E’ possibile fissare regole che assicurino, laddove vi sia una reale necessità di mobilità aerea, un investimento il quale presenti i connotati di finalità sociali? O volendo rigirare la frittata, è possibile evitare di buttare al vento i soldi dei contribuenti per finanziare aeroporti cosiddetti fantasma, o aeroporti-bonsai?
Secondo quanto ci dice la UE nell’unione avvengono 15 milioni di movimenti aeroportuali annui, sono attive 150 aerolinee le quali si avvalgono di una rete di 440 aeroporti ma, avverte sempre l’Unione, la maggior parte degli scali sono a livello regionale con il 60 per cento di essi (quindi 260 su 440) che movimentano meno di un milione di passeggeri annui.
In un tale scenario sarà bene ricordare la metamorfosi subìta dagli aeroporti che da entità pubbliche sono divenuti strutture commerciali le quali arrivano a farsi concorrenza una con l’altra, ed inoltre l’apertura al traffico civile di ex scali militari che sarebbero stati definitivamente chiusi se nel frattempo non fossero nate le compagnie low cost.
Indubbiamente l’espansione di quest’ultime ha innescato l’avvio del problema che attualmente si dibatte circa gli aiuti concessi da enti pubblici locali a aeroporti regionali in quanto è fuori discussione che quando gli scali attivi erano solo quelli di dimensioni sostenute il problema non si era mai posto. Vent’anni orsono (1992) il 65% dei posti offerti sul mercato provenivano dai vettori cosiddetti di bandiera, ma per la prima volta nel 2011 le low cost carriers hanno superato le compagnie major: 42,4% contro il 42,2% con un trend che si è ulteriormente consolidato nel 2012/2013.
Malgrado gli indubbi risvolti positivi che gli aeroporti regionali hanno sull’indotto locale gli aiuti che possono venir concessi agli stessi hanno da sempre sollevato non pochi dubbi e problemi. I lettori ricordano certamente le continue polemiche che da anni si protraggono sull’argomento e sulle compagnie aeree low cost che sospendendo i servizi su uno scalo possono metterlo in crisi.
Il percorso degli scali minori
Innanzitutto va osservato come gli aiuti economici forniti a scali minori possono talvolta venir concessi a aeroporti i quali si trovano nella stessa catchment area, ossia si avvalgono dello stesso bacino di traffico, potendo potenzialmente creare un eccesso di capacità agli uni e lasciando magari problemi di congestione irrisolti sugli aeroporti primari. E’ davvero illuminante il particolare riportato da un recente studio della UE secondo il quale il 63 per cento dei cittadini UE risiede entro due ore di distanza automobilistica da almeno due aeroporti.
Altro problema da ricordare è quello che la maggior parte degli scali regionali non riesce a generare sufficiente revenue nemmeno per coprire i propri costi e questo particolare è evidentemente ancor più pressante quando nello stesso bacino di utenza sono attivi due scali. Ancora, i sussidi agli aeroporti, quando concessi, vengono usati per coprire le perdite nonché per attrarre le aerolinee cosiddette “price-sensitive”.
A quest’ultime viene concesso un mixture di sconti sulle fees e di sussidi marketing che non possono non avere effetti distorsivi sulle aerolinee concorrenti e sulla concorrenza in generale.
E’ alla luce di tutti questi elementi che a Bruxelles si cerca di varare regole stabili e trasparenti sui sussidi aeroportuali partendo però dal presupposto che “la diffusione degli aiuti a aerolinee e aeroporti non è la risposta appropriata anche nel caso in cui le regioni avessero adeguate risorse.
Al contrario debbono essere costruite regole su misura in modo tale che le risorse pubbliche vengano utilizzate in modo efficiente e tale da non creare effetti distorsivi” (Competition Policy Brief, ISSN: 2315-3113).
Le nuove normative
Ora va ricordato come questo del tutto condivisibile principio teorico si scontri con gli interessi degli attori in gioco. Davvero si può credere che dall’oggi al domani si decida di non dare più la possibilità a decine e decine di aeroporti di sopravvivere? E’ da ingenui non prevedere una forte opposizione da parte di regioni, enti locali e associazioni aeroportuali sull’argomento.
Da quello che finora si è potuto apprendere la nuova normativa farà uso di una machiavellica formula atta “oggi” a non scontentare alcuno, domani poi si vedrà. Verrà fissato un numero minimo di passeggeri annui (si parla di 700.000, in quanto i 300.000 prefissati in origine hanno incontrato la forte ostilità della lobby francese) ;
si fisserà una distanza minima di 100 km fra uno scalo e l’altro e fattori del genere, ma il tutto prenderà il via dopo un periodo transitorio di X anni. Ecco spiegato il motivo del nostro “oggi” virgolettato, ecco spiegato il termine “machiavellico”.
Più in dettaglio dal testo della nuova guideline: “to give small airports enough time to adjust to new market developments, the new rules allow granting of operating aid to small unprofitable airports during a 10-year transitional period, after which the airport must be able to cover its own costs”.
E gli aeroporti fantasma
Per meglio far capire gli interessi in gioco vorremmo ricordare che appena lo scorso novembre a Bruxelles è stato approvato un sussidio francese di 150 milioni di Euro per rilocalizzare l’aeroporto di Nantes-Atlantique a Notre Dame des Landes quando quest’ultimo si trova a 35 kilometri dallo scalo di Saint Nazaire e a 70 km da Lepontreau Airport.
Comunque se davvero Bruxelles volesse essere certa che i contribuenti europei non sprechino i loro soldi nel sussidiare aeroporti fantasma, un’altra soluzione da considerare sarebbe quella di non legiferare su tetti, limiti e paletti e attendere semplicemente che gli scali inutili falliscano e chiudano da soli per autospegnimento.