Un argomento dell’aviazione civile divenuto di difficile decifrazione anche per gli addetti ai lavori è senza dubbio quello concernente la ownership della aerolinea specialmente quando esso è riferito agli accordi di traffico. Non a caso quando nell’anno 2003 Air France e Klm annunciarono la nascita del loro gruppo che, di fatto, era il primo tentativo al mondo di fusione cross-border di due vettori aerei, il più grande timore che avevano i dirigenti delle due compagnie era quello relativo alla sorte degli accordi bilaterali, alla luce della nuova veste giuridica che le due compagnie venivano ad assumere.   

Solo dopo tre anni dall’avvenuta unione prendendo la parola ad un convegno internazionale (*) Jean-Cyril Spinetta, presidente e a.d. di Air France, ammise i timori che accompagnarono il merger: “se oggi l’Europa indipendentemente dal fatto che un vettore sia spagnolo, tedesco o britannico riconosce solo il vettore europeo, i Paesi non europei (ad esempio Brasile, Usa, Cile, ecc.) rifiutano di riconoscere lo status europeo e prendono in esame solo la nazionalità del vettore.  Pertanto se, per esempio, la British Airways vuole acquisire Iberia, una nazione non europea potrebbe ritirare, cancellare i diritti di traffico dati alla Spagna dal momento che a seguito dell’unione, questi saranno ora esercitati da un vettore britannico e non più spagnolo”.   

Ma forse più interessante ancora è la successiva conclusione: “era legalmente possibile che togliessero i diritti concessi a KLM ma abbiamo voluto correre il rischio, e fino a questo momento debbo dire che abbiamo visto giusto dal momento che nessuno Stato ha cancellato i diritti di traffico concessi”.

 

In merito a questi appunti fatti da Spinetta vi è da puntualizzare che l’unione fra i due vettori non si è mai tramutata in un vero e proprio merger prova ne sia il fatto che entrambi continuano a volare ognuno con i propri colori sociali, sotto il motto “one group, two airlines”.

Quindi si parla di merger, si parla di gruppo ma di fatto i vettori erano due e rimangono due malgrado le regole comunitarie permetterebbero ad uno degli interessati di acquisire l’altro. Il fatto che i diritti di traffico non siano stati contestati da alcun Paese extra-Ue potrebbe pertanto dipendere dalla mancata nascita del nuovo operatore che comprende i due, e in tale ottica l’incertezza interpretativa rimane.

 

 

Dalle libertà dell’aria al controllo dell’azionariato

 

Quando si parla di diritti di traffico non si può non ricordare che questi derivano da accordi bilaterali firmati tra Stati. L’aviazione civile è nata e si è sviluppata grazie a cinque semplici libertà dell’aria (freedom rights) oggi diventate nove. Sono esse che hanno contrassegnato la storia dell’aviazione commerciale, ma per quanto esse siano state basilari per regolare i traffici internazionali, oggi la criticità si è spostata sull’ownership-and-control della aerolinea. Di fatto gli eventuali punti critici delle trattative non vertono più sulla concessione delle cinque libertà, ma su ben altri fattori.

Il caso KLM-Air France, che è stato poi replicato dal “merger” Iberia-British Airways è emblematico del complicarsi dello scenario internazionale in cui si trova ad operare l’industria dell’aviazione civile.

 

Se le aerolinee che in base ai nuovi regolamenti europei si sarebbero potute unire rimangono entità distinte e separate, potrebbe apparire evidente che una delle principali innovazioni volute dai regolamentatori europei si possa considerare fallita, ma non è esattamente così. Vi sono stati vettori, e Lufthansa ne è l’esempio più eclatante, che al contrario di Air France/KLM o di British Airways/Iberia, non hanno avuto bisogno di pseudo-fondersi con altri vettori per posizionarsi ai vertici dell’industria. La strada seguita è stata un’altra ovvero quella di acquisire il controllo azionario di diverse aerolinee che ora fanno appunto parte del gruppo Lufthansa. Quest’ultimo oggi comprende i due vettori nati dalle ceneri di Swissair (Swiss) e Sabena (Brussels Airline), ed inoltre include Air Dolomiti, Austrian Airlines, BMI e Germanwings, per limitarci a quelli controllati al 100 per cento.
Ricordando come Austrian, Swissair e Sabena fossero un tempo vettori di bandiera di 3 Stati europei di tutto rispetto, non crediamo affatto esagerato affermare che siamo in presenza di un impero o di una colonizzazione delle aerolinee.

La strada seguita è stata quella di acquisizione della totalità del capitale sociale ed è ovvio che ciò è stato permesso dal fatto che l’Europa è stata la prima regione ad aver abolito la restrizione sul controllo azionario delle aerolinee nell’ambito UE.

I fautori della nuova economia globale da tempo insistevano affinchè i vincoli fossero aboliti, e all’interno dei Paesi UE ciò è stato reso fattibile.  Tuttavia anche in tal caso il problema della ownership rimaneva invariato: una Swiss controllata al 100 per cento da Lufthansa si deve considerare una compagnia svizzera o tedesca?  Se si dovesse tener conto della nazionalità di chi possiede l’azionariato la risposta è presto detta con la conseguenza che un qualsiasi Paese extra-UE (ad esempio Singapore) potrebbe negare i diritti di traffico alla Swiss in quanto non più compagnia elvetica bensì tedesca.  Bisognava trovare una via di uscita dall’ empasse causato dalla miopia degli euroburocrati di Bruxelles i quali avevano voluto creare “il vettore europeo” in sostituzione dei singoli vettori, incuranti però dei problemi che si andavano a creare con i Paesi extra-UE; in tutta questa vicenda non bisogna mai perdere di vista un punto fondamentale: l’Europa pur avendo creato la moneta comune, non ha unificato gli Stati che rimangono singoli. Nelle trattative di carattere internazionale è questo un particolare destinato a pesare che tuttavia si finge di ignorare.

 

Dal controllo dell’azionariato al prevalente luogo di affari

Per il momento la soluzione adottata è di sostituire la “obsoleta” clausola della nazionalità, con quella del “Principal Place of Business”.  In quale città, in quale nazione una Swiss svolge in prevalenza la sua attività? In quale nazione una Air Dolomiti ha la sua principale base di attività?  Nel primo caso la risposta èla Svizzera, nel secondo la risposta è l’Italia, ed ecco risolto il nodo. Nei testi dei bilaterali si provvederà a sostituire la clausola limitativa di “ownership-and-control” con il criterio più attuale basato sulla sede principale delle compagnia, ovvero il principio del “Principal Place of Business”.

 

Molti studiosi della materia definiscono “paradossale” il fatto che un’industria la quale collega paesi nel mondo facilitando gli scambi commerciali risulti ancora così ingessata nelle acquisizioni di azionariato cross-borders, ma la verità è che il concetto di nazione e di bandiera è ancora fortemente radicato (e probabilmente lo sarà sempre più), e ciò non può non vanificare i tanto decantati propositi di abbattimento delle frontiere; ad altra conclusione non si può giungere ricordando che in Paesi europei ove le compagnie avrebbero potuto realmente unificarsi, ciò non è avvenuto.  Il massimo che si è ottenuto sono due modelli ben distinti. Abbiamo il modello “A” (Iberia-British Airways; Air France-Klm) e il modello “B” (es. Air Dolomiti controllata al 100% da Lufthansa che tuttavia rimane italiana in quanto il principal place of business è in Italia). Sono esempi che dimostrano al di la di ogni ragionevole dubbio che le reali fusioni, se e quando avvengono, potranno riguardare vettori entrambi appartenenti alla stessa bandiera, ma non si spingono oltre frontiera.

Di fatto ci sarebbe anche da discutere sulla “ipocrisia” di voler considerare una compagnia di una certa nazionalità malgrado l’intero suo pacchetto azionario sia controllato da soggetti appartenenti ad un’altra nazione. Anche questo particolare, troppo spesso dimenticato, serve a dimostrare le peculiarità dell’industria aerea, un’industria che secondo molti esperti del settore non avrebbe dovuto essere oggetto di deregolamentazione.

 

Quando la deregulation venne importata nel nostro continente, negli Stati Uniti erano già avvenute chiusure e reali fusioni fra vettori (concentrazioni).  Ovviamente tutti si sarebbero attesi che la stessa cosa sarebbe avvenuta anche in Europa. Ma qui invece la politica delle deregulation venne distorta da due elementi che erano contrari agli stessi principi della deregolamentazione.  Si era detto che il vettore incapace di far profitto sarebbe uscito di scena per far posto al più virtuoso, e invece gli Stati pur di mantenere in vita il vettore di bandiera non lesinavano aiuti di Stato; si era inoltre parlato di più concorrenza ed invece abbiamo assistito alla formazione di tre megagruppi che hanno assorbito tutte le altre compagnie appartenenti ai Paesi dalle economie più deboli.

Ad un attento osservatore non potrà sfuggire il particolare che ciò che sta accadendo nell’Europa finanziaria dove ormai si parla apertamente di due monete euro, una forte e una debole, di fatto è già accaduto nel settore dell’aviazione civile con la formazione dei tre megagruppi. Tutto ciò è la inevitabile conclusione che avviene quando si cerca di accorpare Paesi ognuno dei quali vanta un’economia differente dagli altri. E lo stesso stratagemma di voler considerare italiana una compagnia, sia pur se controllata al 100 per cento da soggetti stranieri solo perché la sua base principale è in territorio italiano, lo si può tranquillamente assimilare ad uno dei tanti strumenti innovativi di quella “ingegneria finanziaria” che tanti guai sta creando alle economie occidentali.

 

ANTONIO BORDONI

(*) “Cross-Border Mergers & Acquisitions; The Air France-Klm story; Speech by Jean-Cyril Spinetta at the Nyenrode European Business Forum, 23 febbraio 2006.