Le chiamavano anche “frontaliere” oppure  di “terzo livello” , rimane il fatto che dopo l’avvio della deregulation Usa e prima dell’apparizione sul mercato delle low cost erano loro “le regionali” a far sperare per l’avvio di nuovi collegamenti concorrenziali a basso prezzo. Da noi ricorderete Aligiulia, Columbia, Aliblu, Gandalf…solo per citarne qualcuna fra le tante aerolinee che apparvero sui nostri cieli. 

Le compagnie regionali sono la prova evidente che talvolta è il rischio, quello imprenditoriale, che fa la differenza.  In effetti era da qualcuna di loro che  sarebbe stato lecito attendersi la nascita del fenomeno low cost europeo, erano loro che si trovavano ad operare sul corto raggio europeo nel momento in cui nel nostro continente veniva avviata la deregolamentazione; erano loro che operavano su quelle direttrici che poi diverranno campo di conquista delle low cost.

E allora per quale motivo non hanno saputo sfruttare il vantaggio di essere già operative rispetto a chi doveva ancora nascere? La risposta è molto semplice. Nessuna di loro ha avuto il coraggio e la lungimiranza di aprire collegamenti da/per aeroporti “dimenticati”.

Per la maggior parte guidate da personaggi provenienti dalle compagnie aeree tradizionali, tutte insistevano sul fatto che il passeggero europeo, ritenuto più snob dello statunitense, non avrebbe mai rinunciato ai privilegi cui era stato abituato dalle compagnie tradizionali, e l’aeroporto primario rientrava in questo concetto anche perché –altra svista madornale- nessuna di loro voleva dedicarsi al solo point-to-point rinunciando alla possibilità di offrire coincidenze tramite l’interlinea.

Insomma un mondo distante anni luce dal modello che poi apparirà sul mercato, e sicuramente una occasione mancata, come ampiamente dimostrato dalle aperture e chiusure che hanno contraddistinto il settore.

Oggi molti vettori regionali sono operativi in Europa e sono raggruppati sotto l’ERAA la European Regions Airline Association, ma un recente sondaggio  ha mostrato preoccupanti segni di deterioramento delle loro quote di mercato.

Negli ultimi 5 anni il numero di voli operato da aeromobili regionali su cinque principali scali europei quali Heathrow, Charles de Gaulle, Francoforte, Amsterdam e Madrid, è calato del 34 per cento.

Nel solo mese di aprile del 2011 su Heathrow hanno operato 283 collegamenti regionali, l’11,6 per cento in meno di quello che si operavano 5 anni prima. “Gli operatori regionali sono stati schiacciati, compressi su alcuni hub anche se non in tutti” ha recentemente affermato Simon McNamara, deputy director dell’ERAA.

Ma un altro motivo che potrebbe contribuire a creare difficoltà alle regionali nei grandi aeroporti, è il particolare che in questi tempi di esasperati risparmi e di caccia all’utile, le gestioni aeroportuali fra uno slot occupato da un aereo che porta centinaia di passeggeri al loro scalo ed un aereo di dimensioni minori che ne porta una cinquantina, potrebbero cercare di favorire il primo a scapito dell’altro.

 

Secondo una indagine condotta dall’OAG (Official Airline Guide) il numero di voli operati da velivoli con capacità di 30/60 posti si è ulteriormente ridotto dal 7 al 5 per cento sul totale collegamenti operati nei principali hub europei.

Quindi ciò che potrebbe necessitare è una migliore utilizzazione dell’offerta di capacità. E’ per questo che alla Bombardier, la quale insieme alla ATR e all’Embraer controlla il mercato degli aeromobili classe regionale, si punta ad allargare la capacità dei velivoli serie CRJ, regional jet.

Su base globale nell’anno 2010 sono stati consegnati 234 velivoli regionali e di questi 97 uscivano dalla linea di produzione dell’Embraer, 87 dalla Bombardier e 50 dell’ATR, il più vasto mercato rimane quello europeo ove sono stati consegnati 81 velivoli seguito al secondo posto dall’area Asia-Pacifico con 57 consegne.

 

Quale ruolo potranno mantenere le regionali nell’attuale scenario europeo? Partendo dal dato di fatto che molte aerolinee major di fronte al successo esponenziale che sta avendo il modello LCC hanno rinunciato ad operare voli di feederaggio sul corto raggio continentale, appare ormai evidente che il traffico point-to-point è dominato dai vettori low cost.

Secondo i dati diramati dall’ELFAA l’associazione che raggruppa nove aerolinee LCC europee comprese anche Ryanair e  EasyJet,  nell’anno 2010 i nove vettori associati hanno portato 172 milioni di passeggeri di cui 72.7 trasportati da Ryanair ,  e 49.6 da EasyJet.

A fronte di queste cifre se ora noi ci spostiamo sul versante delle regionali troviamo che -sempre nel 2010- il maggior vettore è l’Aegean con 5.687.000 passeggeri seguita dalla KLM Cityhopper con 5.317.000 passeggeri.

Quindi poco più di 5 milioni di passeggeri trasportati dalla sussidiaria regionale di un vettore del calibro KLM, oltre 120 milioni di passeggeri portati da soli due vettori low cost, Ryanair e EasyJet: appare evidente lo scompenso, il gap che si è venuto a creare fra il modello tradizionale di aerolinea e quello low cost.

Ormai i vettori tradizionali che operano ancora sul corto raggio europeo o lo fanno sotto l’egida di una alleanza come è il caso di Alitalia in SkyTeam, o si tratta di vettori di bandiera di Paesi dell’est Europa quali ad esempio Albania o Moldavia; altri spazi di movimento non ve ne sono.

Sempre più quindi va prendendo forma  uno scenario che vede da una parte vettori tradizionali dedicati al lungo raggio, vettori low cost sul corto-medio raggio dall’altra, ricordando però che nel marzo di quest’anno la EasyJet ha voluto allargare i suoi confini inaugurando il servizio trisettimanale fra Gatwick e la capitale della Giordania, Amman.

Si apre un nuovo capitolo per le low cost? Di certo la tentazione per quest’ultime di ampliare i loro mercati è forte, ma il rischio è altrettanto notevole, in quanto le regole che fanno le fortune finanziarie delle LCC sembrano non si possano esportare sul lungo raggio.

 

Antonio Bordoni