“Nelle situazioni di emergenza gli apparati dello Stato, sfruttando le spaccature all’interno dei clan sono disposti a ricorrere ai servizi della criminalità per superare la crisi. Nel caso di specie l’alleato sarebbe stato Provenzano, sempre con l’intermediazione di Vito Ciancimino. E questo fatto spiegherebbe vicende come la mancata cattura di Provenzano a Mezzojuso il 31 ottobre del 1955 (…). Della presunta trattaviva va ricordato un ulteriore risvolto. Ha a che fare con il movente della strage di via D’Amelio dove morì Paolo Borsellino. (…) Non si può escludere che Paolo Borsellino fosse venuto a conoscenza di manovre poco chiare, iniziate dopo la strage di Capaci. In quel momento aveva idealmente raccolto il testimone di Giovanni Falcone. E chiunque poteva immaginare che non avrebbe mai potuto accettarle. Si sarebbe opposto con tutta la sua forza a qualsiasi tipo di accordo con i corleonesi. E questa circostanza potrebbe essere tra quelle che hanno armato la mano dei suoi assassini”.
Questa appena riportata è solo una delle inquietanti ricostruzioni delle trattative intercorse tra Stato e Mafia e minuziosamente descritte nell’ultimo libro del giudice Piergiorgio Morosini “Attentato alla giustizia. Magistrati, mafie e impunità” e recentemente edito da Rubbettino.
Sintesi del libro
L’obiettivo strategico di ogni mafia è l’impunità. Solo quella rende credibile, longeva e ricca l’organizzazione criminale. Ma l’impunità, personale e patrimoniale, per essere conseguita necessita di complici nelle istituzioni, nel mondo delle libere professioni e nella imprenditoria. Il tema è di grande attualità. Anche alla luce dei recenti sviluppi sulla “trattativa” tra Stato e mafia che sarebbe sullo sfondo delle stragi del 1992 e 1993. E allora la ricerca, dopo avere richiamato le indagini su quella tremenda stagione, illustra un repertorio di trattative tra la mafia e i suoi complici. Chi sono i complici? In che modo interferiscono sulla giustizia? Si parla di politici, poliziotti, imprenditori, liberi professionisti che ostacolano l’accertamento delle verità processuali. Sono storie approdate all’attenzione della magistratura soprattutto negli ultimi venti anni; ossia nel periodo in cui il principio dell’eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge anche in Italia diventa concreto. Sono storie di processi aggiustati, di clamorose ritrattazioni, di talpe nella polizia, di politici che avvertono i mafiosi di microspie nelle loro abitazioni, di latitanze coperte da uomini delle istituzioni. Sono storie tratte da sentenze, ordinanze, documenti delle procure e della commissione parlamentare antimafia, letti anche attraverso i commenti della stampa e degli osservatori specializzati. Il volume parla anche di come lo Stato contrasta questo fenomeno. Dei proclami della politica, delle promesse non mantenute e degli errori strategici. La conclusione fa il bilancio di una stagione dell’antimafia giudiziaria, dell’impegno dei magistrati e dei suoi limiti. Una autocritica fondata sulla lezione di Giovanni Falcone che non rinuncia a formulare proposte concrete per una azione più incisiva e, comunque, rispettosa delle regole dello stato di diritto.
L’autore
Piergiorgio Morosini è magistrato dal 1993. E’ giudice delle indagini preliminari presso il tribunale di Palermo. Titolare di numerosi processi a Cosa nostra, è stato estensore di sentenze relative ai capi storici della mafia (Riina, Provenzano, Brusca, Bagarella).