Il COA (Certificato Operatore Aeronautico) era stato ottenuto da meno di un anno nel gennaio 2011, e la chiusura è stata annunciata per il prossimo 31 ottobre: i tempi rientrano nel più classico degli scenari cui ci hanno ormai abituato le compagnie aeree; di certo però tenuto conto del nome di prestigio che accompagnava il vettore, in questo caso -diciamolo pure- nessuno se lo aspettava, almeno così presto.

La Lufthansa Italia ha rappresentato un interessante esperimento soprattutto dal punto di vista marketing-aziendale. Venuto meno il cabotaggio vero e proprio, la possibilità cioè per una compagnia di operare servizi all’interno di un mercato estero, vi sono stati vari tentativi di penetrazione in territorio altrui. Fra questi ricordiamo la National Jet, il vettore con cui la British Airways aveva tentato di impiantare collegamenti domestici in Italia, oppure altra variante sul tema è rappresentata dal vettore “Open Skies” una controllata di British Airways che da Orly offre collegamenti all-business verso il Newark e verso Washington.  Poi ovviamente vi sono i collegamenti dei vettori low cost all’interno di vari Paesi. Di certo però il fatto di voler fondare in Italia una sussidiaria con tanto di COA nazionale rappresentava, per un vettore europeo, un’esperienza inedita.

Preso atto che all’interno di un certo paese, da un determinato aeroporto sussistono potenzialità di traffico, per un vettore comunitario è agevole attivare collegamenti aerei sia verso destinazioni nazionali sia verso destinazioni continentali. La compagnia Lufthansa Italia da Malpensa aveva attivato servizi verso sei destinazioni italiane e una decina europee, ma non si trattava di collegamenti di feederaggio con gli hub del vettore tedesco, bensì di voli che in pratica dovevano sostituire quelli deficitari da parte del nostro vettore nazionale. Non a caso quando fu dato l’annuncio dell’avvio, lo scalo varesino era alla ricerca di sostituti che prendessero il posto di Alitalia.

Ma è cosa nota e risaputa che il mercato a breve raggio continentale è divenuto terreno riservato dei vettori low cost, e sarà il caso che i vettori tradizionali si abituino all’idea che per loro su queste rotte lo spazio di manovra è, e sarà, sempre più ridotto. I vettori europei leader delle tre mega-alleanze (Lufthansa per Star Alliance, British Airways per Oneworld, AF/KL per SkyTeam) ormai non possono che puntare sul lungo raggio e prendere atto che hanno ben scarso appeal sui semplici collegamenti europei punto-a-punto.

C’era anche un’altra evidente anomalia nel lancio di questo vettore da Malpensa. Sia pure con tutte le defezioni e tagli che Alitalia ha apportato alle proprie rotte, rimane il fatto che il nostro principale vettore congiuntamente a Air France e Klm (SkyTeam) forma “lo zoccolo duro” del traffico aereo da/per l’Italia, e se è pur vero che mancavano determinati collegamenti da scali italiani assicurati da Alitalia, non si può fingere di dimenticare che la rete KLM e Air France interfacciata a quella di AZ costituisce un’evidente realtà con cui confrontarsi.  Difficile quindi trovare una logica dietro l’attivazione di voli continentali e domestici su un aeroporto, ove operava già in forze EasyJet (oltre quaranta destinazioni) nonché i servizi di SkyTeam.

La vicenda ci fa tornare in mente la “GO” di British Airways, cioè il tentativo fatto dal vettore britannico (1998-2003) di voler lanciare la sua controllata low cost, salvo accorgersi a posteriori che il vettore “cannibalizzava” i servizi della compagnia-madre. La GO, guidata da Barbara Cassani, venne acquistata nel 2003 da EasyJet. Non c’è dubbio che anche le grandi talvolta prendono clamorosi abbagli.

Vi è anche un aspetto negativo da annotare in tutta la vicenda ed è costituito dal fatto che la notizia, che altro non doveva riguardare che il mondo aeronautico, ha finito per rispolverare la decotta telenovela del “mancato hub” di Malpensa, dei presunti “tradimenti” dei vettori, riportando nuovamente a galla gli intrecci politici, quelle storie di ristretto campanilismo locale leggendo le quali si potrebbe ritenere che il traffico degli aeroporti, o la scelta di una compagnia aerea di aprire e chiudere un collegamento, sia una questione di competenza dei sindaci e dei partiti politici.

Antonio Bordoni