Ovvero, chi sarà il “salvatore” di Alitalia?
Invitiamo i lettori a voler ben riflettere sulle considerazioni che seguono.
In Italia siamo giunti al punto che tutti sono in fervida attesa che venga qualche “salvatore”, leggasi vettore straniero, a mettere su voli dai nostri aeroporti per le destinazioni che ci interessano. Ciò in quanto non vi sono aerolinee tricolori interessate a svolgerli. Ovvero l’utente-passeggero italiano si muove nel mondo grazie ai collegamenti che gli altri “costruiscono” a casa nostra, in quanto se dipendesse dai nostri vettori i servizi mancherebbero del tutto, o quasi.
Teniamo conto che l’Alitalia è una compagnia che volava dal 1947, mentre una Lufthansa, ad esempio, ha potuto riprendere le attività solo nel 1958, cioè ha preso il volo undici anni dopo la nostra compagnia.
Teniamo altresì presente che la Germania fino a non molti anni addietro era un Paese diviso in due differenti nazioni, il quale ha dovuto farsi carico di una completa riunificazione, riportando sotto un unico tetto un territorio, quello orientale, che non si poteva certo definire prospero e ricco. Potete ben immaginare cosa ciò possa comportare in termini finanziari ed economici. E’ con queste premesse che oggi gli italiani debbono apprendere dagli organi di informazione che la nazione intera è in attesa che la Lufthansa scelga Alitalia, così – tanto per dirne una – finalmente Malpensa potrà decollare e diventare un hub. Il bello di questa faccenda è che il tutto ci viene presentato come una normalissima operazione di marketing aeronautico, senza minimamente mettere l’accento, e rendere edotti i lettori, della sensazione di imbarazzo che si dovrebbe almeno provare, come italiani, nel constatare di essere ridotti al punto di non aver saputo costruire un prodotto nazionale, cosa che altri hanno saputo fare egregiamente, tanto da dover ricorrere a qualcuno che ci compri e che controlli la nostra compagnia onde permettere agli italiani di volare laddove vi è bisogno di andare.
In effetti più che “non aver saputo costruire”, sarebbe molto meglio dire di come siamo stati bravi a ridurre a brandelli quella che una volta era una “signora” compagnia aerea, senza che mai in questi anni di distruzione strisciante ma mirata, si sia potuto trovare uno, sottolineiamo un responsabile, che si sia fatto carico di una qualche colpa. Vi risulta che qualcuna fra le tante sigle sindacali abbia mai fatto un mea culpa dei troppi scioperi e agitazioni? Vi risulta che il mondo politico ha preso atto che fosse finito il tempo delle ingerenze di palazzo sulle nomine ai vertici del vettore? Vi risulta che qualche Ceo o presidente, fra i tanti che si sono succeduti, abbia mai avuto il coraggio di dire facciamola finita con questa infantile diatriba fra Fiumicino e Milano, ossia fateci fare il nostro lavoro senza interferenze? Così potremmo continuare ancora a lungo.
E quando ci interroghiamo su qualcuno che abbia avuto il coraggio di ammettere errori compiuti, non è che lo facciamo per un mero senso giustizialista, ma semplicemente perché siamo fermamente convinti che se vi fosse stata almeno una categoria che dal suo punto di vista avesse ammesso di aver sbagliato, forse si sarebbe potuto sperare in quel cambio di rotta che avrebbe potuto far uscire l’Alitalia dalla picchiata in cui era in caduta libera da anni.
E invece no, tutti fino alla fine hanno voluto fare quello che hanno fatto per anni, basti ricordare che anche in quei mesi in cui era stata avviata la gara per la ricerca di un vettore interessato al merger, e quindi l’Alitalia era sotto osservazione da parte dei potenziali acquirenti, anche in quel delicato periodo i passeggeri si son dovuti sorbettare gli immancabili scioperi e agitazioni.
Ora che l’Alitalia è ridotta ai minimi termini, sia come finanza, sia come relazioni industriali, sia come immagine, ora si cerca chi se la compra, e si pretenderebbe che quello che il governo italiano, quale azionista di maggioranza, non ha saputo fare in decenni di conduzione, se ne faccia carico tutto d’un colpo l’acquirente. Questa è la nostra italica coerenza.
Addirittura, quando il Ministro Tommaso Padoa Schioppa si è ripresentato al Commissione Trasporti per riferire sul fallimento della prima e proporre il rilancio di una seconda gara, narrano le cronache, che qualcuno della Commissione abbia suggerito di includere fra le condizioni di acquisto anche la soluzione al caso del tormentone nazionale Malpensa-Fiumicino.
Incredibile a dirsi ma mentre si prendeva atto che una delle ragioni del fallimento della prima gara erano state le troppo clausole, si pretendeva di inserirne delle altre!
E’ appunto in questo clima di incredibile confusione che, mentre continua senza sosta il rimpasto dei vertici della compagnia, si è in attesa che prenda corpo il salvatore.
Ed anche in questo caso l’Italia si fa trovare spaccata. Se il salvatore infatti si chiamasse Lufthansa o Air France, sarebbe Malpensa ad essere soddisfatta, se invece chi vincesse la gara fosse una Air One, sarebbe contento il partito dell’italianità.
L’opinione dell’Anpac (Associazione Nazionale Piloti Aviazione Civile)
“In merito ad una eventuale acquisizione di Alitalia da parte di Lufthansa che vedrebbe una drastica riduzione della flotta, Anpac esprime un totale dissenso. Anpac da sempre ritiene prioritario un percorso industriale che consenta ad Alitalia il definitivo inserimento nel contesto europeo. Questo percorso, utile al risanamento della compagnia di bandiera, non può però trasformarsi in un ridimensionamento che non produrrebbe alcun futuro certo per l’azienda”.
Se volete la nostra opinione, noi propendiamo per un controllo italiano per il semplice motivo che se vincesse un forte vettore europeo ciò significherebbe che l’Italia dopo essere stata dissanguata dalle low cost straniere che atterrano in ogni regione grazie alla nostra rete aeroportuale che cresce come i funghi dopo la pioggia, diventeremmo terra di conquista anche sull’altro fondamentale settore, ossia quello dei voli intercontinentali.
Una cosa infatti qualcuno dovrà pur spiegare un giorno: in Italia il mercato c’è non solo sul corto-breve raggio ma anche su talune bene individuate aree long haul. Si potrà mai sapere per quale motivo questa seconda tipologia di traffico è stata completamente negletta e quindi anch’essa regalata ai vettori stranieri? La suddetta domanda potrebbe anche essere riformulata in questi termini: basta con il farci colonizzare, voliamo italiano perché il traffico che origina da noi c’è, e non capiamo perché esso non dovrebbe venir sfruttato dall’imprenditoria italiana anziché da un Michael O’Leary, da Cyril Spinetta o chiunque altro che diriga un vettore straniero.
Antonio Bordoni