Con questo nuovo articolo di Antonio Bordoni, intendiamo rispondere anche alla lettera inviata dal Dott. Ugo Papa, Direttore Tecnico dell’agenzia di viaggi Intervia di Milano, e pubblicata oggi stesso.

C’è una industria altamente prolifica che vive e vegeta intorno al prodotto aereo; non ci riferiamo ad uno dei tanti settori indotti che pure gravitano intorno ad esso quanto invece a quell’incredibile mondo “a parte” che è venuto a crescere alla pari di un parassita e che risponde al nome (impropriamente denominato) di tasse aeroportuali.

Periodicamente sulla stampa nazionale appaiono articoli circa sindaci  dei comuni sedi di aeroporti che stanno ancora aspettando i soldi pagati dai passeggeri per la addizionale sulla tassa di imbarco, una delle tante “tasse aeroportuali”.  Non bisogna andare troppo lontano (settembre di quest’anno) per ricordare appunto titoli del tipo “sindaci in rivolta, ridateci i soldi delle tasse di imbarco”.

E’ questo soltanto uno fra i molti aspetti controversi causato da quel pazzesco lievitare di tasse, charges, surcharges, fees che accompagnano l’emissione del biglietto aereo e che vanno ad aggiungersi alla tariffa aerea vera e propria. Sull’argomento il 23 ottobre 2005 avevamo pubblicato un servizio, chiaramente riferito al mondo agenziale, dall’eloquente titolo “esattori di tasse o venditori di biglietteria aerea?”

Certo non abbiamo mai nutrito molta speranza che questi articoli-denuncia servano  a qualcosa, ma almeno speravamo che prima o poi il fenomeno subisse un ridimensionamento, ma invece è accaduto tutto il contrario in quanto il loro proliferare è continuato senza sosta.  Nel Regno Unito, solo per  citare un recente esempio, proprio in questi giorni i vettori e le associazioni consumatori  sono in rivolta contro l’aumento della già esosa tassa ADP (Air Passenger Duty) la quale dovrebbe generare secondo il Tesoro britannico 3.8 miliardi di sterline. Lo scopo di quello che è il terzo incremento in tre anni dovrebbe essere  di convincere il pubblico a considerare, laddove possibile, mezzi di trasporto meno inquinanti.  La  decisione è stata definita dal chief di BA, Willie Walsh, come una “disgrace” in quanto nessuno si illude sul fatto che la misura non possa non ridurre drasticamente il numero dei passeggeri che sceglieranno di viaggiare nel Regno Unito, preferendo in alternativa altri aeroporti.  Da parte sua Ryanair ha fatto sapere che ridurrà il numero dei movimenti da/per quei Paesi che aumentano le tasse come il Regno Unito e l’Irlanda.  E circa il problema ambientale val la pena riflettere sul particolare che dal prossimo gennaio prenderà il via in tutta  Europa lo schema ETS (Emission Trade Scheme) in base al quale ogni volo sarà in pratica tassato per il CO2 emesso nell’atmosfera.  Quindi si rifletta sul paradosso  che l’aviazione civile, i suoi utenti e operatori, si debbono confrontare con misure generali a carico di tutti i vettori decise dalle organizzazioni internazionali, alle quali si vanno ad aggiungere le misure adottate localmente dai singoli governi a carico dei viaggiatori: decisamente il capitolo sull’ambiente si sta rivelando una “preziosa” fonte di approvvigionamento di fondi per le autorità governative di tutto il mondo.

Ma il mondo delle “tasse” aeroportuali non è solo tristemente noto per il suo incessante proliferare, ma anche per altri motivi che toccano in modo diretto il mondo degli agenti di viaggio. Dispiace annotare infatti come ancora oggi si debba discutere se, e con quale modalità, gli importi in questione debbano essere rimborsati.  Sull’argomento vorremmo cercare di fare il punto della situazione.

Iniziamo col dire che  l’importo della tariffa aerea è l’unico componente che può essere oggetto di pratiche commerciali variabili da vettore a vettore.  Questa pur semplice e incontestabile asserzione viene però a complicarsi nel momento in cui le aerolinee con una decisione altamente discutibile hanno deciso di creare un onere addizionale che coprisse le oscillazioni del prezzo del carburante. Il costo del carburante è sempre stato, e sempre sarà,  un componente della catena di produzione del prodotto aereo; la sua incidenza non può essere estraneata dalla composizione della tariffa.  Se i vettori per loro scelta commerciale ritengono di doverla estrapolare (YQ) deve essere tuttavia ben chiaro che:

-laddove si applica una percentuale agenziale sull’emissione del biglietto questa deve essere calcolata (e lo avrebbe dovuto essere anche nel passato) non solo sulla tariffa ma anche sulla fuel surcharge.

-in caso di rimborso del biglietto anche per la YQ, per i motivi suesposti e cioè che la stessa è parte della tariffa a tutti gli effetti, valgono le cosiddette “pratiche commerciali” che ogni aerolinea adotta in base al tipo di tariffa venduta.

-da parte delle aerolinee non è corretto chiedere per l’emissione di biglietteria a favore dei Frequent Flyers (FFP) il pagamento dell’importo delle YQ facendola forzatamente rientrare sotto il concetto di tassa.

Andando sul versante di quegli importi (charges o fees) che -se pur incassati congiuntamente alla tariffa- vengono però rigirati ad altri soggetti fra cui i gestori aeroportuali, è indubbio che gli stessi vadano restituiti in pieno nel caso il passeggero rinunci al volo. Ovviamente va da se che quando diciamo “in pieno” si debbono fare gli opportuni distinguo nel caso che il biglietto fosse stato parzialmente utilizzato.

La questione a ben vedere è molto chiara e sinceramente non si capisce il perché vi siano vettori che non siano trasparenti sull’argomento: tutto ciò che è revenue dell’aerolinea (tariffa base+YQ) è soggetto ai regolamenti commerciali del vettore, le altre “tasse” non costituiscono revenue dell’aerolinea e, in caso di rimborso, vanno restituite in quanto il vettore non le dovrà versare ai soggetti  destinatari per legge  del loro  introito.

Ma la storia non finisce qui perché alcune aerolinee, come ben sappiamo,  al momento della richiesta del rimborso applicano una charge proprio per il fatto di dover “aprire una pratica” di rimborso (!).  Questo espediente, davvero molto discutibile,  altro non sembra che una trovata per cercare di dissuadere l’agente, o il passeggero, dall’avanzare la domanda di rimborso.  In effetti una corretta pratica commerciale sarebbe quella che si limita ad applicare sulla tariffa venduta una penale la quale può oscillare in base alla tipologia di tariffa applicata, ma qui si dovrebbe fermare e non andare oltre.  Se cioè si è acquistato un biglietto a tariffa 100 il vettore è libero, secondo l’applicazione dei suoi regolamenti, a rimborsare solo 50,  solo 10, o altre cifre sulla base di quale penale  si applica alla tariffa venduta, ma tutto questo, lo ribadiamo e lo sottolineamo, deve riguardare solo la tariffa e la YQ,  non certo le altre tasse.

Val la pena ricordare inoltre che la penale applicabile andrebbe sempre comunicata al passeggero al momento dell’acquisto, rendendolo cioè edotto di quanto egli vada a perdere se per caso rinuncia al volo.

Tornando all’eventuale  fee  per l’apertura della pratica di rimborso questa non dovrebbe essere applicata dal vettore che già introita la differenza fra la tariffa venduta e la penale applicata, ma eventualmente dall’intermediario che ha venduto il biglietto (l’agente di viaggio) il quale è chiamato a svolgere un doppio compito: il primo al momento della vendita del biglietto, e poi quando effettua il rimborso; ben sapendo infatti quali sono i costi del Bsp, canale attraverso il quale con ogni probabilità vendita e rimborso vengono effettuati, questa pratica non sarebbe affatto scandalosa, bensì del tutto giustificata.

Antonio Bordoni