Alitalia-Malpensa. Forzatamente, con eccessiva enfasi e servendosi di un martellamento mediatico i due problemi sono stati accomunati; non si parlava dell’uno se contemporaneamente non veniva dibattuto anche l’altro; non vi era quotidiano, notiziario radiotelevisivo che nel comunicare le novità in casa Alitalia non annunciasse allo stesso tempo reazioni e commenti di Malpensa: un errore madornale e imperdonabile, causato più che dalla realtà dei fatti, da quello che potremmo invece definire “un contagio”.
Il caso rappresenta un eccellente esempio di come si possa gonfiare un argomento della cui consistenza e validità è assai lecito dubitare. Nessuno nega che il ritiro o il ridimensionamento di un vettore aereo da uno scalo possa costituire un serio problema per l’aeroporto interessato, ma il fatto che qualcuno da una scelta aziendale “ci rimetta” non vuol dire affatto che quella scelta è sbagliata, così come non legittima affatto la reazione di chi minaccia levate di scudi, scioperi e agitazioni.
Tutti sappiamo dopo quante traversie, rinvii e indecisionismi si è infine giunti alla decisione di mettere in vendita Alitalia. Della necessità di privatizzare il nostro vettore se ne parlava fin dagli anni ottanta, in pratica un quarto di secolo orsono. Quando finalmente ci si è decisi al grande passo, in maniera, lo ripetiamo, forzata e forzosa, si sono voluti sovrapporre i problemi di uno scalo alla legittima scelta decisionale dell’azienda di puntare verso un determinato partner e, non poteva essere altrimenti, di ridisegnare la geografia delle rotte.
Un tormentone nazionale
I problemi di un aeroporto, di Malpensa come di qualsiasi altro, non possono e non devono interferire con le decisioni operative di un vettore. Ci scusiamo per la crudezza dei termini usati, ma crediamo davvero che se non si dicono le cose come stanno, non si esce più da questo tormentone nazionale.
Il Paese Italia e la sua principale aerolinea, tenuto conto della scarsità delle destinazioni intercontinentali oggi offerte, non possono lavorare su due hub: uno basta e avanza.
Differente è la situazione in Germania dove Monaco è la risposta alla saturazione di Francoforte che nel 2007 ha registrato 54.167.817 passeggeri in transito; Fiumicino e Malpensa insieme hanno movimentato lo scorso anno 56.829.000; Alitalia serve meno di venti destinazioni a lungo raggio, la Lufthansa un centinaio: se i numeri hanno un significato, bisogna essere coerenti con le affermazioni che si fanno.
Certo si può discutere del perché Roma invece di Milano, del perché Fiumicino e non Malpensa, ma questo lo deve decidere Alitalia, non uno dei due aeroporti che si contendono i voli dell’aerolinea. Jean-Cyril Spinetta al sorgere delle prime levate di scudi l’ha detto senza mezzi termini: “sono gli aeroporti a servire le esigenze delle aerolinee, qui sembra si voglia il contrario”.
Bisogna dare a ciascuno dei partecipanti il ruolo istituzionale che loro compete. Non possono essere gli aeroporti che decidono dove una aerolinea deve porre la sua base. E’ possibilissimo che l’aerolinea nella sua autonoma scelta commetta un errore, potrebbe senz’altro accadere, ma il dovere dell’aeroporto “scartato” è quello di far presente i punti forti del suo prodotto, eventualmente insistere, ma non certo di costruirci un teorema di portata nazionale.
Un’ impresa non può pretendere che un cliente scelga i suoi prodotti anziché quelli della concorrenza…
Lo abbiamo detto e ripetuto in più occasioni: gli aeroporti oggigiorno sono imprese industriali a tutti gli effetti. Ebbene quando mai una impresa “pretende” che i clienti scelgano il suo prodotto, anziché quello di un concorrente? Eppure leggetevi i titoli dei giornali, riandate alle innumerevoli dichiarazioni esternate dai fautori del nord: la vicenda su Malpensa è stata presentata proprio in questi termini. Un produttore di servizi (Malpensa) esige, reclama a gran voce che un cliente (l’aerolinea) lo scelga. Ebbene, richiamati i rispettivi ruoli di scali e aerolinee, crediamo balzi in evidenza quanto tutto ciò sia illogico e surreale, senza dimenticare fra l’altro che la critica situazione di cassa di Alitalia richiedeva tempi decisionali celeri e ogni ritardo riproponeva il rischio del fallimento.
Alla decisione dei vertici Alitalia avrebbe dovuto corrispondere una presa d’atto e la ricerca di vie alternative. Dopotutto agli aeroporti di Zurigo, Ginevra e Bruxelles è accaduto molto di peggio che non il ridimensionamento di voli del vettore di bandiera.
Antonio Bordoni