Al chiostro del Bramante, dal 18 dicembre al 2 giugno, la mostra “Brueghel, meraviglie dell’arte fiamminga” racconta la storia di una stirpe di artisti. Fra analogie, differenze…e marketing
Se il talento si trasmetta è una cosa controversa e in fondo misteriosa. Comunque sia, è un fatto certo che i Brueghel furono pittori di un certo successo per circa due secoli e quattro generazioni, conosciuti e richiestissimi in tutta Europa. Il capostipite, Pieter Brueghel detto il Vecchio, rappresentò soprattutto l’umanità, indagata nei suoi aspetti psicologici e nella sua natura più profonda. Si vede il riflesso della cultura nordeuropea, lontana dal conforto della fede e della filosofia: l’uomo è una creatura goffa e piena di limiti, dipinta senza sconti di sorta. Paure, vizi, debolezze: le figure di questo Brueghel sono osservate lucidamente, con uno sguardo che qualcuno ha definito “iperrealista”. Siamo lontanissimi, sebbene il periodo sia quello, dai nostri pittori rinascimentali, per i quali l’uomo è invece al centro dell’universo, trionfante protagonista di una rinascita in tutti i campi.
I figli: Jan predilige i particolari e le nature morte, con una vera e propria ossessione per i dettagli; diventerà famoso come “il Brueghel dei fiori e dei velluti”, con una straordinaria capacità tecnica.
L’altro, Pieter il Giovane, si dedicherà a soggetti mitologici ma anche a riprodurre o completare opere del padre, dando vita ad un’attività molto simile a quella che oggi chiameremmo di “marketing”. Proseguono anche i nipoti, pittori a loro volta, ed ormai titolari di un nome e di un’abilità divenuti famosi e ricercati. Nella saga dei Brueghel compare anche l’Italia, dove Jan va ad ispirarsi e poi a dipingere per il Cardinale Federico Borromeo.
La mostra, curata da Sergio Gaddi e Doron J. Lurie, Conservatore Dipinti Antichi del Tel Aviv Museum of Art, ed organizzata da Arthemisia Group e DART-Chiostro del Bramante, espone oltre 100 opere provenienti da musei e collezioni private, fra le quali una vera chicca mai vista a Roma. Si tratta de “I sette peccati capitali” di Hieronymous Bosch, maestro di Pieter il Vecchio, al quale risponde idealmente “I sette atti di pietà” di Pieter Brueghel il Giovane. E’ un gioco di rimandi, di citazioni, di specchi, che sembra non esaurirsi mai: ciascun artista vi partecipa e il risultato finale è senz’altro maggiore alla somma delle parti.
Cecilia Emiliozzi
scusate, chiamando il nr dedicato ho saputo che la mostra è stata cancellata. chi può confermare?
grazie mille