Determinare il prezzo da applicare al prodotto aereo è stato sempre un compito arduo, altamente complicato; le tariffe aeree sono divenute famose per la loro indecifrabilità. Tutti ricordiamo le polemiche che accompagnarono l’introduzione della deregulation, quando la gente continuava a chiedersi per quale motivo un volo domestico di 60 minuti doveva costare qualche biglietto da centomila lire quando già si volava su alcune tratte europee a molto meno.
In realtà per rendersi conto di quanto fosse complicato giungere alla determinazione della corretta tariffa da applicare bisognerebbe rispolverare qualche manuale emesso dalla Iata, solitamente di centinaia di pagine, dove appunto si usava il termine, altamente eloquente, di “costruzione tariffaria” . Impiegati di compagnie aeree e agenti di viaggio dovevano fare appositi corsi per imparare l’ingegneria della tariffa aerea, facendo i conti con termini quali il TPM (Ticketed Point Mileage) o l’MPM (Maximum Permitted Mileage)…..
Ma due elementi dovevano provvedere a “decongestionare” il settore e a rendere meno complicato questo mondo tutto particolare: da una parte la perdita della IATA della facoltà di imporre il suo cartello; dall’altra le aerolinee che puntano su biglietteria aerea emessa esclusivamente sui propri servizi, evitando così la diluizione dell’yield con altri vettori; e fu così che il biglietto con tariffa da costruire ove il primo cupone veniva volato da un vettore, il secondo da un altro, eccetera, passò praticamente in soffitta.
Tuttavia il problema di poter vendere la giusta tariffa remunerativa non veniva complicato solo dalla presenza di “altri” vettori con cui suddividere la propria vendita, ma si creava anche per una transazione esclusivamente interna.
Se un volo collega il punto “A” con “C” a tariffa 1000 facendo però scalo al punto “B” , si crea il dilemma di quanti passeggeri accettare fra “A” e “B” tenendo conto che su quest’ultima tratta la tariffa avrà un costo nettamente inferiore ai 1000 dell’intero settore. Si tratta insomma di non perdere alcun passeggero pur contando sulla massima ottimizzazione del carico.
A problemi di questo tipo che riguardano gli itinerari multi-settoriali si aggiungono poi altre problematiche anche per quanto riguarda le singole tratte punto-a-punto.
Su quest’ultime le aerolinee operano una differenziazione di tariffe tenendo conto di alcuni parametri quali ad esempio il tempo che intercorre fra prenotazione e partenza, l’andamento storico-statistico del load factor del volo in quella data, fattori questi rientranti sotto la fattispecie di “price discrimination”.
Si tratta di decisioni da prendere giornalmente senza indugi, e per le quali le aerolinee possono avvalersi di software efficientissimi denominati yield management system i quali fra l’altro sono i responsabili della suddivisione della classe economica in una molteplicità di sotto-classi per ognuna delle quali viene fissato quanti posti allocare e a quale tariffa, il sistema suggerirà inoltre una scala di priorità, nel senso che prima di passare a vendere la tariffa più bassa, devono essere state vendute le alte, oppure viceversa.
Sono giochi e procedure altamente sofisticate che ben giustificano termini quali “la guerra delle tariffe” di cui più volte abbiamo sentito parlare.
Ora è noto che da quando è caduto il cartello Iata e sono apparse sulla scena le compagnie low cost, circola voce che la tariffa aerea è divenuta più semplice e più trasparente; ma secondo il nostro parere questo giudizio è troppo ottimistico e non corrisponde affatto alla realtà.
E’ inutile girarci tanto intorno: anche se da un punto di vista strettamente lessicale la tariffa aerea è una cosa e le tasse aggiuntive un’altra, dall’ottica del passeggero quello che conta è solo un particolare, e cioè il totale che egli dovrà pagare per salire a bordo dell’aereo.
E qui dobbiamo ricordare come la tariffa aerea in quest’ultimo modo intesa, include componenti che vanno ben oltre il controllo della aerolinea. Ciò significa, sarà bene sottolinearlo, che il prezzo con cui il prodotto viene venduto è in buona parte “beyond the control” di chi produce il servizio stesso.
Con tali presupposti affermare che oggi la tariffa aerea è più trasparente è perlomeno azzardato. Una volta il passeggero pagava la tariffa più 1 tassa; oggi il passeggero paga la tariffa più una decina di tasse; è vero che molte di esse non sono di competenza dell’aerolinea, ma quest’ultima è in ogni caso responsabile del loro incasso e della loro rimessa a chi di competenza.
Se per un qualsiasi motivo una certa tassa viene incassata per un importo minore o non viene incassata affatto, l’aerolinea sarà tenuta in ogni caso a pagare l’intero importo.
Sappiamo bene che con i sistemi computerizzati l’eventualità che una tale ipotesi si verifichi è alquanto remota, tuttavia rammentare questi fatti serve a dimostrare come ormai l’industria del trasporto aereo commerciale sia una complessa macchina che non si limita più a produrre e gestire costi e ricavi aeronautici, ma si è trasformata in un crogiuolo di interessi che spazia dal remunerare gli investitori degli aeroporti, ai cittadini che risiedono in prossimità degli scali, e finanche a rimborsare qualche ente per i danni prodotti all’ambiente.
E’ bene ricordare che il passeggero, l’utente ha i suoi limiti di acquisto; determinati beni non si possono acquistare perché l’esborso supera le possibilità di spesa; questo è un dato di fatto valido per qualsivoglia prodotto.
Orbene l’industria dei vettori aerei grazie a innovazioni e tagli e talvolta anche grazie a un deterioramento della qualità riesce a offrire un prezzo di vendita contenuto, ma questa politica -che potrebbe produrre più traffico e più ricchezza- viene vanificata da costi aggiuntivi incontrollabili all’industria dei stessi vettori.
La particolarità poi dalla quale ormai non si riesce a fare a meno è che mentre in tempi in cui si usava la ragione, all’aumentare del prezzo di una componente tariffaria corrispondeva un aumento sic et simpliciter della tariffa, oggi vige la moda incontrastata e non discutibile che se all’aerolinea aumentano i costi, essa anziché aumentare la tariffa, fa vedere che questa rimane invariata ma provvede a introdurre una nuova tassa.
E’ di questi giorni la notizia che a causa dei costi sostenuti nell’ultimo anno finanziario imputabili al Regolamento UE261 (assistenza ai passeggeri in caso di disruption) la Ryanair introdurrà una nuova tassa di 2 sterline per coprire le uscite dovute appunto a queste spese extra.
In merito va detto che Ryanair e tutte le compagnie aeree fanno bene a protestare quando esse vengono chiamate a rimborsare i passeggeri per problemi creati da ragioni che esulano dalla loro competenza, ma il punto da sottolineare in questo contesto è il particolare –come detto sopra- che all’aumentare dei costi di gestione, ormai si gioca sempre sull’elemento “surcharge” piuttosto che ritoccare la componente più ovvia, ovvero la tariffa.
E sia ben chiaro che quello da noi riferito del Regolamento UE261 è soltanto l’ultimo esempio di uno dei tanti casi che avremmo potuto citare.
Tariffe più chiare? Per favore siamo seri.
Il passeggero vuole sapere quanto sarà l’esborso totale, ed è indubbio che da questo punto di vista le cose lungi dal potersi definire trasparenti, si sono enormemente complicate.
Antonio Bordoni