Chi conosce il percorso di Vittorio Formisano, sa quanto tiene al titolo di una personale e a tutto il lavoro di idee e materiale che l’anticipa. In dieci anni di attività, Formisano ha sempre lavorato per serie, riproducendo quasi in modo ossessivo i suoi piccoli personaggi, cercando di rappresentare “il disagio di vivere” che ci riguarda tutti, attraverso sfondi densi di materia e memoria, da cui emergono figure disegnate o abbozzate, bocche aperte ad urlare parole che rimangono mute.

Il suo intento non è quello di creare qualcosa di piacevole al pubblico, la sua è bensì una volontà concreta di denunciare con ironia, i soprusi e le piccole mortificazioni del quotidiano, della gente comune.

Kant considera l’amore di sé come una specie di egoismo (riferito alla totalità delle inclinazioni che, soddisfatte, producono la felicità), lo distingue in benevolenza di sé (vanità), e compiacenza verso di sé (arroganza).

Formisano in questa personale dal titolo secco, austero, mette il dito nella personalità dell’artista, quello che a disperata oltranza, non è in cerca di successo, bensì di felicità.

Una sola parola racchiude un percorso di lavoro volutamente rapsodico nel senso estetico. Visivamente questa personale l’ha studiata volutamente così, con dipinti che utilizzano diversi materiali, installazioni, e due performance, una a sorpresa, e l’altra dal titolo “Meglio 100gg da pecora che uno da leone” azione con la quale ha debuttato tra gli eventi paralleli delle Biennale di Scultura di Carrara del 2010 e che poi ha eseguito per il Festival della Creatività di Firenze,  e per i Teatri di Vetro5 a Roma, con la regia di Adriana Michetti.

Più che una personale omogenea per la Dream Factory, Formisano è una collettiva di una sola persona cosciente che “l’arte significa di nuovo (e finalmente) ideologia. Arte vuol dire idea e conoscenza; discorso aperto sull’arte stessa, sul sistema dell’arte ma soprattutto sul mondo. Arte è possibilità, volontà, necessità, di ricordare o di cambiare le cose.”

Formisano utilizza sì la tecnica per fare arte, ma poi usa l’arte per ricostituire l’unità dell’essere umano, e ciò per lui è integrità, persino moralità.

La tensione tra l’intenzione artistica e gli eventi dell’accadere storico diviene energia; visione politica, progetto di considerazione della realtà, costante culturale in anteprima perché l’artista si assume il peso dell’intuizione e della comunicazione. L’artista torna a pensare pubblicamente; l’artista denuncia ancora…”

*da “Ideologico e primordiale di Fabio Migliorati”.