In una poesia che Karol Wojtyla scrisse in gioventù, quando ancora non aveva varcato la soglia del pontificato, si può trovare questa affermazione: “credo che l’uomo soffra soprattutto per mancanza di visione”. A ben osservare la frustrazione, la rassegnazione, l’accadere di episodi una volta inconcepibili che accompagnano lo scandire quotidiano del nostro tempo, le parole del futuro pontefice Wojtyla, sono oggi attualissime e da sottoscrivere in pieno.

Viviamo in tempi nei quali termini come fiducia, speranza, futuro, albergano sempre meno nella mente dell’uomo, e quando fugacemente vi transitano i loro connotati sono in termini negativi e pessimistici.  Il loro significato positivo si è perso, essi rappresentano una chimera irraggiungibile e come tale non presa più in considerazione.

Il Paese intero, la sua gente occupa il tempo a dibattere, disputare, polemizzare su tutto e di tutti. Di qualsiasi argomento si tratti, il Paese si divide fra guelfi e ghibellini, guidato in queste dispute non da una visione complessiva del problema e dagli obiettivi che si potrebbero raggiungere, ma semplicemente dalla simpatia per questo o quel personaggio, o peggio ancora, a seconda della presa di posizione sull’argomento di esponenti del partito per cui si vota. 

I lettori sanno che gli argomenti che trattiamo riguardano aerei e aeroporti, tariffe e tasse sui biglietti, ebbene anche su questi temi, che pure coprono aspetti tecnici e non certo etici o di morale, è arrivato il contagio della polemica.

Il terzo aeroporto di Roma lo facciamo a Frosinone o Viterbo? L’Alitalia deve porre la sua base di armamento a Malpensa o Fiumicino? A chi vendere il vettore di bandiera, a Air France o lasciarlo italiano?

Sono tutte domande legittime, ma il fatto è che se andate a rileggere i commenti di cui i mass media ci hanno inondato, non vi troverete analisi tecniche fatte da esperti del settore i quali disponevano di una visione ben precisa sullo stato dell’industria e magari potevano fornire le più consone soluzioni, bensì troverete ampi spazi di commenti populisti fatti da chi di aviazione ne sapeva poco o nulla. E il motivo era, e rimane, solo uno: ci si dimentica che ancor prima di essere milanesi o romani, di Viterbo o di Frosinone, si è italiani; in poche parole si pensa solo ai vantaggi e svantaggi del proprio orto.

Quando Ciampino era il terzo aeroporto d’Europa, dopo Londra e Parigi, gli italiani erano fieri della posizione che un aeroporto nazionale vantava nel contesto internazionale e non vi era la minima traccia di polemica sul fatto che il principale scalo italiano fosse nel Lazio anziché in Lombardia.

Quando l’Italia è uscita dal secondo conflitto mondiale le condizioni di vita degli italiani erano decisamente precarie, molto più di quanto lo siano oggi, ma allora i nostri genitori erano animati da qualcosa di cui noi oggi abbiamo perduto cognizione: la sensazione, la speranza che i sacrifici e gli sforzi avrebbero permesso di costruire un futuro migliore per loro stessi e per noi, loro figli. Avevano cioè all’orizzonte la visione di una Italia migliore,  grazie alla quale precarietà e fatiche venivano vissute positivamente e non passivamente.

Chi non ha vissuto quel tempo forse potrà non capire quanto stiamo affermando, come il nostro Paese sia cambiato e cosa effettivamente l’Italia ha perso. Noi, da parte nostra, siamo convinti che la perdita di valori, lo scivolamento dell’Italia dalle graduatorie mondiali, non certo solo aeronautiche, è riconducibile ad un unico fattore: l’aver sottratto alle persone l’orizzonte di un domani migliore, l’aver tolto la speranza che le rinunce di oggi servano a far star meglio i nostri figli e nipoti. La vita in pratica si è ridotta ad un disperato conteggio per far quadrare i conti del giorno.

E non è certo un caso se in questo clima di rassegnazione e sfascio, la speranza di vincere un concorso è diventata l’attività preferita degli italiani; dopotutto è la conferma della validità della nostra teoria che all’uomo non dovrebbe venir tolta la speranza di un futuro migliore.

Però volendo fare un ultimo paragone, anche negli anni del dopoguerra gli italiani avevano il miraggio del tredici al totocalcio, ma questo miraggio era un qualcosa in più che si andava ad aggiungere alla sensazione che si stava costruendo qualcosa di positivo, oggi invece la speranza di una vincita ai concorsi è vista come l’unica possibilità per rivedere un orizzonte positivo.  La differenza èsostanziale e non fa affatto ben sperare.

Antonio Bordoni