Torna la nube vulcanica e con essa i costi che gli operatori turistici si trovano a sostenere, spesso in luogo delle istituzioni pubbliche, per assistere i turisti bloccati dal fermo dei voli. Ai 30 mln di danno immediato, subìto e documentato dai nostri tour operator e agenzie di viaggio con la prima crisi, si aggiungono ora i nuovi oneri di queste ore. L’Italia sembra molto solerte nell’adottare le cautele del caso, il che è certamente giusto se questo corrisponde davvero alle esigenze di sicurezza. Tuttavia, mentre apprezziamo le iniziative del Commissario Tajani, che ha chiamato a raccolta i ministri del turismo e si è espresso per l’estensione al turismo del sostegno a favore delle compagnie aeree, non possiamo non esprimere sconcerto per il totale silenzio del governo, che, dopo aver ripetuto fino alla noia di voler fare del turismo un traino fondamentale dello sviluppo, lascia che costi ed oneri per funzioni di assistenza dovuti all’emergenza cadano sulle spalle delle imprese turistiche, già messe in gravi difficoltà dalla crisi economica. A un mese dalla prima crisi ci troviamo così a dover sostenere la nuova emergenza senza che le imprese siano state ancora chiamate a nessun tavolo di consultazione con il governo, come avvenuto negli altri paesi esposti alle conseguenze del blocco. Ripagare l’industria turistica dei costi che essa sostiene per intero e da sola, non sarebbe solo un segno concreto, per una volta, di attenzione vera al turismo come fonte di sviluppo, ma elementare atto di equità. Infatti, non si tratta di incentivi, ma di semplici coperture di costi straordinari sostenuti per assicurare assistenza a cittadini italiani, anche a causa dell’assenza di iniziative pubbliche a supporto dei viaggiatori.