Quante volte vi sarà capitato di ascoltare le lamentele di un negoziante il quale si dichiara stanco della sua attività dal momento che non vede l’utilità di continuare un lavoro che non gli assicura un decente profitto? E quante volte vi sarà altresì capitato di passare su una strada e accorgervi che quel certo negozio ha abbassate le serrande e non c’è più ?  Così va il mondo, sono gli alti e bassi del commercio e quando  ci si accorge che l’attività non rende, si prende il provvedimento estremo e si chiude, si vende e ci si dedica ad altro. Ebbene potrà sembrare strano ma queste ovvie considerazioni che credevamo valide per tutti, non lo sono per il settore delle compagnie aeree o perlomeno per buona parte di esse. Non da anni, ma da decenni ormai si parla di settore in crisi con ritorni di profitto irrisori, quando ve ne sono ovviamente, mentre non sembra mai fermarsi la lista di tagli e risparmi tramite i quali le compagnie cercano di rimanere in volo.  Si è derisa la aerolinea che aveva chiesto ai passeggeri di andare al bagno prima di salire a bordo perché in tal modo il peso del carico diminuiva e la compagnia avrebbe risparmiato carburante, ma è evidente che sono ormai tante le compagnie disposte a tutto pur di veder ulteriormente ridotte le spese.

Il mondo delle compagnie aeree  è sempre stato suddiviso fra vettori spartani e non. Una volta i primi si chiamavano charter, ora sono chiamate low cost.  Comunque vi è sempre stata questa distinzione fra vettori cosiddetti  “di classe” e vettori con i quali si risparmia ma che forniscono un servizio inferiore. Le compagnie di bandiera, tutte, appartenevano alla prima categoria. Ora noi riteniamo che sia una scelta discutibile quella di un vettore appartenente alla tipologia “superiore” che continui a voler operare riducendo la qualità dei servizi alla quale aveva abituato la sua clientela.  Si badi bene che affermando ciò non si vuol qui sostenere che sia sbagliato fare  risparmi o cercare di correggere il tiro, ma più semplicemente che una volta deciso di voler continuare ad operare anziché chiudere i battenti,  ci si dovrebbe focalizzare su una tipologia di prodotto piuttosto che continuare a criticare le compagnie low cost ma allo stesso tempo imitarle nel taglio-servizi. In altre parole si tratterebbe di credere nella validità del proprio modello invece di declassarsi. E queste considerazioni sono oggi particolarmente valide per il continente europeo letteralmente alla deriva.

In un suo recente comunicato datato 16 luglio l’AEA, l’associazione dei vettori europei, prende in esame i risultati ottenuti nel primo semestre del 2012  avvertendo che: “i vettori network europei si confrontano con un paradosso dal momento che la crescita dei viaggi aerei contrasta fortemente con la situazione finanziaria.”  Il significato è chiaro: aumentano i passeggeri, ma la nostra sopravvivenza è sempre più difficile. Ovviamente le aerolinee si guardano bene dal ricorrere a quella che sarebbe la misura più scontata ovvero aumentare le tariffe, e così altro non rimane che cercare di ingegnarsi su cosa ancora si possa tagliare; ma fino a quando può durare questo modo di mandare avanti le aerolinee?

Quando una industria vede aumentare la domanda del suo prodotto ma si trova in difficoltà a far quadrare i conti malgrado abbia addirittura provveduto a creare una specifica sovrattassa per quella che è la sua maggiore voce di uscita, leggasi sovrattassa carburante, crediamo davvero  sia il caso di interrogarsi se valga la pena continuare ad operare con la sola politica dei tagli alle spese vedendo il profitto come qualcosa di sempre più irraggiungibile. Appare inoltre evidente che la inarrestabile politica dei tagli fa si che quest’ultimi  non intacchino più le cosiddette spese superflue ma producano i loro effetti anche sul brand del prodotto venduto e comunque  tutto può farsi purché ci si prefigga un piano industriale, un confine superato il quale forse  converrebbe considerare l’opzione vendita.

Una volta i collegamenti assicurati dalle compagnie aeree venivano assimilati ai servizi di utilità pubblica e come tali venivano svolti anche in condizioni di perdita, ma oggi che le compagnie sono privatizzate  un tale connotato è venuto a decadere e gli Stati non hanno affatto né volontà né mezzi  per tenere in vita imprese che non riescono a trarre utili dalle loro attività.  A ben vedere anzi sono proprio gli Stati a dare il colpo di grazia alle compagnie aeree aumentando le tasse aeroportuali e creando imposte ecologiche assolutamente inappropriate in momenti delicati come gli attuali (ETS) che vanno a gravare sui conti dei vettori.  Tutti avete letto cosa è accaduto con le tasse aeroportuali spagnole il cui aumento retroattivo sicuramente sarà un colpo per il turismo iberico nonché per le compagnie aeree.  Uno sguardo agli avvenimenti di questi ultimi anni mostra che le aerolinee sono state obbligate ad abbassare le tariffe in nome della concorrenza per favorire  consumatori,  quest’ultimi però vedono ogni giorno aumentare le tasse che gravano sul biglietto;  le compagnie aeree non possono operare in un contesto ove per loro sarebbe un suicidio aumentare le tariffe e contemporaneamente -di fronte a questa politica di contenimento prezzi- c’è chi rema contro aumentando l’Iva, aumentando le tasse aeroportuali, creando nuove tasse a carico del settore. Sono tempi di follia collettiva quelli che stiamo vivendo con provvedimenti estemporanei presi solo nell’emergenza del momento ma senza il supporto di un piano strategico di ampia portata, e così facendo tutto va in malora.

In Europa tralasciando i vettori privati sono tre per il momento le compagnie cosiddette di bandiera che hanno chiuso i battenti: quella svizzera, quella belga e quella ungherese. Le prime due sono state subito rimpiazzate da due vettori entrati sotto il controllo tedesco,  la Malev invece ancora non ha trovato il sostituto.  Sia ben chiaro che se altre compagnie seguiranno ciò non sarà dovuto al fatto che mancano i passeggeri, ma solo alla folle  politica portata avanti da politici e regolatori.

Antonio Bordoni