La finalità turistica e lo scopo di piacere sono essenziali
Tempo di vacanze, contatto con il cliente, prenotazioni che vanno a buon fine ma anche complain e richiesta danni. Ora sono attive anche le class action per protestare contro la “vacanza rovinata”. Introdotta in Italia dalla Legge Finanziaria per il 2008, la class action, dopo numerosi rinvii, è stata disciplinata dall’art. 140-bis del Codice del Consumo introdotto dalla c.d. legge sviluppo, del 23 luglio 2009, n. 99
Il caso esaminato dal Tribunale di Napoli – XII sezione civile – sentenza n. 2195 del 18 febbraio 2013 – riguarda la richiesta di risarcimento promossa da un gruppo di cittadini che nel Natale del 2009 non aveva potuto trascorrere la vacanza a Zanzibar (Tanzania) secondo le condizioni assicurate, al momento dell’acquisto del pacchetto turistico, dal tour operator.
La pubblicità del pacchetto turistico prevedeva, infatti, il soggiorno in un resort a 4 stelle presso la struttura “Uaradi Beach resort” con spa, palestra, piscina e giochi d’acqua, come riporta il resoconto della presente sentenza apparsa su LeggiOggi.it.
Ma niente di quanto garantito contrattualmente veniva messo a disposizione dei turisti i quali, poiché la struttura non era ancora terminata, sono stati trasferiti, per alcuni giorni, in un altro albergo, il “Samaki Lodge”, qualitativamente inferiore rispetto alla struttura prenotata all’acquisto del pacchetto turistico e che è risultato privo di servizi come la spa, il frigo bar, il telefono, la cassaforte, la televisione e il collegamento wifi.
Al momento del trasferimento presso il resort inizialmente prenotato pure questo si era rivelato di qualità assai scadente e inferiore rispetto a quanto pubblicizzato nel catalogo: niente spa, né giochi d’acqua, spiaggia senza docce e ombrelloni e … invasa dalle alghe.
Circostanze tutte conosciute dall’operatore turistico – come si è evinto dalle prove in atti nel corso del giudizio – che ben avrebbe potuto avvisare i viaggiatori e scegliere con anticipo la soluzione alternativa più idonea alle loro aspettative.
Al rientro in Italia, uno dei partecipanti alla vacanza ha promosso una causa per ottenere il risarcimento dei danni subiti nei confronti del tour operator. All’azione si sono successivamente aggregati altri partecipanti. Il tribunale ha constatato l’esistenza di un inadempimento contrattuale che il tour operator non è stato in grado di giustificare, rendendo così naturale la condanna al risarcimento.
Tre sono le situazioni, elencate dal comma 2 dell’articolo 140 bis del Codice del Consumo, che legittimano la richiesta di un risarcimento: il danno da contratto, il danno da prodotto ed il danno da “antitrust”.
Nello specifico, l’azione di classe tutela i «diritti individuali omogenei»:
a) di natura contrattuale di una pluralità di consumatori e utenti che si trovino «in situazione omogenea» nei confronti della stessa impresa;
b) spettanti ai consumatori finali di un determinato prodotto o servizio nei confronti del relativo produttore;
c) derivanti da pratiche commerciali scorrette e da comportamenti anticoncorrenziali.
Il richiamo all’identità dei diritti è stato interpretato, nelle poche pronunce giurisprudenziali in merito e dalla dottrina prevalente, nel senso di ritenere che vi sia identità di diritti solo laddove vi siano diritti coincidenti in tutti gli elementi costitutivi sia con riferimento al quantum del risarcimento, potendosi differenziare solo per il fatto che ineriscano a soggetti differenti. In tali casi, il giudice chiamato a verificare la sussistenza dell’identità dei diritti, ai fini dell’ammissibilità dell’azione, dovrà accertare l’esistenza delle medesime situazioni di fatto e di diritto.
Nel caso, invece, di alcuni degli aderenti all’azione che sono stati esclusi dal risarcimento, la sentenza osserva che questi, preso atto della iniziale indisponibilità della struttura presso la quale doveva svolgersi l’intera vacanza, come per tutti gli altri, erano stati poi trasferiti in un’altra sistemazione, a loro dire di categoria inferiore rispetto a quella prenotata. Di questa differenza però, anche davanti a contestazioni del tour operator, non erano stati in grado di fornire una prova, rendendo così, nei fatti, impossibile per i giudici procedere a un avvicinamento tra le posizioni e impedendo il pagamento dell’indennizzo.
Nella sentenza viene esaminata la discipina del viaggio “tutto compreso” contenuta negli artt. 82-100 del Codice del Consumo d.lgs.206/2005, successivamente confluita negli articoli 34 e ss del Codice del turismo d.lgs.79/2011.
In tale tipo contrattuale la “finalità turistica” (o “scopo di piacere”) non è un motivo irrilevante, ma si sostanzia nell’interesse preminente che lo stesso è funzionalmente diretto a soddisfare, connotandone la causa concreta e determinando, perciò, l’essenzialità di tutte le attività e dei servizi strumentali alla realizzazione del preminente scopo vacanziero (Cass. 24.04.2008, n. 10651; Cass. 24.02.2007, n. 16315)
La normativa prevede, inoltre, una speciale disciplina a tutela del turista – consumatore, quale fruitore di un pacchetto turistico, nei confronti sia dell’organizzatore del viaggio che del venditore. In particolare a carico dell’organizzatore la normativa prevede molteplici obblighi sia nella fase precontrattuale, relativi principalmente alla completa informazione su tutte le caratteristiche del viaggio e dei servizi, in quanto decisivi nella formazione del consenso del consumatore, sia in quella successiva alla conclusione del contratto ed inerenti ad eventuali disagi e disservizi verificatisi nel corso del periodo di fruizione del pacchetto turistico e tali da provocare, in tutto o in parte, un pregiudizio alla vacanza.
Il tribunale ribadisce la pronuncia della Suprema Corte, III sez. n. 25396 del 03.12.2009, che con riferimento specifico al contratto di viaggio turistico afferma “l’organizzatore e il venditore di pacchetto turistico assumono, nell’ambito del rischio di impresa, un’obbligazione di risultato nei confronti dell’acquirente e, pertanto, la loro responsabilità sussiste ogniqualvolta sia ravvisabile una responsabilità contrattuale diretta del prestatore di servizi nei confronti del consumatore per il servizio resogli (o non resogli), e non è correlata ad un suo difetto di diligenza nella scelta del prestatore di servizi di cui si avvalga, ovvero alla possibilità di controllarne in concreto le modalità operative nell’esecuzione della prestazione”.
Più recentemente la stessa Suprema Corte (Cass. sez. III, sent.n. 5189 del 04.03.2010) ha avuto modo di fare osservare che “con il contratto avente ad oggetto un pacchetto turistico tutto compreso, sottoscritto dall’utente sulla base di una articolata proposta contrattuale spesso basata su un depliant illustrativo, l’organizzatore o il venditore assumono specifici obblighi, soprattutto di tipo qualitativo, riguardo a modalità di viaggio, sistemazione alberghiera, livello dei servizi, etc., che vanno “esattamente” adempiuti; pertanto, ove come nel caso in esame, la prestazione non sia esattamente realizzata, sulla base di un criterio medio di diligenza ex art. 1776 c.c, comma 1, si configura responsabilità contrattuale, tranne nel caso in cui, come detto, organizzatore o venditore non forniscano adeguata prova di un inadempimento ad essi non imputabile”.
Tale inesatto adempimento dà luogo alla fattispecie della c.d. “vacanza rovinata”, rappresentata dal disagio apprezzabile e dalla serie di afflizioni del viaggiatore per non aver potuto godere pienamente della vacanza come occasione di svago e di riposo conformemente alle proprie aspettative ovvero come stress e minor godimento della vacanza.
Per il tribunale, infatti, “non vi è dubbio che le circostanze in questione siano idonee a diminuire in misura apprezzabile l’utilità che può trarsi dal soggiorno nella località turistica in questione, sicché esse integrano gli estremi dell’inadempimento contrattuale a carico della società venditrice e organizzatrice”, motivo per cui è stato riconosciuto un risarcimento pari ad euro 1.300 per ciascun viaggiatore.