Mettiamoci l’anima in pace. Il mondo delle compagnie aeree era un mondo ingessato e, aldilà di tutto ciò che si può credere, rimane ancora un mondo ingessato, e tale rimarrà negli anni a venire.
C’è una leggenda metropolitana che circola intorno al mondo delle compagnie aeree secondo la quale a loro non è permesso fare quello che fanno tutti gli altri settori del
commercio e industria internazionale, ovvero fusioni cross-border. Allora se questa voce ancora circola dopo oltre trenta anni che negli Stati Uniti è stata varata la deregulation, puntualmente ripresa subito dopo da noi in Europa, sarà il caso di iniziarsi a fare qualche domanda.
Se Air France e Klm hanno formato un gruppo continuando a volare con distinti colori sociali, se stessa cosa hanno fatto Iberia e British Airways, se di fusioni fra vettori di differente nazionalità non vi è traccia sotto i cieli dei cinque continenti, ciò vuol dire che nessuna nazione è disposta a rinunciare al proprio vettore di bandiera. Per quanto questa constatazione possa sembrare controtendenza rispetto alle liberalizzazioni che si sono susseguite, essa è ormai confermata dalla realtà dei fatti e nessuno potrebbe asserire il contrario.
Certamente in Europa grazie alle politiche volute da Bruxelles, si sono verificate acquisizioni azionarie che hanno portato vettori di nazionalità “A” sotto l’orbita di vettori di nazionalità “B”; in tal senso ricordiamo Swiss, Brussels Airline o Air Dolomiti controllate al 100 per cento da Lufthansa, ma com’è facile constatare anche in tali casi l’acquirente si è guardato bene dal fondersi con l’altrui soggetto fino a farlo scomparire, come d’altra parte sarebbe stato ovvio che fosse accaduto. E ancora, come fingere di dimenticare che gli Usa, culla a tutti gli effetti della deregulation, non ne vogliono sapere che i loro vettori a stelle e striscie vengano controllati nella maggioranza del pacchetto azionario da compagnie straniere? Val la pena sottolineare quanto detto: se la nazione che ha varato la rivoluzione dei cieli ed ha lanciato la politica degli open-skies continua a volere tali limitazioni, possiamo davvero sperare che altrove avvenga il contrario?
Ora ricordando come l’Europa abbia voluto copiare gli Stati Uniti per quanto riguarda la deregolamentazione del trasporto aereo, vi sarebbe da chiedersi come mai abbia voluto addirittura superare gli Usa spingendosi a fare qualcosa che questi non si sono mai sognati di prendere in considerazione, ovvero il cedere il controllo di un vettore nazionale a un altro Stato.
Ebbene osservando le polemiche che oggi iniziano a montare anche contro la moneta unica europea, non è difficile vedere in tutte le decisioni prese da Bruxelles una presunzione eccessiva nel voler far credere all’opinione pubblica che davvero in Europa gli Stati erano pronti a mettere da parte bandiere e frontiere per far nascere un’unica Nazione. Un’attenta riflessione non può non portare a dimostrare esattamente il contrario, e cioè che Bruxelles ha voluto spingere l’acceleratore anche su aspetti sui quali l’Europa non era affatto matura. E, giunti a questo punto, dubitiamo che mai lo sarà. Comunque il paradosso è sotto gli occhi di tutti con un certo mondo della finanza -quello per intenderci che ama appellarsi “innovativo”- che continua a lamentarsi per la presenza delle restrizioni che impedisce l’accesso di nuovo capitale e non permette all’industria aerea di divenire più efficiente, ma rimane che da noi in Europa, dove le restrizioni sono cadute, i vettori anche quelli acquisiti dagli altri continuano a volare con i propri colori sociali e nazionali.
D’altra parte in merito allo scottante argomento sul controllo delle aerolinee e sulle ipocrisie che lo accompagnano, è esemplare quanto accaduto nel caso della DHL. Negli anni 2003/2004 negli Stati Uniti,la UPS ela Fedex hanno portato DHL in tribunale in quanto, secondo loro, erano state violate le leggi federali sulla ownership dei vettori. In particolare si trattava di appurare se la società “ASTAR” -diretta emanazione della DHL Airways- fosse sotto il controllo della tedesca Deutsche Post World Net e come tale non fosse da considerarsi un vettore USA. Se la tesi fosse passata sarebbero risultate violate le leggi che regolano appunto il controllo delle compagnie aeree Usa. L’allora ex presidente di Northwest, John Dasburg, fu messo a capo della DHL Airways e nel bel mezzo della battaglia legale si affrettò a costituire una cordata d’investitori statunitensi che acquistarono il 100 per cento dell’aerolinea cargo inclusa la quota di Deutsche Post; alla compagnia venne quindi cambiato nome e la stessa divenne Astar. Inutile precisare che la maggior parte del revenue di Astar derivava da un accordo che questa compagnia aveva stipulato con DHL. Le acque si calmarono, la compagnia venne riconosciuta come statunitense e dopo quattro anni nell’estate del 2007la DHL annunciò l’acquisto del 49% di Astar (non voting equity) e del 24,9% (voting equity), in pratica il massimo consentito dalla legislazione statunitense.
Come si vede con il gioco delle società “collegate” gli ostacoli possono essere agevolemente superati, ma nel contesto dell’intero problema rimane significativo il particolare della non volontà di cedere il controllo diretto di compagnie che operano in un settore che pure si è voluto deregolamentare.
ANTONIO BORDONI