La ricchezza delle famiglie risulta essere come a fine anni ‘90, inoltre si conferma un alto grado di polarizzazione nella distribuzione della ricchezza: il 10% delle famiglie più ricche detiene il 46% della ricchezza totale del Paese

Sono questi i Dai dati del  Supplemento al Bollettino Statistico della Banca d’Italia,  emerge in maniera drammatica l’aggravamento della situazione economica delle famiglie. Lacrisi economica, dal 2008 ad oggi, abbia intaccato la ricchezza di un popolo tradizionalmente risparmiatore come quello italiano.

Tra fine 2010 e fine 2011, si legge nel documento della Banca d’Italia, la ricchezza pro capite è scesa dell’1% a prezzi correnti e del 3,7% a prezzi costanti. A prezzi costanti, in particolare, la ricchezza netta pro capite nel 2011 arriva sui livelli del periodo 2000-2005. Meno favorevole la dinamica della ricchezza media per famiglia, che nel corso del 2011 è diminuita dell’1,6% a prezzi correnti e del 4,3% a prezzi costanti.

La ricchezza netta delle famiglie, in Italia, ha subito un calo dello 0,7% a prezzi correnti e del 3,4% in termini reali del 2011. Colpa della crisi e del minore potere d’acquisto. In particolare, a fine 2011 il valore della ricchezza complessiva familiare era pari a (circa) 8.619 miliardi di euro. Dividendo tale dato per la popolazione, si ottiene la cifra di poco più di 140.000 euro pro capite e 350.000 euro in media per nucleo familiare. Tali valori significano un ritorno ai livelli di fine anni Novanta. Dal 2007, l’ultimo anno prima dell’inizio della crisi quando la ricchezza raggiunse il suo valore massimo in termini reali, la diminuzione è stata pari al 5,8%. Secondo stime preliminari della Banca d’Italia, un’ulteriore riduzione dello 0,5% in termini nominali si sarebbe già avuta nei primi sei mesi del 2012.

Il paragone con la fine degli anni ’90, comunque, deve essere attenuato nella sua pesantezza considerando che tra il 1995 ed il 2011 vi sono quasi 5 milioni di famiglie in più, specialmente a causa della riduzione della dimensione media delle famiglie, passata da2,9 a 2,5 persone.

Sempre nel corso del 2011, l’aumento delle attività reali (1,3%) è stato vanificato da un marcato calo delle attività finanziarie (3,4%). Segno che la crisi sta diminuendo la disponibilità di capitali da destinare agli investimenti, a causa della stazionarietà o, nel peggiore dei casi, dell’erosione del risparmio. Contestualmente, si è assistito anche all’aumento delle passività (2,1%). In particolare, a fine 2011 le attività reali costituivano il 62,8% del totale mentre le attività finanziarie il 37,2%. Le passività finanziarie, pari a 900 miliardi di euro, rappresentavano il 9,5% delle attività complessive.

La fetta più grossa delle passività finanziarie, a fine 2011, era rappresentata per il 42% da mutui per l’acquisto dell’abitazione. La quota di indebitamento per esigenze di consumo costituiva circa il 13,6%, altre forme di prestiti il 20% così come un ulteriore 20% si doveva a debiti commerciali ed altri conti passivi.

Dal 2010 in qua, come segnalato dall’Istituto di Via Nazionale, si è peraltro fortemente ridotto (proprio a causa della contrazione del mercato immobiliare) il valore dei mutui per l’acquisto dell’abitazione. Il loro incremento si è stabilizzato attorno al 2% annuo, a fronte di una crescita di circa il 15% annuo nel quindicennio 1995-2009.

La Banca d’Italia evidenzia come, nonostante la crisi, nella classifica internazionale le famiglie italiane mostrano ancora un’elevata ricchezza netta, pari, nel 2010, a 8 volte il reddito disponibile. L’Italia da questo punto di vista si colloca agli stessi livelli del Regno Unito (ricchezza pari a 8,2 volte il reddito) e della Francia (8,1), superando Paesi industrializzati di prima grandezza come Giappone (7,8), Canada (5,5) e Stati Uniti (5,3).

Punto di forza è il basso indebitamento delle famiglie italiane. L’ammontare dei debiti è infatti mediamente pari al 71% del reddito disponibile, contro il (circa) 100% di Francia e Germania, il 125% di Stati Uniti e Giappone, il  150% del Canada ed il 165% del Regno Unito.

Come dicevamo, la crisi economica ha ulteriormente ampliato il divario (già tendente all’aumento a partire dall’inizio degli anni ‘90) tra ricchi e poveri. Si legge sempre nel Supplemento al Bollettino statistico della Banca d’Italia che, a fine 2010, il 10% più ricco degli Italiani deteneva il 45,9% della ricchezza totale del Paese, a fronte del 50% più povero delle famiglie italiane che disponeva del solo 9,4% della ricchezza complessiva: “La distribuzione della ricchezza” – recita il documento – “è caratterizzata da un elevato grado di concentrazione: molte famiglie detengono livelli modesti o nulli di ricchezza; all’opposto, poche famiglie dispongono di una ricchezza elevata”.

In questa tendenza alla polarizzazione della ricchezza, tra i più ricchi ed i più poveri troviamo un ceto medio – storicamente il perno su cui hanno fondato il proprio sviluppo tutte le economie più avanzate – impaurito ed in stato di sofferenza. Una situazione che, certamente, non rappresenta un buon auspicio per favorire la ripresa dei consumi e l’uscita dal tunnel della crisi.