Se l’intera vicenda della privatizzazione di Alitalia non si può certo definire edificante, il capitolo in essa riservato a Air One lo è decisamente ancor meno. Nel mondo dell’aviazione commerciale quando due compagnie aeree si uniscono, normalmente è prassi consolidata che ciò che ne scaturisce è un qualcosa che, sommato, dà un risultato migliorativo rispetto a quanto i due vettori singolarmente potevano esprimere. Air One, il secondo vettore italiano in termini di passeggeri trasportati, aveva in più occasioni esternato la sua volontà di impegnarsi in vista della gara per Alitalia. In tal senso doveva essere visto ad esempio l’acquisto degli Airbus 330 con cui rilanciare le rotte intercontinentali. Il 14 aprile 2007 durante una conferenza stampa per la presentazione dei risultati 2006, Carlo Toto avvertiva: il 2006 è stato un anno di ulteriore sviluppo per Air One. Le scelte strategiche intraprese fra cui l’espansione del network a livello internazionale, e il rinnovo della flotta con aerei di proprietà e di ultima generazione, rafforzano il trend di crescita della compagnia e delle sua efficienza operativa”. E la stampa tutta in quei giorni era concorde nell’affermare che Air One stava affilando le sue armi in vista della vendita di Alitalia.
La compagnia faceva di tutto per presentarsi come un vettore in crescita, capace di far fronte alle sfide che si prospettavano sul mercato italiano.
A dicembre del 2007, per l’esattezza il giorno 20, sui principali quotidiani italiani apparve una pubblicità a colori, a pagina intera, di questo tenore:
Quando l’Italia si impegna può volare alto.
Per il futuro di Alitalia offriamo qualità, innovazione e competenze con un progetto imprenditoriale italiano centrato sugli interessi del Paese. Alitalia e Air One insieme diventeranno la quarta compagnia europea e saranno aperte anche ad una grande alleanza internazionale.
Seguivano le seguenti cifre:
5,3 miliardi di euro sono gli investimenti che il nostro progetto destina al risanamento e al rilancio della compagnia di bandiera per i servizi sia di volo sia di terra. Per creare valore per l’azienda, ai suoi passeggeri,i suoi azionisti. E per tutte le persone che ci lavorano.
130 nuovi aerei, sono i nuovi aeromobili che entreranno in Alitalia entro i prossimi cinque anni. Per realizzare la flotta più giovane d’Europa che avrà 224 aerei.
32 rotte intercontinentali sono i collegamenti diretti dall’Italia verso il mondo per rispondere alle reali esigenze dei cittadini e delle aziende italiane. Per le rotte intercontinentali si partirà da Roma e da Milano.
L’Italia non può rinunciare a giocare da grande protagonista nel panorama internazionale. Il nostro è un Paese che merita di volare alto.
Era il mese in cui, nell’ambito della privatizzazione avviata dal Governo Prodi, la compagnia di Carlo Toto si trovava a confrontarsi con Air France.
Quando poi venne annunciato che la scelta era caduta sul vettore francese, Air One era addirittura ricorsa al Tar per tentare di venir riammessa in gioco.
Tutto insomma mostrava una compagnia pronta ad unire le sue forze con Alitalia per farne uscire un grande vettore, di cui venivano anticipate anche le dimensioni: l’annuncio come abbiamo visto parlava di “quarta compagnia d’Europa.”
Tenuto conto di queste premesse, quanto è accaduto dopo è davvero incredibile.
Il deal con Air France, come tutti sappiamo, è saltato, e a questo punto il passaggio più ovvio e obbligato che ci si sarebbe aspettati è che, tramite contatti diretti a livelli di vettori, si fosse deciso per il merger che Air One aveva dichiarato di essere pronta a fare. Il che avrebbe risolto molti dubbi e avrebbe forse evitato i non pochi problemi che hanno fatto séguito alla vendita. L’unione fra due compagnie aeree è da sempre il passaggio più naturale per far uscire un vettore da una crisi, specialmente se nel Paese si dispone di una seconda aerolinea che si dichiara pronta al grande passo.
In Brasile, a marzo del 2007, l’ultima arrivata, la GOL, fra l’altro una low cost, aveva acquistato e rilanciato il vettore nazionale di bandiera Varig la cui fondazione risaliva nientedimeno che all’anno 1927, per la cifra di 320 milioni di dollari. La Varig era nel Paese una istituzione nazionale alla pari di quanto Alitalia poteva esserlo per noi.
Era davvero un passaggio impossibile l’assorbimento di Alitalia da parte di Air One? Per chi segue da vicino l’ormai pazzo mondo delle compagnie aeree, non ci sarebbe stato assolutamente nulla di cui meravigliarsi. Sarebbe stato un passaggio del tutto ovvio e naturale. Ma ciò non è avvenuto.
Le cronache ci dicono che, ritornato Spinetta a Parigi con le mani vuote, nell’ambito del successivo tentativo di rilancio della vendita di Alitalia, quello in cui è intervenuta la cosiddetta cordata italiana, Air One è apparsa semplicemente come “uno” dei 16 partecipanti. Quindi, non solo niente merger diretto fra compagnie ma, incredibile a dirsi, ora che il vettore di Toto era l’unica compagnia aerea rimasta, e avrebbe potuto eventualmente porsi a capo della cordata italiana, la sua posizione, il suo ruolo, rimaneva inspiegabilmente in sordina.
Inoltre, il fatto che nelle settimane delle aspre trattative si sentisse sempre e soltanto parlare delle nove sigle sindacali presenti in Alitalia, delle loro richieste e controproposte, contribuiva a dare l’impressione che per gli oltre tremila dipendenti di Air One, sia del settore aviation, sia dei servizi a terra, non fosse mai messo in discussione il loro posto di lavoro.
E giungiamo così a fine ottobre, quando sulla stampa nazionale iniziano a trapelare, in sottotono, notizie del tipo: “Alla trattativa per l’acquisizione di Air One che dovrebbe confluire nella nuova Alitalia, mancano ancora le garanzie sui 55 aerei che verranno acquistati da CAI. Ma intanto è sorto un altro problema: anche per i lavoratori Air One è prevista la cassa integrazione e la mobilità” (Il corriere della sera, 27 ottobre 2008)
Ma simili notizie venivano pubblicate nell’ambito della trattativa Alitalia, come se fossero ammennicoli di scarsa importanza, tanto da non meritare spazio nei titoli, che pure sono la parte che più attrae l’opinione pubblica. In poche parole, l’importante sembrava essere solo l’aspetto degli esuberi Alitalia; quelli eventuali di Air One assumevano il ruolo, per dirla alla 007, di pedine sacrificabili.
Le notizie su Air One scaturivano dalle azioni intraprese dalla rappresentanza sindacale Fit-Cisl del gruppo Airone, la quale aveva emesso un comunicato annunciando che non si consentiva “che nella ricerca di interessi spuri, alcune organizzazioni sindacali ed associazioni professionali di chiaro stampo Alitalia, consentano che cali sul personale di terra, assistenti di volo e piloti del gruppo AirOne la scure dei tagli occupazionali e della mortificazione professionale”. E, aggiungeva il comunicato Fit-Cisl: “Finalmente la CAI scopre le carte sulla situazione AirOne. Nel progetto mai del tutto chiarito si paventa la cassa integrazione per una società che attualmente vive una situazione completamente differente da Alitalia”.
Val la pena anche ricordare come nel caso fosse stato scelto il piano Air France, Air One avrebbe proceduto per la sua strada, avvalendosi dell’accordo commerciale con Lufthansa, ma non si sarebbe minimamente sfiorato il problema occupazionale. Allora la domanda che inevitabilmente ci si pone è la seguente: per quale motivo un vettore deve farsi avanti, senza essere obbligato a farlo, se con questa azione mette a repentaglio il posto di lavoro dei suoi dipendenti? Questa è la domanda che avremmo voluto leggere sui giornali, magari al posto delle notizie sul tormentone nazionale circa le sorti di Malpensa.
Così, oltre al fattore “spese per il contribuente italiano”, che come è noto era uno dei motivi per cui si sarebbe dovuto preferire l’accordo con Air France, ora si apriva il problema della sorte dei dipendenti Air One dei quali nessuno aveva mai parlato.
Ed anche il fronte flotta, non era esente da sorprese.
Al 31 marzo 2008, nel suo annuale survey, l’Air Transport World (ATW) così fotografava la situazione delle flotte di Alitalia e Air One:
AIR ONE: ALITALIA:
B737 : 30 B767 : 13
A320 : 14 B 777: 10
A330 : 1 A319 : 12
Avro RJ: 1 A320 : 11
CRJ900: 10 A321 : 23
Totale: 56 MD11F: 5
MD80 : 73
Totale: 147
L’Air One aveva inoltre in ordinazione 46 A320
Quando a novembre viene reso noto il documento presentato dal nuovo vettore all’Enac per l’ottenimento del Certificato di Operatore (COA), si scopre che la flotta della nuova compagnia sarà composta da sei tipi di aeromobile: 23 DC9, 23 A321, 11 A320, 12 A319, 6 B767, 10 B777“. per un totale di 85 aerei. La cifra è inferiore al totale delle due flotte messe insieme. Poiché comunque l’Alitalia aveva in linea oltre settanta MD80 ben si comprendeva come si volesse fare a meno di questo aereo, ormai antieconomico.
Ma ciò che non quadrava era il particolare che, in questa fase per l’ottenimento del COA, non vi era ancora traccia degli A330 e dei Boeing 737, mentre rimanevano in volo una ventina di MD80; inoltre a questo punto si proponeva la domanda sulla sorte della sussidiaria AirOne Cityliner e dei suoi 10 Bombardier CRJ900.
Mettendo assieme questi tasselli si giunge alla conclusione che, malgrado il tempo trascorso, malgrado Air One in quanto vettore aereo avrebbe dovuto fungere da “capofila” della cordata acquirenti, malgrado Air One avrebbe dovuto fare sinergia con Alitalia, il mese di novembre si chiudeva con le flotte ancora separate e quindi con giochi che erano lungi dal potersi definire conclusi.
Quando saranno messi assieme gli 85 velivoli Alitalia e i cinquanta di Air One vedremo cosa ne scaturirà, ma ci sembra comunque azzardato parlare di “quarta compagnia in Europa”.
In questo clima di pesanti incertezze, martedì 12 novembre finalmente qualcosa si muove all’interno di Air One.
In una lettera indirizzata al “Carissimo Presidente e Collega”, i lavoratori dell’Air One chiedono lumi e tengono a precisare come “E’ vero che lo scenario del trasporto aereo in Italia e nel mondo sta cambiando rapidamente, ma non certo per volontà di tanti anzi, come sempre accade, i cambiamenti avvengono per volontà di pochi influenzando la volontà di ‘tanti’. In questo caso e’ ovvio che noi ci sentiamo parte dei tanti e Lei e’ parte dei pochi. Ma la realtà Air One non è questa! Noi – ricordano i lavoratori dell’Air One – ci siamo sempre sentiti parte dei pochi, proprio come dei piccoli dirigenti, non impiegati, appassionati del nostro posto di lavoro, tifosi e difensori della nostra azienda, animati da uno spirito di corpo che e’ la nostra ‘ricetta vincente’. Ma se questa e’ la ricetta vincente – chiedono – perchè ne stiamo uscendo sconfitti? Considerato che, per un’azienda privata che si colloca in un mercato libero e concorrenziale, la decisione di fondersi con la ex Alitalia in CAI e’ da interpretarsi, a malincuore, come una sconfitta, fa ancora più male la consapevolezza della precarietà del progetto Cai e l’amarezza di aver ingenuamente creduto di far parte di un’azienda sana e solida con notevoli prospettive di investimento e di crescita”. Nell’auspicare di “essere smentiti” e che “le trattative in corso con Cai prevedano garanzie di impiego e di trattamento economico”, i dipendenti dell’aviolinea privata chiedono chiarezza”.
Se l’intera vicenda della privatizzazione di Alitalia non si può certo definire edificante, il capitolo in essa riservato a Air One lo è decisamente ancor meno. E tenendo conto degli ultimi sviluppi, ben si comprendono le parole che l’onorevole Pier Luigi Bersani ha rivolto al Ministro Giulio Tremonti il 10 settembre scorso nell’ambito dell’audizione sulla privatizzazione di Alitalia: “Noi non stiamo facendo una nuova Alitalia, stiamo facendo una nuova Air One!”
Ora mettiamoci nei panni di Air France la quale nella primavera del 2008 avrebbe dovuto acquisire
Alitalia :
* sborsando una consistente cifra solo per coprire i debiti;
* trovandosi a trattare nella fossa dei leoni, con ben nove sigle sindacali;
* trovandosi una Air One (alleata di Lufthansa) come concorrente,
la quale Air France invece ora, ovvero fra qualche mese o anno:
* troverà una Air One già confluita in Alitalia;
* per l’acquisizione, oltre la quota di azionariato, non dovrà effettuare ulteriori esborsi per coprire le perdite, in quanto a queste ci pensano i contribuenti italiani;
* e troverà inoltre la nuova compagnia con un contratto di lavoro già definito e ridimensionato.
A quel punto Spinetta non potrà esimersi dal ringraziare tutti noi, dal Presidente del Consiglio all’ultimo dei cittadini italiani, per essersi dati tanto da fare nell’aver costruito con dovizia di particolari un prodotto a lei destinato.
Antonio Bordoni
(l’articolo è stato chiuso alla data del 21 novembre 2008)