Dall’ottica dell’utente, che dovrebbe  a rigor di logica rappresentare la parte più importante della filiera, uno scalo è “grande” e “utile” allorchè da esso si dipartono collegamenti diretti verso le destinazioni che all’utente stesso necessitano.

Immaginiamo l’uomo d’affari britannico che periodicamente si deve recare in Sud Africa,  Cina, Australia, Sud America….eccetera, il quale per poter fare questi spostamenti  dovesse andare in un’altra capitale europea in quanto da Londra mancano collegamenti diretti per Johannesburg, Shangai, Darwin o Lima: tutto ciò rappresenterebbe uno scenario assolutamente inconcepibile, difficile solo a immaginarsi.

Ma l’eventuale verificarsi di una ipotesi così palesemente assurda non la si potrebbe imputare all’aeroporto di Londra e a chi lo gestisce, bensì in prima battuta alle compagnie aeree nazionali, nonchè ai vettori stranieri dei rispettivi Paesi interessati.

Uno scalo esplica la sua ragione di esistenza nel servire le necessità della popolazione che risiede nell’ambito di quel territorio che viene individuato come la cacthment area di competenza e ciò vale in via primaria per il traffico passeggeri e in via secondaria per quello merci.

Mettiamo il cargo in una posizione subordinata in quanto non è affatto infrequente il caso di merce che viene portata via superficie su un altro aeroporto, alternativa questa poco proponibile nel caso del trasporto passeggeri.

L’aeroporto quindi svolge questa sua funzione di pubblica utilità la quale però non può prescindere dal presupposto di una richiesta di collegamenti che provenga da una nutrita, consistente utenza che risieda nella sua area di competenza e alla conseguente soddisfazione data all richiesta da parte delle compagnie aeree.

Questa introduzione da noi proposta e i presupposti in essa contenuti, se rimane tutt’ora valida, va tuttavia distinta in due evidenti periodi temporali ognuno dei quali è contraddistinto da differenti modalità applicative e ciò a causa delle trasformazioni, avvenute nel corso del tempo, cui sono state oggetto le stesse compagnie aeree.

Tutti ricordano che anni addietro (primo periodo) ogni nazione aveva un suo aeroporto internazionale primario il quale costituiva la base del vettore di bandiera che da esso faceva dipartire una fitta rete di collegamenti aerei per ogni Paese del mondo con il quale si voleva mantenere una qualche relazione; tale era la situazione di una SAS, di una Swissair, di una Sabena, di una Olympic Airways o della stessa Alitalia, tutte compagnie che nei loro anni d’oro avevano ognuna una vastissima rete intercontinentale.

In quegli anni tutte le destinazioni di cui necessitava un collegamento venivano attivate: potrà sembrare strano ma la priorità prima, quella che aveva la precedenza era che –ad esempio- l’Italia dovesse disporre di un collegamento con l’Australia perche fra questi due paesi vi era un consistente flusso di traffico migratorio. La remuneratività della rotta, fattore senz’altro importante, assumeva un ruolo secondario. L’esempio fatto fra Italia e Australia lo si potrebbe trasporre nel caso di Sabena con i collegamenti che questa compagnia gestiva fra Bruxelles e numerose città delle ex colonie africane.

E’ facile vedere in una tale impostazione il connotato di pubblico servizio che prevaleva su ogni altro aspetto.  Ciò significava che dalla base d’armamento della compagnia si dipartiva una fitta rete di collegamenti intercontinentali.

La metamorfosi che ha riguardato i vettori aerei è stata caratterizzata in prima battuta dalla perdita del ruolo di compagnia di bandiera (privatizzazioni) con conseguente abbandono di tutte quelle rotte che la compagnia privata riteneva poco redditizie, o perlomeno a rischio, e pertanto il carattere di pubblica utilità è venuto anch’esso meno.

Non tutti i Paesi hanno però seguito la stessa strada. Anzi possiamo dire che proprio il ritirarsi di alcuni dal fronte del lungo raggio ha significato per altri l’impegno ad una maggiore incisività su quelle rotte da altri  abbandonate.

Parigi, Londra, Francoforte sono sempre stati aeroporti importanti, ma lo sono divenuti ancor di più allorchè i vettori di numerosi Paesi europei hanno ridimensionato le rotte una volta da loro svolte.

Per gli utenti di quest’ultime nazioni non rimaneva altra possibilità che recarsi in un altro paese per prendere il volo che portava alla destinazione prescelta. E’ così che sui centri dell’Europa, e non solo questi per la verità, basi di compagnie aeree che hanno voluto mantenere una fitta rete di collegamenti intercontinentali convergono passeggeri provenienti da quelle nazioni le cui aerolinee hanno abbandonato la rete a lungo raggio.

Ma non è questo l’unico cambiamento che ha riguardato la geografia delle rotte aeree. Venuto meno il ruolo di “vettore di bandiera” anche l’aeroporto, sede di armamento del principale vettore nazionale, veniva ad essere per forza di cose ridimensionato a vantaggio di altri scali domestici il cui traffico nel passato veniva instradato sulla base principale.

E’ quanto accaduto a Milano nei confronti di Roma.

Con l’Alitalia che ha una ridotta rete intercontinentale e con i vettori stranieri oggi liberi di poter scegliere se scendere sia su Milano come su Roma, non desta affatto meraviglia che molte compagnie aeree di altri continenti hanno aperto, e stanno aprendo,collegamenti su Milano invece di Roma, dove fino a qualche anno addietro erano obbligate ad operare.

Il presidente della Sea, Giuseppe Bonomi, ha recentemente affermato che anche senza Alitalia gli scali milanesi stanno decollando alla grande per quanto riguarda i collegamenti a lungo raggio.

Noi non abbiamo mai avuto dubbi in proposito in quanto – come abbiamo più volte annotato- laddove esiste traffico, i vettori aerei non hanno alcun motivo di trascurarlo.

La crescita quindi di quegli aeroporti a carattere intercontinentale che prima erano solo “di cuscinetto” rispetto al principale scalo della nazione, tale è il caso di Milano nei confronti di Roma o di Monaco ad esempio nei confronti di Francoforte, è anch’essa un’altra caratteristica di come è venuto cambiando il ruolo dello scalo intercontinentale nell’ambito dell’economia del trasporto aereo.