da troppo tempo si annunciano senza che siano realizzate, è ormai improcrastinabile. Si deve ripensare le priorità, le strategie di crescita, il ruolo dell’impresa e del lavoro, gli equilibri tra gli organi dello Stato.

 

Per il nostro paese le riforme istituzionali sono un punto fondamentale. La grande novità è quella del federalismo. Decentrare le funzioni, realizzare una vera è propria autonomia finanziaria delle Regioni e degli Enti Locali, è una questione ineludibile ed è un punto che ci interessa da vicino.

 

La riforma del Titolo V della Costituzione, sostiene  il Presidente dell’Associazione Civita Antonio Maccanico,  ha suscitato problemi molto seri di correzione del testo e di attuazioni assai ampie, che travalicano sia l’articolo 116 che l’articolo 119 e sono tutt’altro che irrilevanti per la costruzione armonica della nuova forma di Stato.  Il federalismo fiscale dovrebbe mettere le Amministrazioni locali, con equilibrio e salvaguardando l’unità nazionale e l’uguaglianza tra i cittadini,  nelle condizioni di governare più serenamente e con maggiore efficienza. Il federalismo fiscale può essere un vantaggio per le imprese, come di recente ha affermato anche il Presidente di Confindustria Emma Marcegaglia.

Il federalismo fiscale deve accompagnarsi, soprattutto nel campo della cultura, ad una chiara definizione delle competenze e dei ruoli di ciascuna amministrazione.

La semplificazione amministrativa può trarre origine solo da una chiara definizione delle competenze, dei ruoli, a partire da una visione alta della organizzazione dello Stato. Sono temi che toccano da vicino il settore dei beni culturali. Il riferimento, per Civita che  opera nel settore, non può che essere il Codice dei beni culturali e del paesaggio (DL 42/2004 e successive modificazioni) che, peraltro, è quanto di più interessante si sia prodotto in materia di distinzione di competenze amministrative tra Stato e Regioni, certamente migliorabile, ma ottima base di un ragionamento alla luce di alcuni principi generali che stabiliscono la competenza dello Stato in materia di tutela, cui però concorrono le Regioni e gli Enti locali, e contemporaneamente la collaborazione in materia di valorizzazione con compiti e funzioni assegnate alle Regioni.

 

 

 

 

 

Di fatto il Codice prospetta un quadro federativo in cui la dimensione regionale assolve una funzione importante. Tutto è migliorabile, ma siamo già ad un buon punto di partenza. E il rispetto del codice è un impegno assoluto, anche a tutela del paesaggio, che, come diceva Benedetto Croce, è il volto della Patria.

La dimensione federativa pone anche a Civita problemi nuovi. Siamo una realtà associativa di imprese formata da due soggetti giuridici distinti.

“L’Associazione Civita”, senza fini di lucro, associazione culturale volta a collaborare all’ opera dei poteri pubblici di tutela e valorizzazione del nostro importante patrimonio storico, artistico e ambientale, vede la partecipazione di 186 aziende.

“Civita servizi”, opera nel campo delle gestioni museali, delle mostre e di altri eventi e servizi nel campo dei beni culturali direttamente o attraverso le società controllate Civita Tre Venezie, Opera Laboratori Fiorentini, Civita Sicilia e la partecipata Gebart, che rappresenta una importante sinergia industriale con il Gruppo Abete. Civita Servizi ha un fatturato di oltre 70.000.000 di euro con 750 dipendenti e collaboratori; gestisce i servizi in oltre 90  musei rivolgendosi ad una platea di circa 13 milioni di visitatori; organizza annualmente circa 60 mostre.

 

Nonostante questa forza consolidata, Civita ha la necessità di sviluppare la sua presenza coerentemente con le prospettive federaliste. Nella cultura, come in molti altri campi, è necessario strutturarsi in coerenza con i nuovi orizzonti che si stanno aprendo. La presenza su Roma, fondamentale e strategica, non è più sufficiente. L’obiettivo che si pone l’Associazione è quello di costruire una presenza in regioni strategiche nelle quali, nel breve periodo, misurarsi con la complessità del mercato, promuovendo l’aggregazione di imprese attorno ai temi della cultura.

 

E’ questo il tema cardine della mission di Civita e il fondamento della sua storia.  Essa si sviluppa sotto un duplice segno: l’idea che dal rapporto tra cultura e impresa possano nascere vantaggi per entrambi a partire dal presupposto che la qualità della nostra cultura sostiene e trova riscontro nell’alta qualità delle nostre produzioni, e che la crescita delle produzioni, l’aumentare della ricchezza determini un vantaggio per il patrimonio culturale italiano. Le risorse private per la cultura sono indispensabili. Lo hanno capito i cittadini, come emerge dall’indagine condotta da Civita sulle donazioni per l’arte. Le potenzialità sono enormi, ma occorre risolvere alcune questioni: migliorare il meccanismo dei benefici fiscali; rendere più trasparente la gestione delle donazioni; offrire un riconoscimento sociale a chi dona per l’arte.

 

“Questo rapporto bilaterale, ha sottolineato Bernabò Bocca, vicepresidente dell’Associazione Civita, vale ugualmente, se non di più, quando il prodotto di cui parliamo è proprio il nostro territorio, e la sua capacità di garantire ai turisti una varietà straordinaria di offerta che ha nella cultura il suo valore distintivo. I recenti, non esaltanti dati relativi ai movimenti turistici nel nostro Paese, vanno contrastati proprio a partire da una strategia che ci caratterizzi di più, mettendo al centro tutto quello che ci rende unici nel panorama mondiale: il patrimonio culturale, materiale e immateriale, prima di tutto, e poi tutto quello che ne deriva in termini di capacità di fare e creatività. Riconoscere il patrimonio culturale come un vantaggio competitivo per il turismo nel nostro Paese, significa, d’altra parte,  accendere maggiormente l’attenzione sulla sua conservazione, avviando una politica virtuosa che porti avanti contestualmente attività di valorizzazione e di tutela”.

 

Anche le aziende hanno capito il valore dell’investimento in cultura per rafforzare la propria immagine. Da una ricerca appena condotta dal Centro Studi dell’Associazione,  emergono dati confortano le scelte di Civita. Circa il 15% delle imprese investe ogni anno in sponsorizzazioni per la cultura. Nell’arco di un triennio il 47,2% delle imprese italiane investe in cultura, sia con spese di investimento, quali ad esempio i grandi restauri, che per eventi culturali, e tende a confermare questo investimento nel tempo. Si tratta di un contributo importante in cambio del quale le imprese chiedono di poter realizzare una visibilità del marchio, estendere i contatti con il pubblico e con i decisori politici, ottenere un rafforzamento della propria immagine.

Legare l’immagine aziendale ad un fatto culturale viene avvertito come fattore strategico. Il privato, le imprese hanno oggi un nuovo approccio alla cultura considerata come un veicolo fondamentale per la comunicazione.

La possibilità di arrivare a progetti comuni tra imprese, Stato e Regioni deve tenere conto di questi elementi e proprio per questo una realtà come Civita, che vuole promuovere e sostenere accordi chiari tra le istituzioni e le imprese deve radicare la sua presenza sul territorio, in modo da costituire quella massa critica indispensabile a rendere possibile l’incontro tra il pubblico e il privato nell’azione in campo culturale

 

Il compito dell’Associazione che opera a fianco delle imprese sta proprio nel sostenere tutti quei processi che favoriscono una migliore gestione della cultura, del paesaggio e delle risorse culturali.  La loro tutela e, nello stesso tempo, una adeguata capacità di valorizzarle possono essere fonte di ricchezza e di benessere. Per farlo è necessaria  una forte collaborazione tra le istituzioni e il mondo delle aziende.

L’incontro tra impresa e istituzioni, tra business e “civitas”, sarà il punto nodale anche per i prossimi anni, sottolinea Albino Ruberti, Segretario Generale dell’Associazione Civita, e per questo, tra gli obiettivi futuri c’è il rafforzamento sia del rapporto con gli associati, attraverso la costruzione di progetti comuni e di una comune capacità di investimento nel settore,  sia della collaborazione con le istituzioni.

Intanto tra i driver per espandere le nuove opportunità, anche quello di guardare alla cultura fuori dai confini nazionali attraverso un nuovo soggetto creato in questi giorni, Civita International Department: un organismo con autonomia gestionale e finanziaria, presieduto dal prof. Avv. Emmanuele Emanuele, presidente della Fondazione Roma, che si dedicherà alle attività di sviluppo verso l’estero.

Intervenendo all’Assemblea di Civita, il presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, lancia quattro proposte per estendere la partecipazione dei privati nella tutela e fruizione del patrimonio culturale, artistico e museale del Paese:  

“Le esperienze sin qui avvenute in Italia – afferma – mostrano che il coinvolgimento dei privati è stato troppo timido, e perciò inefficace. Per esempio la trasformazione degli enti lirico-sinfonici in fondazioni di diritto privato non ha garantito l’afflusso di risorse aggiuntive, da assommarsi a quelle dello Stato. Oltreoceano, il National Endowment for the Arts agisce stilando la lista delle istituzioni soggette a sovvenzioni, lasciando a loro carico la ricerca di un sostegno privato di un ammontare almeno equivalente, senza il quale la somma pubblica non può essere versata. E’ un ottimo modello da seguire.

 

Di qui la mia prima proposta: le risorse pubbliche non vanno più date a pioggia alle migliaia di soggetti pubblici protagonisti dell’offerta culturale inefficiente. Bisogna spostare le risorse su criteri che tengano conto della domanda, e premino la migliore offerta. Servono matching grants, cioè il contributo pubblico affianca quello privato al solo patto di averlo saputo reperire in maniera a esso equivalente.

 

Vengo a un altro grande tema, quello dei musei. La valorizzazione in termini economici dei nostri musei è tutt’altro che soddisfacente. L’Italia non ha un museo fra i primi dieci al mondo per numero di visitatori. 

 

La mia seconda proposta: affidare a privati in totale concessione sperimentale alcuni musei italiani, superando i limiti molto stretti posti dall’attuale ordinamento che affida ai privati solo la gestione di alcuni servizi.

 

Lo Stato, che ha le difficoltà che ha, metta i privati alla prova.  Proviamo per qualche anno ad affidare ai privati l’intera gestione di  alcuni grandi musei. Ma consentiamo ai privati anche di aver voce sul capitolo del personale e della sua organizzazione, a quel punto.

 

 

 

 

Non è vero che senza i denari dello Stato, cioè del contribuente, l’Arte e la Cultura con l’”A” e la “C” maiuscola sono destinati a deperire. Penso a quel che aziende come Eni Telecom Italia, Pirelli  e tante altre fanno già da anni, alle risorse che tutti i vostri associati privati hanno stanziato e stanziano in progetti di straordinario valore.  Lo fanno malgrado i vincoli stretti, troppo stretti, e gli incentivi troppo esigui posti all’investimento culturale dei privati dal nostro ordinamento fiscale.

 

La terza proposta. Estendere alle sponsorship delle imprese private in progetti culturali la disciplina del credito d’imposta per gli investimenti in ricerca e sviluppo tecnologico.

 

Sempre in materia fiscale, una quarta proposta. Alzare dal 19% attuale al 30% almeno l’aliquota da portare in detrazione fiscale, quando le erogazioni culturali siano effettuate da persone fisiche.

Le imprese sono una parte essenziale della cultura e del patrimonio del nostro Paese. Non è impossibile, nel giro di qualche anno, raddoppiare l’apporto netto che il turismo arreca alla bilancia dei pagamenti italiana. Il patrimonio culturale è parte integrante e imprescindibile della qualità dell’offerta del turismo. Chi farà fare più alle imprese nella cultura- ha concluso – costruirà un’Italia non solo meno dissipatrice e immemore del suo passato. Ma, soprattutto, un’Italia coi conti più in regola per il suo futuro.”