Ovunque nel mondo la firma di accordi “open skies” è solitamente accompagnata da lodi e sproloqui di giubilo, ma quanto accaduto in Israele dimostra che c’è ancora qualcuno che non si fa attrarre dagli usuali commenti sulle meraviglie della liberalizzazione e, tralasciando gli annunci di facciata, vede che dietro quello che si vuol far credere c’è in realtà ben altro.
Nel febbraio 2012 il ministro dei trasporti israeliano, Yisrael Katz, aveva avvertito la propria autorità per l’aviazione civile a non firmare l’accordo “open skies” con la Unione Europea fintanto che il governo non avesse attentamente valutato gli effetti che un tale accordo avrebbe prodotto
sulle tre compagnie aeree israeliane, El Al, Israir e Arkia. Per quanto tutti e tre i vettori operano su destinazioni internazionali, con la Israir che vorrebbe rifarsi al modello della statunitense Jetblue, le proteste più sonore sono venute dai dipendenti della El Al. Il 9 dicembre 2008 era stato già firmato un agreement cosiddetto “orizzontale” il quale pur non sostituendosi ai bilaterale che Israele aveva firmato con i 27 Stati UE, di fatto eliminava le restrizioni sulla nazionalità contenute nei bilaterali tradizionali e permetteva ad ogni aerolinea di operare voli tra Israele e gli stati UE. In pratica i vari bilaterali in essere fra Israele e i paesi UE vengono sostituiti da un unico agreement il quale, superfluo precisare, assicurerebbe più concorrenza, abbassamento di tariffe, e gli immancabili vantaggi per i consumatori i quali sarebbero i veri vincitori di questa firma.
In genere parlando di open skies si parla di liberalizzazione nelle regole che vigono (o vigevano) nell’ambito dell’industria aerea mondiale; coloro che si permettono di criticare una tale politica sono chiamati retrogradi.
Infine il 10 giugno del 2013 l’accordo è stato firmato e grazie ad esso sia pur progressivamente nel giro di cinque anni, tutte le restrizioni dei voli fra Tel Aviv e l’Europa verranno rimosse.
Perché parliamo di questo accordo che di certo non è il primo caso di open-sky agreement firmato ed entrato in vigore?
Ebbene confessiamo che quando abbiamo letto di scioperi ed agitazioni da parte dei dipendenti delle tre compagnie aeree israeliane abbiamo preso atto, con soddisfazione, che c’è qualcuno che invece di accettare supinamente le novità imposte dagli euroburocrati e affini, vuole prima discuterle ed in pratica avverte: attenzione che se firmiamo questo accordo finisce che ci roviniamo da soli. La notizia di agitazioni contro la firma dell’open skies non è qualcosa da passare sottotono; solitamente infatti i politici e le autorità ad essi collegate se vogliono fare un accordo di questo tipo contattano i vertici delle aerolinee nazionali e vanno avanti.
E’ accaduto ovunque e sempre che i dipendenti della aerolinee scioperassero contro un rinnovo di contratto, contro un annunciato merger, per la riduzione dell’orario di lavoro, ma non era mai accaduto di leggere che i dipendenti delle aerolinee di un certo paese scendessero in sciopero perché il loro governo voleva firmare un accordo open skies; complimenti a loro, lo ripetiamo, perché ciò vuol dire che essi sono bene a conoscenza dei meccanismi che si celano dietro questi accordi, il che non è da tutti.
Cosa in concreto significhi firmare un agreement del genere lo abbiamo già descritto in precedenti nostri interventi, vorremmo qui spiegare le conseguenze pratiche di esso soffermandoci specificatamente sul caso di Israele.
In base agli accordi “preistorici” a Tel Aviv potevano scendere le compagnie designate dai rispettivi governi europei con frequenza e capacità pari a quelle che le compagnie israeliane potevano avere nel volare a loro volta su questi Paesi. Una volta che l’open skies agreement è entrato a regime qualsiasi vettore europeo, in aggiunta ai servizi che egli può aprire dai suoi aeroporti su Tel Aviv, può avviare collegamenti da qualsivoglia stato UE verso Israele. Premettendo che compagnia e aeroporti sono meramente indicativi, facciamo ora un esempio esplicativo: Alitalia può volare su Tel Aviv da Roma e Milano, la El Al può volare da Tel Aviv su Roma e Milano; entra in vigore il nuovo accordo, qualsiasi –ripetiamo qualsiasi- vettore UE di altro Paese può aprire servizi dall’Italia su Tel Aviv. Lo stesso esempio lo si deve moltiplicare per tutte le nazioni UE.
Da questo “innovativo” accordo che cosa ci guadagnano l’El Al e gli altri vettori israeliani? Risposta: se lo ritengono opportuno potrebbero scendere su qualsiasi aeroporto comunitario, cosa che supponiamo non interessi tanto, ma in compenso tutti i vettori UE potrebbero “invadere” Tel Aviv con più voli, da più punti europei.
Per essere più chiari val la pena rammentare ciò che accade da noi fra Alitalia e Ryanair. Il vettore irlandese che dispone di una flotta di oltre 300 aerei ha invaso il nostro territorio con una fitta rete di collegamenti e frequenze mentre Alitalia da parte sua attualmente non ha collegamenti fra l’Irlanda e l’Italia. Appare evidente che -saltati gli accordi bilaterali su capacità e rotte- vince il più forte, o meglio scusate secondo gli ideatori della liberalizzazione dovrebbe essere il migliore.
A questo particolare ne va aggiunto un altro di non poco conto nella economia dei voli, e cioè che mentre El Al ha ferrei regolamenti sulla safety che comportano per lei costi lei aggiuntivi, gli altri vettori hanno politiche ben più “leggere” e ciò significa che il vettore israeliano parte svantaggiato in partenza per costi supplementari che gli altri non hanno, ergo i suoi concorrenti potranno fare tariffe più basse, e cosa ciò significa lo capiscono tutti.
In conclusione crediamo che coloro che hanno auspicato questo accordo soprattutto millantando l’usuale aspetto dei vantaggi che ne sarebbero conseguiti per i consumatori, avrebbero fatto bene a dare una lettura ai bilanci delle principali compagnie ex di bandiera europee e vedere come si sono ridotte grazie anche alle innovazioni UE. I dipendenti dei vettori israeliani almeno hanno dimostrato di avere una chiara conoscenza di tali innovazioni, hanno provato a protestare fintanto che, evidentemente, le solite ragion di stato hanno prevalso e di fronte ad esse -si sa- non c’è agitazione che tenga.