Gli equilibri dell’aviazione civile sono oggi talmente “saltati” che alla tradizionale notizia dell’aerolinea “X” che ha trasportato più (o meno) passeggeri dell’altra aerolinea “Y”,  si è sostituito l’annuncio che un vettore irlandese ha trasportato sulla sola direttrice da/per l’Italia tanti passeggeri quanti ne ha portati complessivamente il principale vettore aereo italiano sul suo intero network.  Comparazioni inconcepibili negli anni passati, divengono normali fatti nelle odierne cronache aeronautiche.  Ed è in questi scenari inediti che si è dovuto confrontare il nuovo vettore italiano  -Alitalia-Compagnia Aerea Italiana- per il quale l’anno  2011 segna  il terzo anno di attività.   Il piano “Fenice” , il progetto industriale cioè che fissava date e obiettivi dell’aerolinea “campione nazionale” che si doveva formare dall’unione fra i due maggiori vettori italiani, è stato finora rispettato?

Nel suo primo anno dall’avvio, il 2009, la compagnia trasportava 21.8 milioni di passeggeri, dichiarava ricavi per 2.921 milioni di euro, con una perdita netta dopo accantonamenti e oneri straordinari di 326 milioni di euro; l’indebitamento finanziario netto al 31 dicembre 2009 risultava di 799 milioni di euro.

In termini di passeggeri trasportati l’Alitalia, fra i vettori AEA, si poneva al sesto posto dopo la Lufthansa (53.168),  l’Air France (47.920), la British Airways (32.279), la Turkish Airlines (24.538) e la KLM (22.332).

Era l’anno del rodaggio e le critiche circa i troppo ottimistici toni con cui il vettore commentava che “tali risultati sono in linea con le attese e coerenti con l’obiettivo di pareggio operativo nel 2011” non mancarono.  In particolare tutti si aspettavano un 2009 certamente negativo, ma era la mole del passivo che lasciava riflettere: la perdita netta di 326 milioni, la perdita operativa di 274 milioni e l’indebitamento a 799 milioni, il tutto accompagnato da un network  assolutamente irriconoscibile rispetto agli anni d’oro del vettore il quale sempre più assumeva i connotati di un vettore regionale.

Ma forse il dato che più di ogni altro avrebbe dovuto far riflettere sulla “rinascita” era il seguente.

Nell’anno 2008 AirOne aveva trasportato 7.404.000 passeggeri, l’Alitalia 18.048.000 ; complessivamente quindi i due principali vettori italiani, operando da soli in regime concorrenziale avevano movimentato oltre 25 milioni di passeggeri. Nel 2009 il nuovo vettore, nato dall’accorpamento dei due, aveva trasportato quasi 4 milioni di passeggeri in meno.  A questo punto appariva in tutta evidenza che la nuova aerolinea che nasceva non avrebbe costituito alcun pericolo per i concorrenti sulla piazza, fatto questo che trovava conferma anche dalla sostanziale riduzione della flotta.

Ma malgrado questa partenza sottotono, a maggio 2010 accade qualcosa tra il comico e il tragico che mette in mostra l’eterna, italica presunzione di credersi sempre al centro del mondo.  Il gruppo AF-KL rende noti i risultati dell’anno finanziario che si chiudeva al 31 marzo 2010 il quale segnava un rosso record di 1,5 miliardi di euro; ebbene questi alcuni dei titoli dei principali quotidiani nazionali che accompagnano la notizia:

“Air France in profondo rosso pensa alla fusione con Alitalia”

“Colaninno: Air France non avrà mai Alitalia”.

“Il sogno di Air France su Alitalia non si realizzerà”

In realtà anche senza bisogno di alcuna successiva avance all’Alitalia, i primi sei mesi del corrente anno finanziario 2010-2011 chiusi al 30 settembre mostreranno i conti del gruppo AF-KL in attivo di 1.026 miliardi di euro, mentre spetterà invece al presidente Roberto Colaninno  a giugno del 2010 avvertire “che la partita vera per Alitalia è nel 2011: se raggiungeremo certi risultati la compagnia si salva, altrimenti bisognerà trovare delle soluzioni di finanziamento”.  E di fronte a questa notizia la stampa, fingendo di dimenticare cosa aveva scritto poche settimane prima,  è costretta a tornare con i piedi a terra e commentare  che “per Alitalia l’Odissea continua, i soci temono l’aumento di capitale”.

Questi “spaccati” di eventi sono utili a evidenziare quanta confusione e pressapochismo continui ad accompagnare la vicenda Alitalia, talvolta commentata come un disastro nazionale, il giorno dopo presentata come se tutti fossero interessati ad acquisire la compagnia.  Per la verità ciò che agli altri fa gola è il mercato italiano, il suo bacino e il suo potenziale.  Per entrarvi e prenderne possesso non  è l’acquisizione di Alitalia la sola via, come  ben dimostrato dalla Lufthansa la quale, avvalendosi della normativa comunitaria, ha fondato la sussidiaria Lufthansa-Italia ed in pratica può ora agire come se fosse a tutti gli effetti un vettore italiano.

Sarà il caso di prendere atto che i vecchi giochi quali ad esempio il cabotaggio o le acquisizioni per far sparire uno scomodo concorrente, sono stati sostituiti da operazioni ben più eleganti e meno invasive.

Passando aI secondo anno di attività, il 2010, i primi risultati diffusi mostrano l’Alitalia a quota 23.4 milioni di passeggeri; rispetto al numero passeggeri del 2009 ciò significa un aumento del 7%  , cifra ben al di sopra della media dei vettori AEA i cui passeggeri trasportati  nel 2010 sono aumentati mediamente del 2,7% (335 milioni contro 326), tuttavia è da notare come il numero di Alitalia sia ancora una volta inferiore ai dati dell’anno pre-fusione 2008, pertanto più che essere al di sopra della media è corretto asserire che si sta lentamente e faticosamente recuperando quelle quote di mercato che Alitalia e AirOne avevano raggiunto nell’ultimo anno antecedente all’unione. Per i risultati finanziari ancora nulla di definitivo traspare; in una dichiarazione rilasciata il 27 gennaio scorso il presidente di Alitalia, Roberto Colaninno ha affermato che  “i risultati stanno andando come previsto: l’obiettivo e’ raggiungere l’utile operativo quest’anno, l’utile netto nel 2012” aggiungendo che “Gennaio sta andando meglio del gennaio 2010”.

Va ricordato anche che fra gli obiettivi dichiarati che il nuovo vertice si proponeva vi era quello di incrementare lo share di mercato domestico dal 30 al 55/56 percento. A tal proposito mancano ancora i dati per poter dire di quanto il 30 sia aumentato, ma il fatto che Ryanair abbia annunciato che nel 2010 nei voli da/per l’Italia (internazionali e nazionali) ha portato 23.300.000 passeggeri, mentre Alitalia su tutte le sue rotte ne ha trasportati 23.400.000  è già sufficiente a darci una indicazione di come le cose stanno procedendo.

Futuro?

Anche le pietre ormai sanno che il futuro dell’aviazione in Europa verte sulle tre mega-alleanze accentrate su Francoforte, Parigi  e Londra.  I ruoli all’interno di ciascuna di esse sono ormai delineati: un grosso nome europeo e un grosso nome a stella e strisce per ciascuna alleanza, e poi una miriade di sotto-vettori. Laddove nella stessa alleanza troviamo due vettori di rango (è il caso di AF-KL, o di BA-IB) per evitare inutili salassi, si è provveduto alla formazione di una alleanza nella alleanza, o pseudo-merger.

Il treno delle alleanze e la possibilità di giocare in esse un ruolo primario, l’Alitalia lo ha perso nel 1998 quando –ancora potendo vantare un certo peso nel consesso internazionale-   masochisticamente si è preferito mandare all’aria l’accordo con KLM che Domenico Cempella aveva tessuto con notevole perizia e tempismo.  Ormai i giochi delle alleanze sono fatti e Alitalia oggi non può aspirare a giocare ruoli di rilievo.  Anche questo fatto ha contribuito a rendere l’Italia terra di facile conquista: vettori low cost sul corto-medio raggio, vettori MEB3  (Middle East Big, ovvero Qatar, Emirates, Etihad) e i tre poli alleanze sul lungo raggio.

Quando avvertiamo “terra di facile conquista” intendiamo far riflettere sul particolare che mentre in Germania un vettore straniero deve vedersela con Lufthansa, mentre in Francia il vettore straniero deve fare i conti con Air France, mentre a Londra ci si confronta con British Airways, chi invece scende sui nostri scali venendo da paesi di altri continenti, deve confrontarsi con una concorrenza italiana long haul ridotta all’osso sia in termini di destinazioni, sia in termini di frequenze. L’Italia insomma è il paese di bengodi per i vettori aerei, quelli stranieri s’intende, non i nostri.

Parlando di prospettive non si può fare a meno di annotare come nella corrente composizione azionaria l’unico socio con competenza industriale del settore è Air France, che fra l’altro ha la più alta partecipazione (25%) fra tutti i partecipanti;  le manovre quindi appaiono chiaramente delineate e per rendersene conto basterà attendere la scadenza dei tanto chiacchierati cinque anni di lock-up.

Allargando l’orizzonte nel tempo e valutando la parabola compiuta da Alitalia nel corso della sua esistenza, una considerazione viene spontanea:  l’Alitalia è andata alla grande e ha fatto faville quando l’aviazione civile era regolamentata, è invece letteralmente andata in pezzi nel momento in cui, venute meno le regole che fissavano gli equilibri, ogni compagnia avrebbe dovuto mostrare da sola, senza le stampelle dei bilaterali, quello che il suo management sapeva fare.

Antonio Bordoni