antonio-bordoniAbbiamo sempre parlato di alleanze trattando del loro significato nell’ambito dell’industria aerea commerciale, chi entra chi esce, di quanto esse siano realmente utili al passeggero, vantaggi e svantaggi per le aerolinee, eccetera,  e sapete anche che le abbiamo definite “il paracadute delle compagnie aeree” volendo intendere che entrando sotto l’ombrello di una di esse l’aerolinea si sente in un certo qual modo “assicurata” come se avesse stipulato una polizza di copertura contro gli alti e bassi che caratterizzano l’industria aerea commerciale.

 Ma vi è un’altra ottica da cui vedere l’argomento alleanze e cioè  trattarle dal punto di vista delle teorie economiche attualmente vigenti e di come, sotto tale aspetto, le stesse vengano strenuamente sostenute. Ed iniziamo subito col precisare che oggi, secondo quanto ci dicono gli esperti dell’economia, stiamo vivendo un’era neoliberista la quale ha sostituito la gestione keynesiana. Ci guardiamo bene dall’andare oltre questi termini per non infastidire il lettore con l’esposizione di teorie e  termini astrusi. Ci limiteremo solo a dire che a differenza della politica di Keynes orientata soprattutto ai colletti bianchi del mondo occidentale (classe che oggi viene considerata in netta decadenza), chi invece si avvantaggia del nuovo corso sono le imprese soprannominate globali.

Attenzione però a non fraintendere quest’ultimo termine. Solitamente quando pensiamo ad una impresa globale ci possono tornare in mente la TWA, la Pan American, vettori cioè che erano presenti nei cinque continenti; molti infatti sono i casi di aziende che hanno filiali in diverse nazioni in cui operano.  Negli anni passati in pratica tutte le grandi compagnie aeree di bandiera, chi più chi meno, potevano ritenersi vettori globali tuttavia non è a questa tipologia di impresa che ci si riferisce oggi. Nel passato avevamo a che fare con imprese che pur avendo filiali operative in diversi Paesi nel mondo, presentavano però una valenza decisamente modesta in ciascuno dei mercati cui erano attivi.

La Pan American volava nei cinque continenti, ma se la Iata avesse abolito spontaneamente il cartello tariffario, la Pan Am si Pan-American-DC-10sarebbe dovuta confrontare con la TWA e con tanti altri vettori che operavano sulle stesse sue rotte, pertanto essa, anche se compagnia globale, non poteva “manipolare” il mercato.  Ben differente la situazione oggi in quanto gli esempi di Pan Am e TWA sono lontani anni luce dalle imprese “giganti” che operano nelle principali piazze mondiali le quali sono in grado, grazie alla posizione di forza cui godono sui mercati, di influenzare e  adottare strategie di predominio sui mercati stessi.

Se il termine di impresa gigante vi dice ancora poco, sostituitelo con “multinazionale” e forse in po’ di luce inizierà a farsi strada:  “a manipolare i mercati, dunque, è un pugno di uomini o piuttosto di grandi banche di investimento e multinazionali” (1)

 Volendo porre il problema in modo estremamente stringato: è da preferirsi un mercato nel quale rimangono attive un gran numero di aziende tra loro rivali, o al contrario proprio per effetto della concorrenza è preferibile che sopravviva solo un numero limitato di imprese?

Nel dare una risposta teniamo presente che uno dei principi che hanno guidato la deregulation è che sul mercato avrebbero dovuto rimanere attivi solo i migliori, e ciò non poteva non significare la scomparsa di un numero considerevole di vettori.

Ma il dubbio che oggi serpeggia  è che la selezione sia avvenuta non tanto per effetto del vettore più o meno virtuoso, quanto piuttosto per il fatto che un vettore che si trova ad operare in un paese economicamente più debole ha meno possibilità di sopravvivere, divenendo pertanto facile preda dei conquistatori che operano in paesi dalle economie avanzate. Per quest’ultimi è agevole vedere in essi i contorni delle imprese giganti, le quali stanno diventando un problema e non sono pochi gli economisti che lanciano allarmi in tal senso.

“Questo approccio mentale, imperniato sulla tesi per cui le fusioni e le incorporazioni che portano alla nascita delle imprese giganti non possono che accrescere l’efficienza, è tutto favorevole alla grande impresa.” (1)

Le grandi compagnie e il TKP

TWA_747Per sapere per quale motivo tutto ciò sta accadendo, colleghiamo queste nostre considerazioni con la notizia apparsa sul The Wall Street Journal Europe il 22 novembre scorso: “Italy to sell assets to pay for spending” ed ecco quindi la risposta ai nostri eventuali dubbi, traduzione per chi vuol capire:  se l’Italia vuole sopravvivere deve vendere, o meglio sarebbe dire “svendere” tutto, e gli altri acquisteranno, avranno eliminato un concorrente, e andranno ad  ingrassare il loro portafoglio….che bella cosa l’economia globale!

Ora noi vi proponiamo la foto di come era la produzione nell’industria aerea prima della deregulation e prima dell’avvento del nuovo credo economico, e come essa si è trasformata oggi. Per far ciò ricorreremo al TKP.

foto bordoni tabella

Il parametro TKP (Tonne-Kilometres-Performed) prende in esame non solo i passeggeri ma anche le merci (e posta) trasportate da tutti i vettori di una determinata nazione; il PKP invece (Passenger-Kilometres-Performed) lavora solo sui passeggeri. Quando avvertiamo “prende in esame” si vuol significare che entrano in gioco non solo il numero dei passeggeri e il peso delle merci trasportate ma anche per quanti kilometri essi hanno volato.

E’ pertanto ovvio ritenere che il TKP sia il fondamentale ideale per determinare la produttività dell’aviazione commerciale di un singolo paese. Ancora, particolare attenzione va prestata al fatto che entrambi sono parametri di traffico e non finanziari e come tali essi non hanno relazione alcuna con il buon andamento economico dei  vettori. In altre parole, analizzando il TKP sapremo quanto una determinata nazione ha volato in rispetto a quanto prodotto dai sui vettori.

Riporteremo le classifiche (in realtà le prime 25 posizioni) di due anni, uno prima dell’avvento della deregolamentazione  comparandolo con l’ultimo disponibile.

Le differenze vi balzeranno subito in vista;  è risaputo infatti che mentre gli sfalsamenti che si possono determinare da un anno al successivo non danno affatto l’idea di come stia cambiando il settore, se invece lo studio viene fatto ad anni di distanza, la percettibilità delle differenze avvenute nel frattempo appariranno in miglior evidenza.  In pratica è quello che succede quando ci si guarda tutti i giorni allo specchio e non si nota alcun cambiamento, mentre invece una persona che  non ci vedeva da molti anni riporterà una impressione netta sui nostri cambiamenti.

L’Icao provvede a diffondere su base annua i TKP prodotti da tutti i 191 Paesi appartenenti alla sua organizzazione, in praticaICAO tutte le nazioni del mondo, e la fonte della nostra tabella è appunto l’Icao. Le cifre rappresentano i TKP prodotti e si intendono per milioni (000.000)

Ebbene nel 1975 nelle prime 25 posizioni non vi è traccia né di vettori del Golfo, né di Cina, tutti i paesi presenti appartenevano alla stretta elite dei vettori di bandiera che in quegli anni dominavano i cieli.

La posizione dell’Italia

L’Italia occupava la decima posizione precedendo nazioni come Spagna, India, Brasile e Singapore nonché tutti gli altri paesi che non compaiono nella lista. Nei dati più recenti l’Italia è scesa alla 25sima posizione e sopra di noi si trova praticamente di tutto.  Ma una attenta analisi può svelare particolari inaspettati come ad esempio il fatto che malgrado la Svizzera sia passata per il fallimento della sua compagnia di bandiera (anno 2001) la produzione di TKP di questa nazione è aumentata in percentuale molto di più (527%) di quanto non sia avvenuto per l’Italia (265%).

 Fonti:

1) Luca Ciarrocca: “I padroni del mondo” ; Chiarelettere 2013 ; pag 120

2) Colin Crouch; “Il potere dei giganti” ; Editori Laterza 2011 ; pag 66