Allorché  la nostra stampa commenta i risultati di una compagnia aerea puntualmente ecco apparire la solita annotazione del tenore “il caro carburante manda in picchiata i conti”.  Che l’aumento del prezzo del carburante sia una realtà nessuno osa metterlo in dubbio, ma parlando di trasporto aereo forse sarebbe anche il caso di ricordare che i vettori hanno preso l’abitudine di gravare le tariffe loro applicate con la celebre “fuel surcharge” la quale -da quello che ci raccontano i strateghi dell’industria- viene tenuta separata proprio per adeguarla costantemente ai repentini mutamenti del prezzo del carburante. E allora prendendo alla lettera queste avvertenze la presa in giro è doppia. Una prima volta nei confronti delle stesse aerolinee per i conti che in ogni caso non quadrano, e una seconda per i problemi che questa voce crea a passeggeri e agenti di viaggio di cui il più sostanziale è quello di volerla spacciare come tassa quando invece essa è al cento per cento una componente tariffaria.  A causa di quest’ultimo aspetto ricordiamo la mancata inclusione nella percentuale della commissione, e le indagini delle autorità antitrust. Il tutto, lo ribadiamo, per poi all’atto pratico ottenere risultati decisamente deludenti. Forse una analisi retrospettiva mostrerebbe che le finanze dei vettori andavano meglio prima dell’introduzione di questa cosiddetta “tassa”.

Ryanair pur con tutte le critiche che gli si possono additare è uno dei pochissimi vettori al mondo che non applica la YQ o YR e chiude da oltre trent’anni i suoi conti in nero. Tutte (o quasi) le altre  piangono bilanci in rosso malgrado facciano pagare ai passeggeri sonori sovrapprezzi carburanti in continuo saliscendi. Sia pur considerando i due differenti modelli in campo, sarà il caso di iniziare a riflettere su queste incongruenze.

Dalle parole ai fatti. Nell’ultimo bilancio annuale Alitalia (2011) si può leggere che “l’aumento del petrolio (110 dollari al barile contro 83 dollari al barile nel 2010) ha determinato per Alitalia maggiori costi per 266 milioni di euro.” E secondo la Iata e il suo Airline Business Confidence Index le previsioni del 2012 indicano  l’industria aerea in generale un deterioramento dei livelli di redditività principalmente a causa del rallentamento della crescita, del calo della domanda di tariffe high yield, nonché appunto per gli elevati livelli del costo del carburante.

La verità è che ormai le tradizionali misure, cui sono solite ricorrere le aerolinee, come il taglio del personale o gli aumenti della fuel surcharge assumono aspetti di meri palliativi di discutibile valenza.  Il trasporto aereo è una  commodity strettamente legata al Prodotto Interno Lordo delle nazioni e dal momento che le economie di quelli che una volta venivamo definiti i Paesi del boom sono in crisi, non c’è affatto da meravigliarsi se a risentire gli effetti negativi è anche e soprattutto il trasporto aereo.

Le ultime previsioni della Iata indicano per il 2012 l’area Asia-Pacifico, Nord America, Medio Oriente e America Latina come regioni dalle quali le rispettive aerolinee dovrebbero attendersi profitti, mentre l’Europa insieme all’Africa chiuderà in perdita. (Iata Financial forecat June 2012)

E’ inutile prenderci in giro, è inutile far uso di termini altisonanti quali piani aziendali o dinamiche congiunturali: se l’economia non si riprende le aziende nazionali soffrono e chiudono. Questo non solo riferendosi all’Italia ma a tutto il continente europeo in declino. Ma oggi a questo semplice paradigma  va anche aggiunto un fattore peggiorativo venuto in auge da quando  i rispettivi governi non sono più padroni di prendere le decisioni  più consone rispetto alle caratteristiche che distinguono  economia e aziende del proprio paese. E’ la crisi di un continente che ha voluto creare un moneta comune  togliendo la sovranità monetaria ai singoli Paesi ma senza il preventivo sostegno di una Europa politicamente unita e di una banca centrale europea. La crisi è diffusa in forma epidemica.

Da noi è dal gennaio 2009 anno di avvio della nuova Alitalia-Cai che si attende il take over francese, ovvero il controllo di Alitalia da parte di quello che una volta era un gruppo leader in Europa, ed ora proprio in questi giorni apprendiamo che anche Air France attraversa una profonda crisi e dovrà attuare risparmi nei prossimi tre anni di circa 2 miliardi di euro soprattutto ricorrendo a tagli di personale. Quindi almeno per il momento l’unione fra AZ-AF-KL è rimandata. E nel bel mezzo di questa situazione cosa fanno i burocrati di Bruxelles? Anziché dare una mano alle finanze disastrate dei vettori non trovano di meglio che introdurre una nuova tassa ecologica a carico di tutte le aerolinee (ETS) e così a livello di politica del trasporto aereo si sta in pratica replicando l’errore fatto dal nostro Presidente del Consiglio a livello italiano, allorché si riteneva che inasprendo la pressione fiscale si potessero fare più entrate, salvo  accorgersi a posteriori che a causa della chiusura di numerose aziende le entrate sono in realtà diminuite. E pensare che Arthur Laffer, economista americano e uno dei principali consiglieri economici di Ronald Reagan è da tempo che è conosciuto per la sua celebre curva: sulla ascissa l’aliquota fiscale, sull’ordinata gli incassi: oltre un certo livello le entrate cessano di crescere, probabilmente perché le aziende, e non solo loro, falliscono.

 

Antonio Bordoni