antonio-bordoniChi in buona fede crede  che quanto sta accadendo a tutti noi sia dovuto ad una reale volontà di “modernizzare” il Paese farebbe bene, secondo la nostra opinione, a ripensare il suo credo.

Quando uno Stato come il nostro nel quale ancora non si riescono ad abolire secolari strumenti quali le  marche da bollo e nel quale si deve ricorrere a carta bollata e notai anche per atti che in molti altri Paesi sono stati da tempo semplificati, c’è perlomeno da dubitare sulle ragioni di quanto sta accadendo.

Davvero c’è qualcuno il quale crede che l’uso della carta di credito, o meglio, l’obbligare il cittadino a servirsi di essa sia dettato da un genuino desiderio di metterci in linea con quanto accade altrove? Vedete, già da come abbiamo impostato questa domanda ci si dovrebbe rendere conto che non sarebbe male approfondire il problema.

Nessuno infatti intende mettere in dubbio la praticità che comporta l’uso delle carte di credito, qualche legittimo interrogativo dovrebbe invece sorgere allorchè lo Stato d’autorità impone l’uso della stessa per determinate e sempre più numerose operazioni;  se si continua di questo passo fra non molto anche i mendicanti dovranno dotarsi di postazione pos.

La carta di credito è uno strumento alle cui spalle vi è un istituto bancario. Il fatto che uno Stato il quale dovrebbe essere titolare della cartamoneta imponga ai suoi cittadini di servirsi della carta evitando l’uso di banconote finisce per trasformarsi in una indubbia forma di vantaggio per le banche e gli istituti finanziari.  La levata di scudi occorsa in questi giorni da partesoldi-banca degli agenti di viaggio verso l’obbligo di accettare pagamenti contro bancomat se il cliente ne fa richiesta, è solo uno degli ultimi esempi che si potrebbe citare fra i tanti.

I costi delle transazioni

Ed anche in questo caso bisogna fare un distinguo; le proteste non sono contro la forma di pagamento in se stessa, quanto nei confronti dei costi a carico dell’esercente che tale modalità di pagamento comporta e che nei fatti va a ulteriormente limare i guadagni dell’intermediario. In concreto mentre le transazioni effettuate con contante non comportano operazioni aggiuntive, né costi supplementari, stessa cosa non si può dire per gli acquisti fatti con carte di credito. E una tale considerazione va inquadrata nel clima di pesante gravame fiscale che opprime tutti gli strati sociali, commercio incluso.

Ciò che si vuol dire è che se la pressione fiscale fosse a livelli ragionevoli, un esercizio commerciale potrebbe pure assorbire le commissioni bancarie che gravano sulle transazioni di CC senza lamentarsi, ma nel generale clima di risparmio e tagli che tutti cercano di fare, rendere in pratica obbligatorio il pagamento di una fee per ogni acquisto vuol dire creare un’altra, ennesima subdola tassa.  E a favore di chi è questa volta? Non dello Stato ma delle banche.

Quando trattammo il caso della fee messa sul sito di alcune compagnie aeree perché l’acquirente usava la carta di credito per il saldo, tutti giustamente si scandalizzarono in quanto si fece notare che se non vi è scelta nella modalità di pagamento, è assurdo mettere un balzello per il fatto che si sta pagando con l’unico mezzo  permesso!  Ebbene bisogna rendersi conto che ogni qual  volta non vi è possibilità di scelta -ovvero contanti o carta-  costringendo a pagare solo con quest’ultimo mezzo, qualsiasi balzello imposto sulla transazione diventa una esplicita, inevitabile tassa per l’acquirente e un guadagno certo ed ulteriore per la banca.

Tra deregulation e privitazzazioni

 Ora facciamo un  passo indietro e ricordiamo come nel bel mezzo della crisi scoppiata nel 2007/2008 gli Stati vennero criticati in quanto proprio loro che avevano voluto la deregulation e le privatizzazioni avvertendo che ognuno se la sarebbe dovuta cavare da solo senza più sussidi e interventi governativi a sostegno, proprio loro intervenivano per salvare le banche anziché applicare la tanto decantata legge del mercato ove solo il migliore avrebbe dovuto sopravvivere; in tale frangente, val gita aereola pena ricordarlo, si fece  anche presente che gli istituti finanziari erano loro stessi responsabili di quanto era accaduto. Ebbene da quel momento in poi si è avuta la netta sensazione, o meglio sarebbe dire la conferma, che finanza e mondo politico erano ormai legate indissolubilmente da un patto scellerato.

Ovviamente nel portare avanti una tale politica bisognava creare uno specchietto per le allodole, ed allora ecco pronto il termine magico che mette tutti a tacere: “tracciabilità”.

Ma di grazia ammesso e non concesso che lo scopo fosse realmente questo, la tanto decantata privacy dov’è?  E’ accettabile che lo Stato debba essere informato ogni volta che il cittadino va a comprarsi qualcosa in un qualsiasi esercizio commerciale?  La tracciabilità dovrebbe riguardare  importi di dimensioni notevoli, quelli da sospetta fuga di capitali all’estero per intenderci, ma non certo la quotidiana spesa al supermercato o l’importo mensile della maggior parte dei pensionati.

Appare sempre più ovvio che lo Stato che potremmo definire il grande debitore e gli istituti finanziari-creditori, hanno sottoscritto una tacita alleanza al fine di alleggerire ancor più le tasche di tutti noi.

La trasparenza sulle tariffe aeree

Si parla tanto di trasparenza sulle tariffe aeree e indecifrabilità delle stesse, si tirano in ballo i diritti degli utenti e si vara la carta dei diritti, ma tentate di decriptare un conto corrente bancario, cercate di capire qualcosa fra commissioni, costi e spese di gestione  o leggetevi attentamente la lettera della banca ove si annunciano i cambi “unilaterali” delle condizioni, e poicarte credito riflettete se è giusto mettere sempre sotto accusa i “soliti noti” per la scarsa trasparenza sulle tariffe, anziché puntare l’attenzione verso i conti correnti bancari di tutti noi, sudditi ormai non più del mondo politico bensì di una finanza invadente che l’ha soppiantato sotto ogni aspetto.