Oggi non sono più le aerolinee a dettare la politica aeronautica di un Paese quanto piuttosto gli aeroporti: sono loro che comandano.
Nell’ultimo articolo abbiamo trattato degli straordinari risultati ottenuti da Turkish Airlines e di come è cresciuto, grazie a ciò, il traffico sullo scalo di Istanbul-Ataturk. Sull’argomento vorremmo farvi riflettere che mai abbiamo letto di dispute fra lo scalo di Ankara e quello di Istanbul, così come mai abbiamo sentito parlare di polemiche fra l’aeroporto di Zurigo e quello di Ginevra, o mai abbiamo avuto sentore di rivalità fra Monaco e Francoforte. In ognuno degli esempi da noi citati (e ne avremmo potuto elencare altri ancora) la rispettiva compagnia di bandiera non ha avuto alcun problema di sorta a decidere in tutta autonomia, come era suo diritto, dove collocare i suoi servizi. Ora paragoniamo questi esempi con quanto invece accaduto a casa nostra fra Fiumicino e Malpensa e ognuno ne tragga le ovvie considerazioni. Anche da noi ci sono due scali ognuno dei quali, dal punto di vista operativo, è in grado di accogliere la principale base del nostro maggiore vettore aereo, eppure per anni fra i due è andata avanti una feroce polemica su chi avrebbe dovuto essere il prescelto. La polemica è lungi dall’essersi esaurita e minaccia di riesplodere in qualsiasi momento e comunque sia, come vedremo, ne stiamo ancora pagando le conseguenze, o meglio sarebbe dire che le stanno pagando anche i vettori italiani.
E’ di questi giorni la notizia che dal primo ottobre prossimo alla compagnia Emirates sarà permesso operare sulla tratta di quinta fra Malpensa e New York JFK. Per chi lo avesse dimenticato ricordiamo che la caccia ai voli intercontinentali da Malpensa prese il via nel gennaio 2009 quando l’Alitalia decise di attestarsi su Fiumicino. In quel mese, lo stesso in cui decollava la nuova compagnia AZ, l’Enac di fronte al non placarsi delle proteste milanesi emetteva un comunicato con il quale “nel ricordare che tutti i collegamenti intracomunitari sono liberalizzati per i vettori comunitari, segnala che finora ha autorizzato, in linea con gli indirizzi del signor ministro delle Infrastrutture e Trasporti, tutti i collegamenti extracomunitari richiesti anche al di fuori degli accordi bilaterali vigenti”.
In poche parole Alitalia sceglieva Roma, ma nel contempo si dava una mano a Milano facilitando l’entrata di vettori extracomunitari anche se gli accordi bilaterali non lo prevedevano.
Ora questo argomento si presta ad essere commentato da due diverse ottiche. In primo luogo va osservato che se un vettore cosiddetto di bandiera, o ex tale, rinuncia ad operare collegamenti a lungo raggio laddove vi è una richiesta da parte dell’utenza, bene fa l’Autorità competente a concedere diritti di traffico ad altre aerolinee concedendo loro la possibilità di attivare i servizi carenti. Nel passato una tale procedura, era stata già attuata ma limitatamente a favore di compagnie italiane; se Alitalia ad esempio non operava su una rotta data a lei in concessione, l’Enac la assegnava ad un’altra compagnia nazionale interessata ad operare su quella direttrice. Il traffico in tal modo rimaneva in ogni caso appannaggio di vettori italiani. Comunque vedendo il problema dall’ottica dell’utenza è indubbio che più rotte si aprono da un certo aeroporto, maggior numero di collegamenti diretti saranno disponibili.
Detto ciò va però pure detto che un minimo di tutela da parte dello Stato verso i propri vettori nazionali dovrebbe pur sussistere, e qui entriamo nell’ottica delle aerolinee. Mentre nell’ambito di un mercato “unico” -quale si ritiene sia quello UE- vige la regola di far aprire a tutti i membri dell’Unione collegamenti a loro gradimento, se il vettore è extracomunitario lo Stato UE dovrebbe invece ancora far valere le regole riportate dai bilaterali i quali sono pur sempre lo strumento internazionalmente adottato per regolamentare i collegamenti aerei nel resto del mondo fra i diversi Stati; in tale ipotesi appare logico che le norme applicate tenderanno a tutelare le aerolinee dei rispettivi Paesi interessati.
La liberalizzazione dei servizi intra-UE ha offerto più opportunità ad alcuni Paesi rispetto ad altri.
In altre parole bisogna pur convincersi che se nel mondo vi sono alcuni Paesi raggruppati sotto la UE, ve ne sono pur sempre un altro centinaio che sono fuori dall’Unione. Da queste osservazioni ne discendono altre conseguenze. Nel mercato UE l’Italia mette a disposizione degli altri membri decine e decine di destinazioni appetibili, mentre vi sono nazioni comunitarie che ne possono offrire molte meno, alcune addirittura solo una o due; ciò significa che la liberalizzazione dei servizi intra-UE ha offerto più opportunità ad alcuni Paesi rispetto ad altri. Ora preso atto che nell’ambito intra-UE l’Italia non ha tratto certo vantaggi, crediamo non sia affatto fuori posto chiedersi quanto sia opportuna l’ulteriore apertura a vettori extra-UE laddove invece si potrebbe ancora erigere un qualche filtro e barriera.
La cosiddetta “clausola di designazione comunitaria”, quella che permette ad ogni vettore UE di aprire collegamenti in casa altrui anche su destinazioni extra-UE, per quale motivo non viene sfruttata dai vettori comunitari ?
Questa osservazione non viene fatta per meri fini protezionistici, che pure avrebbero una loro legittima giustificazione, ma soprattutto perché non si può ignorare che nel momento in cui un vettore nazionale decide di impiantarsi su uno scalo verosimilmente tenterà di incanalare il traffico proveniente da altre città sul suo hub, e da questo punto di vista permettere a vettori extra-UE di attivare collegamenti diretti intercontinentali non può che danneggiare l’interesse di quel vettore nazionale. Certo qui si aprirebbe una polemica senza fine sul fatto che se Alitalia, Meridiana, Blue Panorama non vogliono ampliare i loro collegamenti a lungo raggio non si vede perché si dovrebbe impedire ad altri vettori (extra-UE) di attivarsi, ma allora verrebbe pure da chiedersi come si possa credere di risollevare le sorti dei nostri vettori, o solo pensare ad una loro ripresa, portando avanti queste politiche. Ed ancora ci dovremmo porre un’altra domanda: la cosiddetta “clausola di designazione comunitaria”, quella che permette ad ogni vettore UE di aprire collegamenti in casa altrui anche su destinazioni extra-UE, per quale motivo non viene sfruttata dai vettori comunitari ?
Ma ora svegliamoci dal sogno, torniamo alla realtà e prendiamo atto che tutte le suddette considerazioni non hanno alcun senso in quanto del tutto superate; oggi infatti non sono più le aerolinee a dettare la politica aeronautica di un Paese quanto piuttosto gli aeroporti: sono loro che comandano.
Antonio Bordoni