Antonio Bordoni.jpg piccolaLo abbiamo detto e lo ribadiamo: Ryanair o la si ama o la si odia. Non ci sono vie di mezzo, e le posizioni emergono chiaramente all’indomani di ogni nuovo caso che, come ben si sa, con la compagnia di O’Leary non si fanno mai troppo attendere. I fautori della aerolinea semplicemente avallano ogni scelta e ogni decisione; così ad esempio quando ultimamente è scoppiata la “guerra dei documenti” per i fans, dietro ad essa, c’era sicuramente lo zampino di Alitalia che voleva dar fastidio allo scomodo concorrente. I contrari invece lanciavano proclami del tipo: ma possibile che questa compagnia vuole operare in Italia ignorando i regolamenti vigenti? Insomma, ogni caso è buono per ribadire le proprie tesi e riaccendere le polemiche. Il fronte che invece crediamo non presenti divisioni di sorta, è quello aeroportuale. Un famoso film con Marlon Brando degli anni cinquanta titolava “Fronte del porto”, ma nel caso di Ryanair e delle low cost possiamo ben dire che siamo in presenza del fronte dell’aeroporto.

E’ un dato di fatto che il vettore irlandese ha permesso in Europa il rilancio di aeroporti che mai e poi mai avrebbero visto aerei scendere sulle loro piste e, al contrario di molti altri vettori low cost che progressivamente si sono convertiti al ritorno sugli aeroporti più blasonati, Ryanair è rimasta sempre convinta della sua scelta.

Ma questa riscoperta degli aeroporti dimenticati ha il suo risvolto della medaglia.

Può un aeroporto contare sui collegamenti di un solo vettore? Alla fine quanto è conveniente mantenere attivo uno scalo per un unico vettore, il quale fra l’altro trasporta turisti il cui obiettivo primario è quello di risparmiare su tutto? E la presenza di un vettore che adotta tariffa ultrascontate non è forse un deterrente all’entrata di nuove aerolinee?

Gli aeroporti, sarà il caso di ricordarlo, fanno soldi non solo grazie alle entrate aeronautiche  provenienti dai vettori  (landing fees, handling etc), ma anche dai singoli passeggeri per via delle varie tasse corollarie alla tariffa aerea. In tale ottica ben si comprende il contratto che si va a stipulare fra un vettore low cost e il gestore aeroportuale nel quale accordo, a fronte di un certo numero di passeggeri trasportati, il gestore assicura una tariffazione di favore al vettore aereo.

Ora, quando un aeroporto decide di far affari con compagnie low cost, si deve pur attendere che troverà ben pochi altri attori desiderosi di aprire rotte sulle quali già opera un vettore a tariffe ultrascontate.

In tempi non troppo remoti se sullo scalo “A” una compagnia operava un collegamento per la destinazione “B” ciò non impediva ad un seconda o terza aerolinea di immettersi su quella rotta per competere col primo vettore.

Ma se sullo scalo “A” opera un vettore avente come obiettivo primario quello di offrire la tariffa più bassa sul mercato, quale altra compagnia potrà, e vorrà, mai cimentarsi nell’aggiungere i suoi voli?

E questa considerazione ci porta a valutare anche l’altra faccia della medaglia: per quale motivo aeroporti che sono serviti da vettori tradizionali dovrebbero offrire a Ryanair condizioni tali che potrebbero mettere fuori mercato i suoi rivali?

Insomma se l’aerolinea nell’aprire una rotta deve ben studiare il relativo business-plan, l’attuale scenario dell’industria aerea si è venuto formando in maniera tale che anche il gestore aeroportuale deve valutare quali “clienti” scegliere: è l’ovvia conclusione cui si  giunge con il nuovo modello di impresa aeroportuale che contraddistingue la odierna gestione degli scali.

Appare infatti evidente che in uno scenario che vedeva l’aeroporto quale bene “statico” e non dinamico, mai e poi mai per le low cost si sarebbero potute aprire tante opportunità.

Noi però non siamo affatto sorpresi di essere sommersi di notizie che ci informano che uno scalo è in forse perché una certa compagnia lo ha abbandonato, o che un altro è a rischio chiusura perché alcuni collegamenti sono stati tagliati, e così via dicendo. Tutto ciò, fra l’altro, in un momento storico in cui le compagnie tradizionali sono in ritirata e finiscono inevitabilmente per entrare nell’orbita di una delle tre alleanze che monopolizzano il traffico aereo mondiale.

Sarà il caso, infatti, che qualcuno si inizi a chiedere come possa conciliarsi una crisi che attanaglia i vettori, i cui aerei dovrebbero assicurare i collegamenti, con la contemporanea proliferazione del numero di scali aperti al traffico. Questi ultimi possono senz’altro continuare ad aumentare di numero e a sognare nuovi voli e sempre più passeggeri, tuttavia devono tenere ben presente che le compagnie tradizionali stanno confluendo tutte nelle alleanze e ciò significa, nella migliore delle ipotesi, ridimensionamento dei voli (le compagnie preferiscono chiamare l’operazione “ottimizzazione” delle frequenze), mentre le maggiori low cost continuano per il momento a volare alto, ma sono loro che dettano le condizioni agli aeroporti e non viceversa.

 

E’ questo il panorama che dovrebbe valutare chi continua a togliere le ragnatele dagli aeroporti sparsi sul territorio, per dotare con orgoglio la città di un proprio scalo.

La gente comune, quella che si alza all’alba per portare la pagnotta a casa, siamo sicuri preferirebbe che questi soldi fossero invece investiti per assicurare un confortevole tragitto ferroviario ai  pendolari che quotidianamente, per tutto l’anno, devono muoversi. E non ci vengano a raccontare che l’uno non esclude l’altro, perché rimane il fatto che mentre gli scali hanno continuato ad aumentare, di decenti collegamenti ferroviari per pendolari ancora non vi è traccia.

Antonio Bordoni