di Roberto Necci

La politica industriale è un insieme di strategie, politiche e interventi governativi finalizzati a influenzare lo sviluppo e la performance del settore industriale di un paese.

Queste politiche mirano spesso a promuovere la crescita economica, l’occupazione, l’innovazione tecnologica e la competitività delle imprese.

Gli strumenti che generalmente i governi usano sono gli incentivi fiscali, i finanziamenti agevolati, regolamentazioni atte a favorire gli obiettivi individuati, formazione professionale e partnership pubblico privato oltre che con scuole ed universita’.

L’obiettivo finale è quello di creare un ambiente favorevole per lo sviluppo.

Chiariti questi aspetti c’è da domandarsi quale sia la politica industriale del nostro Paese posta in atto dai vari governi che si sono succeduti.

Un elemento è comunque certo, l’Italia ha avuto il suo massimo sviluppo sociale ed industriale quando il tessuto economico era incentrato sulle piccole e medie imprese.

In realtà il periodo di benessere italiano e’ stato caratterizzato anche “dall’Italia dei mestieri ” i mestieri degli artigiani, dei servizi alla persona, del commercio al dettaglio.

Mestieri che garantivano accesso al mondo del lavoro e rappresentavano la vera anima del nostro ” made in italy”.

Le nostre vie, le nostre città erano piene di questa economia che sparendo ha lasciato spazio alle città dei non luoghi, tanto per citare il titolo di un famoso saggio.

Oggi abbiamo vie commerciali tutte uguali che copiano le vie delle altre città rendendole senza identità.

Tutto questo è frutto di una scelta di politica industriale del nostro Paese?

Ho il sospetto che sia frutto di una non scelta, ovvero della incapacità dei governi di comprendere le tipicità della nostra economia, il nostro tessuto sociale e probabilmente la nostra cultura.

Ho sempre pensate che se l’Italia proponesse al mondo la sua unicità sarebbe fra le prime potenze economiche mondiali se invece giocasse sul terreno dei non luoghi sarebbe destinata ad un declino.

Ma questa convinzione non è stata la stessa di chi nel corso degli anni si è occupato della politica industriale.

Si sono penalizzate le piccole e medie imprese con una folle burocrazia, una tassazione insostenibile a cui si aggiungono difficoltà di accesso al credito e appunto la concorrenza di soggetti spesso provenienti dall’estero o posizionati in paradisi fiscali che hanno di fatto annientato la possibilità di concorrere in un mercato che, a quanto pare, ha regole sostanzialmente molto diverse.

Perdendo l’artigianalita’,  la manifattura, la creatività e le relazioni derivanti dai rapporti spesso di prossimità del commercio si è persa l’ossatura della nostra economia e probabilmente del nostro sviluppo.

L’Italia infatti, e questo la politica industriale avrebbe dovuto prevederlo, non può competere sui grandi volumi ma sulla creatività ed originalità.

La nostra cultura è incentrata tanto ” sulle arti ed i mestieri ” quanto sulla creatività, non riconoscere questo significa non aver compreso chi in realtà siamo.

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