Riceviamo il seguente quesito:
Nel lavoro aeroportuale accade spesso, se non quotidianamente, di “scavalcare” il normale orario di lavoro (“lavoro ordinario”) con conseguenti problemi circa la determinazione delle successive ore di riposo e la corretta imputazione delle maggiorazioni contrattuali per le ore lavorate in eccesso. È possibile avere una guideline  tenendo conto che nella nostra compagnia viene applicato il CCNL Fairo e che si fa uso del cartellino manuali? Esistono norme circa quante ore dopo la partenza del volo si debba lasciare il luogo di lavoro?
Crediamo che il primo quesito posto derivi dalla consuetudine, in realtà assai comune, di demandare al dipendente il compito di riempire manualmente le colonnine del foglio-presenza mensile.

Questo finisce per compilarle  a sua discrezione mettendo poi in difficoltà l’ufficio del personale il quale dovrà provvedere alla ri-classificazione e alla corretta imputazione delle varie maggiorazioni che contraddistinguono il contratto Fairo.

In realtà va tenuto presente che in tutti i reparti di qualsivoglia azienda, e l’ufficio scalo di una aerolinea non fa eccezione, l’impiegato tramite la timbratura del cartellino all’entrata e all’uscita, mette in condizioni l’ufficio personale di sapere a che ora è entrato, a che ora ha “staccato”,  e questo è in pratica tutto ciò di cui l’ufficio personale necessita per determinare le spettanze e le relative maggiorazioni cui hanno diritto i dipendenti.

Invece se il dipendente, di sua iniziativa o perché istruito in tal senso dalla direzione, provvede lui a fare il calcolo di quante delle ore lavorate debbano intendersi straordinarie al 140, quante al 155, quante  invece sono le notturne, eccetera,  allora è inevitabile che si finisca per creare una situazione di caos che porta a un doppio lavoro per l’ufficio personale il quale, oltre al calcolo delle spettanze, dovrà inevitabilmente provvedere a controllare se quanto dichiarato dal dipendente è corretto.

In realtà  – lo ribadiamo – non è il dipendente che è tenuto a provvedere a tali elaborazioni; quest’ultimo dovrà controllare se nella sua busta paga è stato incluso quanto spettante, ed eventualmente, solo in una fase successiva in caso di contestazione, fornire i suoi calcoli.

La suddetta procedura per poter esplicare la sua funzione necessita tuttavia di un’operazione preventiva senza la quale l’ufficio personale non può procedere alla corretta imputazione delle spettanze: il reparto in questione deve lavorare sulla base di un roster, ove ogni impiegato ha assegnati giorni di lavoro, giorni di riposo e turni giornalieri di orario di lavoro.

È noto ad esempio che se un dipendente in un certo mese viene messo di riposo il martedì e il mercoledì,  il primo dei due giorni viene assimilato ad un sabato e il secondo ad una domenica.

Ebbene, conoscendo tali dettagli l’ufficio personale, nel caso il dipendente sia chiamato a lavorare in uno dei due giorni in questione, saprà come comportarsi per le maggiorazioni: è inutile, dannoso e alla fine complica la vita a tutti, che il dipendente provveda lui ad indicare quante di quelle ore lavorate nel suo giorno di riposo vengano retribuite al 140 o al 155 per cento.
In conclusione, quindi, qualora l’azienda adotti il cartellino manuale, sarebbe opportuno restringere l’area riservata all’intervento dei dipendenti ai soli dati di entrata e di uscita, specificando invece che le altre aree rimangono di competenza dell’ufficio del personale.

In fondo il problema sottoposto deriva non tanto dalla apparente complessità dei calcoli, quanto piuttosto da una errata impostazione delle istruzioni fornite al dipendente stesso. Un ufficio del personale, sulla base delle norme di legge è sempre in grado di far corrispondere ad una certa prestazione lavorativa il corrispondente emolumento, le cose però si complicano quando viene lasciato al dipendente un compito che a ben vedere non è di sua competenza, e cioè l’indicare sul cartellino presenza l’assegnazione delle percentuali di maggiorazione derivanti dalle prestazioni svolte nelle diverse fasce orarie dei giorni lavorati.

Precisiamo che nell’adottare la  procedura da noi suggerita, il dipendente non viene in alcun modo danneggiato in quanto egli, una volta ricevuta la busta paga, può sempre controllare e contestare quanto a lui elargito.

Corollario a quanto fin qui esposto è il secondo quesito avanzato, circa l’immancabile dilemma su  quante ore “fisiologiche” sono necessarie allo staff e/o al caposcalo di una aerolinea, dopo la partenza del volo per evadere le pratiche di  routine.  Il dubbio è in buona sostanza come facciano, direzione ed ufficio personale, ad appurare se veramente c’era bisogno di rimanere in servizio così a lungo e “staccare”, ad esempio, alle due di notte.

Qui lasciamo il terreno delle regole e norme, per entrare nel campo minato del buon senso e della fiducia.
Innanzitutto se davvero il dubbio sussiste, nulla vieta che la direzione al posto del cartellino manuale decida di istituire il controllo elettronico; in tal modo almeno si può ottenere conferma circa il tempo effettivo di uscita.

È indubbio inoltre che ogni volo ha una storia “a sé”,  ma è anche indubbio che qualora accada qualcosa fuori del normale, la direzione ne è a conoscenza. Ebbene, al di fuori di eventuali casi eccezionali, se l’operation manual di cui ogni ufficio di scalo dovrebbe essere dotato, non prevede tempi obbligati di permanenza in servizio dopo il decollo, è compito del manager stabilire ad esempio che, in condizioni di normale operatività il caposcalo, o chi per lui, può lasciare il posto di lavoro “X” minuti dopo il decollo del volo.  E ciò sarebbe alquanto raccomandabile specialmente per quelle compagnie cha hanno uno schedule che prevede partenze nelle ore serali e notturne, quelle ore cioè in cui trovano applicazione le maggiorazioni contrattuali più sensibili.

La regolamentazione di tale secondo quesito è quindi un compito interno dell’azienda che ben può trovare spazio nella fase di contrattazione integrativa aziendale.

Antonio Bordoni