Il particolare più sorprendente che accompagna l’attuale crisi delle aerolinee è che non vediamo alcuno spiegare al pubblico il perché queste cose accadono. Così continuiamo a vedere volti increduli quando si tocca l’argomento, e la domanda più ricorrente è sul come sia possibile che le compagnie aeree possano trovarsi in crisi malgrado, come è da tutti risaputo, gli aerei volano sempre pieni.
Prendiamo l’ultimo esempio eclatante, quello che ha riguardato la chiusura della TWA.
Questa compagnia non era l’ultima arrivata; questa compagnia era una delle veterane dell’aviazione civile con una flotta ed un network che si estendevano in tutto il globo.
Essere una delle veterane significa fra l’altro poter vantare maggiore esperienza dei concorrenti nel settore dove si opera, non fosse altro perché si è potuto seguire passo-passo l’evoluzione del trasporto aereo commerciale, e si può così meglio conoscerne ogni suo recondito dettaglio.
Eppure una compagnia conosciuta in tutta il mondo da oltre cinquant’anni, ha fatto questa fine ingloriosa, chiusura con assorbimento da parte di un altro vettore.
Se qualcuno tenta di dare spiegazioni, inevitabilmente il discorso finisce per incentrarsi sul tema della “accesa concorrenza” che contraddistingue l’attuale scenario dell’industria aerea.
Ma per chi vuol vedere in profondità, una tale spiegazione, dice tutto e non dice niente dal momento che anche la TWA, agli occhi degli altri vettori, era uno dei concorrenti che evidentemente “dava fastidio”. E allora? perché proprio la TWA?
Per tentare di rispondere a questi quesiti vorremmo partire da un dato di fatto da tutti constatabile. È vero che c’è la concorrenza , è vero che il numero dei vettori è aumentato a sproposito, ma se guardiamo i coefficienti di carico delle aerolinee, nessuna esclusa, tutto sembra indicare che – ci si passi per l’espressione romanesca –  c’è trippa per tutti.

Ossia non troviamo vettori che volano vuoti a causa dell’accesa concorrenza.
È questo un punto basilare da non trascurare il quale, fra l’altro, smentisce la teoria di coloro che tentano di spiegare la crisi con la competitività presente oggi sul mercato.
Il clima competitivo può creare problemi quando aumenta il numero dei produttori in concorrenza fra loro per un determinato prodotto o servizio e, contemporaneamente, i potenziali clienti rimangono in numero pressoché invariato, ma questo non è certo il caso delle compagnie aeree che volano sempre con alti fattori di carico malgrado, come abbiamo già osservato, sia aumentato in modo considerevole il numero delle aerolinee presenti sul mercato.

Eccoci allora tornati al quesito di partenza: perché compagnie che una volta erano il simbolo prestigioso del loro paese sono oggetto di fallimenti, chiusure o, nella migliore delle ipotesi, di ridimensionamenti?
La risposta è di una semplicità disarmante tale da apparire assurda e noi, per convincere il lettore di quello che affermiamo da tempo, vogliamo sottoporre cifre e dati supportati da documenti che comprovano la nostra tesi.
Innanzitutto siamo andati a vedere quanto costavano “qualche anno fa” due destinazioni-tipo, tratte da un orario della Aeronaves de Mexico del 1966.
La scelta è stata del tutto casuale dal momento che, come tutti sanno, in quegli anni le tariffe erano “da cartello”, e come tali uguali per tutte le aerolinee, e realmente applicate senza sconti di sorta. Quindi qualunque vettore avessimo scelto non vi sarebbe stata differenza sulle tariffe di vendita. Ricordiamo anche che in quegli anni non erano di moda i “tariffari confidenziali” e i prezzi dei voli facevano parte integrante dei timetables in libera distribuzione al pubblico.

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Servendoci poi delle tabelle statistiche Istat, abbiamo posto l’anno 1966 come uguale a 100 e abbiamo sommato i vari sfalsamenti che si sono susseguiti, fino all’anno 2000, nel valore del costo della vita.
Grazie a questa tabella, avremmo pertanto potuto sapere il valore attuale, aggiornato, dei prezzi del 1966.
Apprendiamo così, ad esempio, che 497.700 lire, corrispondente alla tariffa di bassa stagione sulla Roma-Mexico City avrebbe dovuto ammontare, per effetto del mutato valore del costo della vita, a lire 1.778.000
Onde avere un quadro storico, il più fedele possibile della situazione, vorremmo ricordare ai lettori che negli anni sessanta gli aeroporti erano statali e come tali il loro uso era pressoché gratuito, particolare questo che vale anche per i servizi del controllo del traffico aereo.

Teniamo a puntualizzare questi particolari, non certo secondari, per far comprendere come oltre al cambio che nel tempo ha interessato il mero valore di acquisto del denaro, vi sono pure da considerare elementi specifici tecnici del settore, che fanno comprendere come l’evoluzione che ha interessato l’industria del trasporto aereo commerciale ha visto, in ogni caso, i costi operativi per i vettori, aumentare a dismisura.
Ad esempio negli aeroporti italiani i diritti aeroportuali in quegli anni erano fissati in lire 400 per le prime 25 tonnellate, 600 lire per ogni tonnellata ulteriore; ebbene oggi essi sono arrivati a lire 4171 per le prime 25 tonnellate e lire 5207 per le successive. Gli aumenti applicati a carico dei vettori, per chi volesse farsi due conti, sono aumentati quindi di ben dieci volte!
Ebbene, partendo dalle tariffe-base del 1966, adeguate le stesse al valore del costo della vita ai giorni nostri, non rimaneva altro che andare a controllare quanto questi valori si discostavano dai prezzi praticati oggi dai vettori.

Indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati

1966 = 100
1970 = 111.6          11.6
1970 = 100
1976 = 199.6        99.6
1976 = 100
1980 = 186,2        86.2
1980 = 100
1985 = 190,7        90.7
1985= 100
1989 = 124.2        24.2
1989 = 100
1992 = 118,9        18.9
1992 = 100
1995 = 114,1        14.1
1995 = 100
2000 = 112,1          12.1

Totale aumento
Dal 1966 al 2000    357,4

Ovviamente per portare a termine l’esercizio, non potevamo avvalerci dei tariffari ufficiali che, come è noto, non esistono più. Oggigiorno i timetables  delle aerolinee contengono solo gli orari dei voli, mentre per i prezzi bisogna rifarsi, come appunto ricordato, ai tariffari  chiamati con molta eleganza “confidenziali” o alle tariffe che vengono diffuse attraverso i comunicati stampa.
Siamo andati pertanto a dare un’occhiata nella nostra raccolta e abbiamo trovato diverse inserzioni pubblicitarie che appunto si riferiscono a vari mesi dell’anno 2000 e che sottoponiamo alla vostra attenzione.
New York A/R lire 1.099.000 con tre notti di albergo compreso; oppure a 699.000 lire A/R senza albergo; Città del Messico a lire 1.099.000 A/R; Miami lire 1,200,000 con 5 notti di albergo incluso…
Attenzione, questi non sono prezzi per interliners, o addetti all’industria: questi sono prezzi con cui nell’anno 2000 le aerolinee caricavano i loro aerei.
Uno sguardo rapido alle tabelle da noi predisposte e a tutti apparirà chiaro come le tariffe sono all’incirca il 50% in meno di quello che avrebbero dovuto essere, tenuto conto del solo cambiamento che ha riguardato il costo della vita nel periodo in esame; e questo mentre gli aerei pagano oggi dieci volte di più per le tasse di atterraggio rispetto al 1966…
A questo punto non crediamo possano sussistere molti dubbi; la nostra tesi su cui sempre abbiamo insistito in questi ultimi anni, e cioè che l’industria aerea svendeva il suo prodotto, trovava nelle tabelle e cifre da noi comparate una più che evidente conferma.
Non ci si illuda pensando che questa svendita riguarda solo i settori da noi considerati, in realtà tutto il lungo raggio è stato venduto in maniera sconsiderata, non remunerativa e questo spiega fra l’altro perché le prime vittime illustri di questa corsa incosciente siano state in prima battuta proprio le aerolinee che operano sul lungo raggio.
Ovviamente non può non sorgere un’ovvia domanda. Assumendo come corretto quanto sopra asserito come è potuto accadere che le aerolinee non si rendessero conto dell’errore che stavano commettendo?
Non è agevole tentare di dare una risposta esaustiva senza dilungarci eccessivamente, ma possiamo provare a sintetizzare i punti essenziali.

Incapacità di controllo dei mercati

Una volta che un vettore investe ingenti capitali per acquistare i velivoli, ha necessità che questi volino subito e si fermino il meno possibile.  Da qui l’urgente bisogno di immettere questi assets in linea e di renderli operativi il più rapidamente possibile riducendo al minimo i tempi morti.
I problemi però che sorgono con stazioni estere appartenenti a mercati d’oltremare sono molteplici.
Il controllo di queste lontane stazioni viene affidato a strutture locali le quali operano il più delle volte senza assicurare un sia pur minimo e necessario coordinamento fra le aerolinee concorrenti che operano sulla stessa rotta.
Il che significa che la tariffa con cui la stazione locale chiede al proprio Head Office di poter vendere il settore che da essa origina, più che essere la risultante di un calcolo di costi e ricavi, che la stazione fra l’altro non sarebbe nemmeno in grado di appurare, deriva semplicemente dall’applicazione di una tariffa più bassa di quella applicata dal concorrente che opera sulla stessa piazza.
L’Head Office potrebbe senz’altro rifiutare un prezzo di vendita che non assicura la redditività della rotta, ma verosimilmente accetta la tariffa proposta perché spera che ciò si traduca in un aumento del numero dei passeggeri.
L’esperienza di questi ultimi anni, ha però dimostrato che l’alto numero dei passeggeri non è tuttavia sufficiente a coprire i crescenti costi che tutti i vettori incontrano, specialmente appunto sulle rotte a lungo raggio.  Anche in tale caso abbiamo puntuale riscontro del perché risultati economici così disastrosi siano ottenuti in presenza di pur ottimi coefficienti di carico.
L’Head Office avrebbe un’ulteriore possibilità: quella di chiudere la rotta. Anche questa sarebbe una mossa logica se non fosse per il particolare che tutti i mercati ormai sono operati con le caratteristiche cui sopra abbiamo accennato e pertanto ovunque il vettore concentri il suo traffico, con differenze più o meno marcate, la situazione rimarrebbe la stessa, e la chiusura delle destinazioni servirebbe solo a tenere “disoccupati” i velivoli acquistati, con le conseguenze economiche facilmente immaginabili.

Ridimensionarsi

Ecco allora che i vettori hanno optato per un vivere “alla giornata”, vivendo del movimento di contanti che l’immensa massa di vacanzieri e di traffico etnico assicura giornalmente alle loro esauste casse.
Basta vedere cosa è successo dopo gli eventi delle Torri Gemelle per ottenere conferma di questa tesi: nessuno aveva una lira di riserva per far fronte ad un periodo di stasi del traffico.
A fronte di questa situazione che, per chi ha fatto i capelli bianchi in questa industria, non era certo inaspettata, ecco prospettarsi una possibile via di uscita: tornare al passato e ridimensionarsi, dedicarsi ai mercati nazionali o a quelli continentali.
Cosa significa questo? Significa un ritornare alle origini. Forse non tutti sanno che prima dell’avvento dei jumbo (sempre qui si torna!) molti vettori che oggi operano nei cinque continenti, erano in realtà vettori di dimensioni regionali. La MAS, Malaysian  Airlines era un vettore regionale, stessa cosa vale per la Singapore Airlines o per la Thai.o per la Garuda o per la Philippine Airlines: solo negli anni settanta questi vettori hanno assunto dimensioni intercontinentali, ma oggi essi stanno seriamente pensando, alcuni già lo hanno fatto, di ritornare a gestire solo traffici “continentali”.
D’altra parte che senso avrebbe continuare a gestire rotte, sia pur di prestigio, in perdita? Finché vi erano i governi alle spalle delle aerolinee, che a fine anno coprivano i bilanci, si potevano pure tenere aperte rotte passive, ma oggi ciò non è più possibile.
L’alternativa potrebbe essere quella di adeguare seriamente i prezzi al costo del servizio offerto, ma dal momento che su questo versante nessuno, sottolineiamo nessuno, dei vettori decide qualcosa, non rimane che chiudere le rotte intercontinentali.
E non è certo un caso che Swissair, Sabena e la stessa Alitalia sempre più spesso recentemente, facendo previsioni per il loro futuro, hanno usato il termine “ridimensionamento”.
Ma al ridimensionamento del network, bisognerà poi far seguire un’altra decisione altrettanto importante: diventare tutti vettori low cost-no frills o continuare a fare omaggio ai passeggeri di pasti, di giornali, di pernottamenti, eccetera, eccetera?
Qui il discorso si fa complicato ma certamente possiamo dire che tutto andrebbe ponderato in un’ottica di economia gestionale; avendo cioè sempre presente che la tariffa con cui si vende un certo collegamento dovrebbe essere costruita sui costi dello stesso. Pertanto anche sul corto raggio vale quanto osservato sul lungo ossia, o si applicano “alte” tariffe continuando a mantenere una struttura di supporto passeggeri a terra e assicurando un certo servizio a bordo, o in alternativa si potrebbe appunto pensare di smantellare tutto e di fare dell’aereo una specie di corriera di montagna che va e viene, caricando e scaricando passeggeri senza troppe formalità. Chi vuol mangiare a bordo si porti pure il panino e la bibita in lattina, perché il vettore non offre niente gratis.
Il dilemma per l’industria del trasporto aereo commerciale è tutto qui: corriera di montagna o mezzo di classe?
Secondo il nostro parere, tenuto conto che il mondo è bello perché è vario, ci sarebbero clienti sia per gli uni che per gli altri (vedi a tal proposito cosa ha insegnato il caso Concorde). L’importante però è di abbandonare la promiscuità che ci ha condotto in queste condizioni e di optare per l’una o per l’altra sponda.
Un particolare comunque, lo confessiamo, rimane anche per noi un mistero irrisolto: per quale motivo sui settori nazionali o comunque sul breve raggio, i vettori non hanno remore o freni a incassare bei bigliettoni da centomila per pochi minuti di volo, mentre sembra che quasi si vergognino a farlo sui settori a lungo raggio, quando il volo dura svariate ore?

Antonio Bordoni