Si è già verificato con i Travellers Cheques, poi si è ripetuto con le carte di credito e così è avvenuto anche per i bonus miglia dei frequent flyers: ogni qualvolta è stato creato un surrogato della moneta potete star certi che dietro alla trovata c’è il mondo anglosassone.
Se per i primi due esempi è abbastanza chiaro che si tratta di sostituzione della carta moneta, per il terzo caso, ovvero i programmi per i possessori delle fidelity cards, siamo addirittura di fronte –secondi alcuni- alla creazione di una nuova valuta.
E dopo aver ricordato, a conferma di quanto asserito in apertura, che la prima compagnia aerea ad aver ideato il sistema dei punti-miglia è stata l’American Airlines, val la pena rammentare che l’argomento dei bonus che le compagnie aeree accreditano ai loro clienti è tornato alla ribalta proprio in questi giorni anche nell’ambito delle trattative Alitalia-Etihad.
Nel passato vi sono stati programmi che assicuravano premi di vario tipo a chi volava di più (Texas International, 1979, e Western Airlines, 1980) tuttavia il primo programma -così come lo conosciamo oggi- è stato l’ AAdvantage lanciato nel 1981 appunto dal vettore statunitense American Airlines. Immediatamente dopo molti altri vettori Usa imitarono la scelta, ricordiamo la United Airlines con il suo Mileage Plus e Delta Airlines con SkyMiles.
Non mancano le varianti sul tema; il sistema classico è quello di un punto per ogni miglio ma vi è anche chi concede un punto a segmento. Alcuni dei programmi in oggetto possono anche offrire la possibilità di acquistare merci o prodotti alimentari come è avvenuto nel caso di un ingegnere americano divenuto famoso come “Pudding Guy” per aver acquistato 3100 dollari di un certo budino grazie al possesso di 1.253.000 miglia del programma AAdvantage.
Dal momento poi che chi viaggia per affari comandato dalla sua ditta, accumula punti non a favore della società presso cui è dipendente bensì sotto il suo nome, non sono mancate controversie fiscali: quanto è corretto che i dipendenti in questione usufruiscano di un fringe benefit completamente esentasse? O volendo vedere il problema da altra angolazione, per quale motivo un qualcosa che dovrebbe essere a credito della società viene invece dirottato a favore del dipendente? Si è a conoscenza che in alcune nazioni, come ad esempio l’Australia, ai dipendenti pubblici che viaggiano per servizio è vietato farsi accreditare punti-premio su conti personali. Anche se si tratta di casi isolati non sono inoltre mancate iniziative e prese di posizione critiche nei confronti di questi programmi, fra cui rimane famosa la posizione assunta nel 1989 dal presidente della Braniff il quale sosteneva, non certo a torto, che questi programmi falsano la concorrenza.
L’aspetto finanziario
Ma come è facile immaginare gli interrogativi più grossi riguardano l’aspetto finanziario.
Innanzitutto quando le compagnie aeree redigono i loro bilanci quali valori attribuiscono ai punti fino a quel momento guadagnati dai loro clienti? E’ indubbio che il programma di per se stesso rappresenti un costo per l’aerolinea e come tale debba essere considerato una liability.
Pertanto non è infrequente il caso che in vista di una fusione o di un acquisto, una aerolinea alleggerisca il suo bilancio creando società ad hoc esterne alle quali affidare il conto dei punti miglia; in tale ipotesi appare evidente che siamo in presenza di una mera operazione cosmetica, di facciata per così dire, che però è capace di fornire l’impressione di una rivalutazione del patrimonio.
Secondo studi che non provengono dalle aerolinee bensì da associazioni di consumatori, una stima approssimativa parla di un valore attribuito di mezzo centesimo di dollaro Usa per miglio, basato sulla tariffa economica. A tal proposito è fuori discussione che l’aerolinea avrà tutto l’interesse a mantenere più basso possibile tale valore, ed in ciò viene facilitata dal particolare che non vi è norma fiscale che imponga un determinato calcolo attuativo.
In un tale scenario pertanto crediamo non desti meraviglia se il compito di quantificare quanto imputare in bilancio viene definito un esercizio quantomeno “tricky”. Logica vorrebbe che se una aerolinea deve trasportare fra qualche tempo un passeggero gratis, il valore da imputare per tale passaggio corrisponda alla tariffa che il passeggero avrebbe dovuto acquistare per effettuare quello stesso volo. Tuttavia dal momento che non si può conoscere in anticipo quale segmento il passeggero chiederà, è evidente che il valore da imputare dovrà necessariamente essere stimato.
Di certo per l’aerolinea l’ideale sarebbe “donare” a quel passeggero un posto che storicamente e statisticamente quasi certamente non verrà venduto ovvero volerà vuoto; chi lavora nell’ambiente noterà a questo punto una certa affinità fra il posto vuoto concesso al frequent flyer e il posto vuoto ove viene accomodato il passeggero IDN2 ovvero il free di servizio “standby”. Per l’aerolinea se vi è una rotta che ha un load factor basso è su questa che preferirebbe sistemare il suo passeggero fedele che chiede di redimere i suoi punti e non certo su una rotta che statisticamente vola sempre con un alto carico pagante.
Programmi fidelity tra AZ e Etihad
Se tuttavia nel bilancio dell’aerolinea che li gestisce i bonus accumulati vengono considerati una passività, nel caso una aerolinea venga acquistata da altro vettore quest’ultimo potrebbe essere interessato all’acquisto dell’intero programma. Nel caso ad esempio dell’accordo fra Alitalia e Etihad notizie di stampa avvertivano che nella nuova Alitalia, Etihad potrebbe versare 560 milioni freschi: 387,5 in conto aumento di capitale, 112,5 per la società che gestisce il programma Mille miglia e 60 milioni per cinque coppie di slot a Londra Heathrow, che poi saranno riaffittati ad Alitalia. Come si vede il programma di fidelity verrebbe ad assumere più valore degli slot di Londra.
Una notizia senz’altro rassicurante per i possessori dei punti, che più volte di fronte alle notizie sulla crisi di Alitalia avranno temuto di perdere quanto accumulato.