Tutti voi avrete certamente presente la famigerata scena. Dopo aver trovato panini, rosette e pagnotte che uscivano finanche dall’oblò della lavastoviglie, il ragionier Ugo Fantozzi – solo allora -venne assalito dal “piccolo” dubbio che forse, poteva darsi, c’era la remota possibilità, che la moglie avesse una relazione con il fornaio. Una scena cult del cinema comico italiano.
In questi ultimi anni abbiamo martellato i lettori con un argomento perennemente ricorrente nei nostri articoli; ben difficilmente infatti riusciamo a tacere sulla impossibile relazione fra aeroporti e aerolinee; sulle tariffe rigide applicate dagli uni, sulle tariffe assurdamente trattabili applicate dagli altri.
Una situazione che, protrattasi negli anni, ha portato l’industria del trasporto aereo commerciale al collasso.
I nostri interventi hanno sempre evidenziato la nota dolente della insostenibile situazione che si è venuta a formare, con le relative difficoltà – sotto gli occhi di tutti – a carico delle aerolinee.
La tesi da noi sostenuta è alquanto semplice.
Le compagnie aeree sono state costrette a deregolamentare il loro settore con conseguente applicazione di tariffe concorrenziali; in tal modo il prezzo del biglietto aereo nell’ambito di una determinata rotta veniva ad essere la risultante non della copertura dei costi, quanto della necessità di strappare il passeggero al concorrente applicando la tariffa più bassa. Si viveva cioè di cash flow, ma non di profitto.
Laddove poi il prezzo praticato dal concorrente era decisamente “indecente”, si decideva di chiudere la rotta. È così che numerosi vettori hanno drasticamente ridotto la loro rete sociale, in particolare sulle rotte intercontinentali.
Mentre le compagnie aeree vivevano, prima negli Usa e poi in Europa, questo traumatico passaggio, le autorità aeronautiche di tutti i paesi nel mondo allentavano la presa sugli aeroporti i quali, fino ad allora gestiti a conduzione statale, passavano prima a società semi-pubbliche, e poi in mano private.
Ma l’aeroporto per sua natura – questo ormai è un dato di fatto che pochi osano contestare – è un monopolio naturale. Monopolio naturale significa anche che – come più volte annotato – quando una aerolinea vuole attivare un collegamento con una determinata destinazione, ben difficilmente ha l’opportunità di poter scegliere – nell’ambito degli aeroporti cittadini – fra uno scalo condotto dalla società “X” e un altro condotto dalla società concorrente “Y” ; assai interessante a tal proposito è la storia dell’aeroporto di Orlando-Sanford e di quella di suo rivale maggiore Orlando International Airport, di cui in altra occasione parleremo.
Qui ora ci limitiamo ad annotare come questa vicenda che vedeva gli aeroporti, i quali sono la “casa naturale” degli aeromobili, in particolare di quelli della compagnia di bandiera, vivere nel loro clima di “monopolisti naturali”, mentre le aerolinee si contendevano il passeggero a suon di sconti non poteva non concludersi come da scenario preventivato, ossia con le compagnie aeree che non sanno più come tirare avanti, e bilanci delle società di gestione che chiudono pressochè regolarmente con profitto.
Ora finalmente, e non certo per i nostri articoli, ma forse più realisticamente perché qualcuno si è reso conto che esiste una relazione ben precisa fra tariffe aeroportuali e risultati delle compagnie aeree, ci si è decisi a fare qualcosa. In poche parole, tornando al ragioner Ugo Fantozzi, qualcuno si è accorto che uscivano troppe pagnotte dalla lavatrice, e ha avuto l’illuminazione.
Da parte nostra eravamo pure arrivati a sottoporre la seguente analogia: quanto tempo potrebbe sopravvivere una compagnia ferroviaria che dovesse pagare fees e charges per ogni stazione ove i suoi convogli si fermano? E se oltre a ciò la compagnia dovesse pure pagare un cifra X per ogni chilometro percorso a un ente esterno per il “controllo del traffico ferroviario”, quanto potrebbe sopravvivere questa compagnia?
La domanda potrebbe pure riproporsi in altri termini: A che prezzo dovrebbe essere venduto il biglietto ferroviario in queste condizioni di operatività?
E ancora, se nello scenario ipotizzato fosse lanciata una deregulation, e più compagnie apparissero sulla scena, che fine farebbe la nostra compagnia ferroviaria?
La risposta era talmente ovvia e scontata che già da tempo si sarebbe dovuti intervenire.
E invece non solo non si è intervenuti, ma laddove sono stati adottati provvedimenti le cose non sono andate come avrebbero dovuto.
Annotano Renzo Costi e Marcello Messori in un volume a loro firma recentemente uscito: “quanto ai servizi di terra negli aeroporti, la liberalizzazione a seguito della direttiva 67/1996Ce non risulta ancora pienamente realizzata.” (1)
Sul Sole 24 Ore-Trasporti del 7 ottobre scorso si poteva leggere il seguente titolo assai esplicativo: “liberalizzazioni mancate, l’handling ritorna nel mirino della UE”.
Ebbene, è in questo scenario da noi riproposto tanto per rinverdir le memorie, che si è venuto a inserire il decreto legge n. 211/2005 approvato dal consiglio dei ministri lo scorso 5 ottobre, un decreto denominato alquanto genericamente “sui requisiti di sistema”.
Con questo intervento si è evidentemente inteso intervenire sulla cosiddetta “catena del valore” nel settore del trasporto aereo con l’intento di correggere la distribuzione dei valori dei margini di profitto tra i diversi partecipanti.
Alitalia ha iscritto a bilancio 2006 risparmi per 85 milioni di Euro; per Blue Panorama “potrebbe valere 2 milioni, la differenza tra chiudere un bilancio in pareggio o in attivo” (2)
Secondo gli aeroporti questa correzione potrebbe significare 150/200 milioni annui in meno.
La bagarre è iniziata quando gli aeroporti, per il tramite delle loro associazioni, si sono messi in moto contro il decreto, annunciando l’intenzione di rivolgersi alla Commissione Europea chiedendo se una tale mossa possa configurare l’aiuto di stato argomento, come è noto, tabù negli ambienti comunitari.
Sulla scia dei gestori aeroporti sono poi scesi in campo, come da copione consolidato, le autorità regionali, autorità locali e tutti i coloro i quali hanno partecipazioni nell’azionariato delle società aeroportuali. Anche l’Enac e l’Enav lamentano mancati introiti a seguito dell’entrata in vigore del decreto.
Sembra proprio che in mezzo a tanto trambusto gli unici che ne trarranno vantaggio siano solo ed esclusivamente le compagnie aeree, in primo luogo ovviamente il maggiore vettore italiano.
Questo particolare non è certo una colpa, ma tanto sommovimento ha iniziato a creare una qualche crepa sul fronte di coloro che inizialmente lo avevano osannato, tanto che qualcuno ha annotato: “il decreto sui cosiddetti requisiti di sistema, che taglia del 75% i diritti aeroportuali a favore dei vettori aerei, sembra non avere più padri” (3)
A parte il fatto che se un Governo vara un decreto si presuppone abbia condotto studi e analisi sulla sua validità, e quindi dovrebbe essere in grado di respingere le critiche che successivamente dovessero piovere su di esso, noi vorremmo piuttosto far notare che il particolare che si parli di necessità di correzione della distribuzione dei margini di profitto tra i diversi protagonisti del trasporto aereo commerciale, è un importantissimo traguardo, in quanto significa aver preso atto di come realmente stanno le cose. Non a caso prima di parlare dei requisiti del sistema e del relativo decreto istitutivo, abbiamo voluto ripercorrere in una breve carrellata le cronache di quanto fin qui accaduto. Criticare il decreto, come hanno fatto in parecchi, parlare solo di perdite e mancati introiti per i gestori aeroportuali, ritirare in ballo le solite improponibili comparazioni fra diversi aeroporti, senza ricordare l’evoluzione degli avvenimenti sull’argomento, può risultare alquanto fuorviante.
L’Ibar, l’associazione che raggruppa 78 compagnie aeree operanti in Italia, di fronte al comportamento di Assoaeroporti tendente a chiedere l’annullamento del provvedimento ha presentato istanza all’Autorità Garante delle Concorrenza e del Mercato denunciando il comportamento di Assoaeroporti come finalizzato alla conservazione dei livelli acquisiti e al ripristino dei corrispettivi illegittimi aboliti dal decreto, arrivando a configurare la violazione della normativa sulla concorrenza; con tale comportamento, secondo l’Ibar, si sostanzierebbe un accordo cosiddetto “orizzontale” per la fissazione dei prezzi praticati.
Di certo non tutto è stato fatto con logica; di strumenti per poter arrivare a riequilibrare le forze in campo, perché alla fin dei conti questo sarebbe il termine esatto da usare piuttosto che parlare di aiuti di stato, ve ne erano tanti da percorrere, in primo luogo la concreta applicazione della direttiva di liberalizzazione dei servizi di handling aeroportuale che varata dalla CE fin dal 1996 era stata recepita in Italia dal Decreto legge 18/99.
Ancora, vi era la possibilità di dare un giro di vite ai cosiddetti “contratti di programma” su cui si dibatte da circa un quinquennio.
È davvero paradossale che con tante leggi e regolamenti che già circolavano si sia dovuti ricorrere a un decreto aggiuntivo e, per usare un termine di moda, non concertato.
Ora che la lobby aeroportuale si è messa in moto bisognerà vedere se il decreto sarà in grado di reggere la relativa onda d’urto che seguirà, ma fin da ora crediamo sia errato da parte degli aeroporti spingere per l’abolizione del decreto sostenendo l’argomento delle perdite che esso genererebbe nelle casse aeroportuali. Ricordiamo che quando è stato abolito il cartello tariffario IATA e da quando ha trovato attuazione la concorrenza nei cieli, le perdite ci sono state anche sull’altro fronte, ma questo certo non era un motivo sufficiente per fermare la liberalizzazione.
È un dato di fatto che quando si cerca di intervenire in qualsivoglia settore ove la concorrenza è scarsa o nulla, colui il quale fino a quel momento ne ha usufruito, viene ad essere penalizzato nei suoi interessi.
Ma vi è anche un altro fronte, quello giuridico riguardante il ruolo del gestore aeroportuale, che è stato intaccato con il varo a sorpresa di questo provvedimento e vale senz’altro la pena analizzare questo aspetto, perché il nuovo decreto è giunto in un momento assai delicato, creando non poco scompiglio fra gli addetti della materia giuridica.
Il nuovo ruolo del gestore aeroportuale
Il 21 ottobre 2005 sono entrate in vigore le nuove disposizioni del codice della navigazione introdotte o modificate dal D.L. n. 96 del 9 maggio 2005.
Era la conclusione, assai travagliata, di procedere in Italia ad una riforma sostanziale dell’aviazione civile, tenuto conto che le norme contenute nel Codice della Navigazione emanate nel 1942 non rispecchiavano più i soggetti, i compiti, le mansioni dei vari attori del comparto aereo commerciale.
Una spinta particolare di accelerazione è stata fornita all’intero processo, dalle risultanze dell’inchiesta seguita all’incidente di Linate dell’ottobre 2001 ove è apparso evidente l’intrecciarsi di competenze e responsabilità dei vari operatori interessati.
Era ormai indifferibile determinare dove finiva l’area di giurisdizione dell’uno e dove iniziava quella dell’altro, altrimenti ogni possibilità correttiva per evitare il ripetersi di incidenti veniva di certo vanificata.
Ricordiamo sommariamente come nell’ambito aeroportuale si trovino ad operare tre attori principali:
1) il gestore aeroportuale;
2) l’ENAC, l’ente nazionale dell’aviazione civile;
3) l’ENAV, l’ente nazionale che assicura l’assistenza al volo;
nonché una miriade di altri operatori, non certo meno essenziali, come ad esempio Vigili del Fuoco e Polizia che dipendono dal Ministero dell’Interno.
Il nodo centrale comunque dell’intera vicenda è sempre stato sulla funzione, sui poteri e sulla responsabilità attribuibile alla figura del gestore aeroportuale. È quest’ultimo infatti che ha visto sempre più crescere il ruolo di coordinatore delle attività aeroportuali.
Annotiamo subito come ad ogni passo avanti fatto dal gestore, corrispondeva di fatto un arretramento dell’Enac. Già questo particolare da solo sarebbe sufficiente a far capire il perché dei ritardi e di tante titubanze nell’attuare riforme complete ed esaustive.
Stiamo infatti trattando di un settore ove prevale la caratteristica del pubblico servizio, e come tale le autorità governative cercano sempre, pur nelle deleghe concesse, di lasciarsi un margine di controllo.
Le normative di riforma introdotte avevano finalmente fornito la definizione dei gestore aeroportuale: “il soggetto a cui è affidato…il compito di amministrare e di gestire le infrastrutture aeroportuali e di coordinare e controllare le attività dei vari operatori privati presenti nell’aeroporto o nel sistema aeroportuale considerato” (art. 705 codice navigazione). Si è voluto sancire il principio secondo cui la gestione totale è in pratica una concessione di beni e di servizi.
Con le nuove norme varate il gestore aeroportuale viene ad assumere nuovi poteri di coordinamento e di controllo dei diversi attori presenti nello scalo, un ruolo decisamente più incisivo rispetto a quanto avvenuto nel passato.
Prima del varo di quello che è stato soprannominato il decreto “pro-Alitalia” le fonti normative cui si doveva far riferimento per individuare il ruolo del gestore aeroportuale possono essere così riassunte:
Direttiva Comunitaria 96/67/CE recepita in Italia dal D.L. 18/99 riguardante in particolare la liberalizzazione dei servizi di handling aeroportuali.
Decreto Legge 96/05 riguardante la riforma della parte aeronautica del Codice della Navigazione. Con tale decreto si è iniziato il processo di riorganizzazione dell’aviazione civile
Decreto Legge 237/04 convertito con modifiche dalla legge 165/04 concernente la figura del gestore aeroportuale.
E inoltre: Regolamenti & Circolari Enac, Convenzioni per l’affidamento delle gestioni totali, Ordinanze delle direzioni aeroportuali Enac.
È in questo complesso sistema normativo che si è venuto ad inserire il decreto approvato il 5 ottobre scorso, oggetto del contendere.
“Probabilmente, e come si è anticipato, tale intervento poteva essere evitato da un’azione più incisiva per la conclusione dei processi, iniziati con una legge risalente al 1993, di privatizzazione delle società di gestione aeroportuale al fine di indurre le stesse ad agire in base a principi di economicità ed efficienza, processo a tutt’oggi ostacolato dal mancato rilascio delle concessioni aeroportuali e dalla mancata sottoscrizione dei contratti di programma”. (4)
Come si può vedere, sono molteplici gli interessi in gioco. Da una parte quelli del maggiore vettore aereo italiano, ma poiché non si potevano fare favoritismi, dal decreto ne trarranno vantaggio tutti i vettori aerei che svolgono servizi da/per l’Italia. Da altra angolazione il decreto non sarebbe in sintonia con la riforma fin qui attuata riguardanti compiti e responsabilità del gestore aeroportuale.
In questo gioco che vede tagli nelle spese a carico dei vettori, contestati dai beneficiari ossia i gestori aeroportuali, chi alla fine potrebbe rimetterci è il passeggero che si troverebbe a dover ripianare, magari con chissà quale altra bizzarra tassa, le perdite degli uni e i tagli degli altri.
(1) Costi, Messori “Per lo sviluppo. Un capitalismo senza rendite e con capitale” Ed. Il Mulino.
(2) Il Sole 24 Ore-Trasporti 24-ottobre/4 novembre 2005
(3) “un coro di no al decreto” stesso di punto (2)
(4) Anna Masutti “non è in sintonia con la riforma e con i principi UE”, stesso punto (2)
Antonio Bordoni