Sir Anthony Milward, a quel tempo chairman della compagnia britannica BEA, ebbe a dichiarare nel febbraio del 1969: “Non credo che le fortune nell’industria delle saponette è stata mai ottenuta vendendo un maggior numero di pezzi a prezzi sempre più bassi.”
E’ indubbio che l’industria del trasporto aereo, e i suoi utenti, sono stati oggetto nel corso di questi recenti anni di continue, ininterrotte imposizioni di nuove forme di tassazione, si pensi alla tassa sul rumore, si pensi alle multe sugli Inad, si pensi alla security charge, al tarmac delay fee, o alla tassa sul CO2……eppure pur prendendo atto di questi evidenti aggravi sui costi, le compagnie sono responsabili di non aver mai seriamente preso in considerazione il passo più ovvio che ogni industria attua allorchè aumentano i prezzi che concorrono a formare il prodotto: un adeguato aumento delle tariffe.
Può sembrare una provocazione, una battuta d’effetto ma chi ha trascorso la propria vita in questo settore sa bene che questa è purtroppo una incontestabile verità, di cui cercheremo di ampliare il concetto e le motivazioni.
La battuta di Sir Milward risalente, come detto, al 1969 ci fa capire che non solo gli adeguamenti tariffari non sono stati attuati, ma si è andati in senso opposto procedendo a tagli e sconti che di fatto hanno significato che l’industria aerea commerciale per i suoi investitori ha assunto il poco invidiabile primato di essere uno dei settori meno remunerati in termini di rapporto profitto/operating revenue fra tutti i comparti del commercio mondiale.
Ovviamente dietro ad una tale politica vi sono delle ragioni, altrimenti vi sarebbe da pensare ad una inesplicabile volontà suicida da parte di coloro che guidano questa industria, rimane però da appurare se quanto fatto era davvero l’unica via percorribile.
Il problema delle tariffe
Quando un qualsiasi prodotto è oggetto di aumenti nei componenti che lo formano, la maggior parte delle aziende trova ben poca difficoltà all’aumento delle proprie tariffe adducendo la motivazione che è aumentato questo o quel componente. Allorché ad aumentare è un elemento della filiera dei costi del vettore “A” che vola –ad esempio- sulla Roma/Londra, tale aerolinea dovrebbe comportarsi di conseguenza, ma purtroppo deve confrontarsi con il dilemma di cosa farà il vettore inglese anch’esso operante sulla stessa rotta. Come si vede ci troviamo di fronte ad un tipo di concorrenza ove a confrontarsi non sono necessariamente due o più operatori della stessa nazionalità ma nel quale subentra anche il concorrente straniero. L’esempio sarà forse più chiaro pensando ad un collegamento fra una capitale europea e uno dei megahub del medio oriente ove a confrontarsi potrebbe essere un vettore europeo la cui economia nazionale è a pezzi e un vettore come Emirates, Qatar Airways, Etihad, Oman Air….
Questo confrontarsi fra due soggetti caratterizzati da economie di base che presentano asimmetrie congenite, è uno dei motivi –tuttora irrisolti- per cui molti si sono opposti alla deregulation ricordando un motto divenuto famoso: “Healty competition has always been considered the only sure preventive to inefficiency, slackness and dishonesty; air transport, however, is an exception.”
Ma torniamo al mancato adeguamento delle tariffe. Quando in apertura degli anni settanta entrarono in linea i wide body le aerolinee avrebbero dovuto aumentare i prezzi non fosse altro per ammortizzare il costo dei giganti dei cieli (un jumbo costava qualcosa fra i 25 e i 30 milioni di dollari), tuttavia la paura di non riuscire a riempire tutti i 400 posti del velivolo ma soprattutto il dubbio che il concorrente non avrebbe applicato l’eventuale aumento concordato, ricordiamo che in quegli anni ancora vigeva il cartello Iata, portò alle prime grosse perdite.
Tra tasse e deregulation
Vennero poi introdotte le tasse di rotta e con la privatizzazione degli scali aumentarono le spese aeroportuali: nuovamente si sarebbero dovute aumentare le tariffe, ma nel frattempo l’avvio della deregulation e l’aumentata concorrenza impedirono ancora una volta l’adeguamento delle tariffe. Si preferirono piuttosto soluzioni di dubbia utilità come l’introduzione della terza classe, la business (“executive class concept”), e pur di non dare l’impressione di un aumento dei prezzi si preferì lanciare quella pessima trovata della surcharge sul carburante (YQ/YR). Insomma, da qualsiasi ottica si voglia considerare il problema, pare che l’industria aerea si porti dietro il peccato originale di non voler riempire i posti degli aerei con tariffe che portino ad un utile aziendale.
Le compagnie aeree non hanno solo l’handicap di non fidarsi della politica tariffaria del concorrente, ma debbono confrontarsi anche con differenti tipologie di prodotto che ieri prendevano il nome di “charter” e oggi prendono il nome di “low cost”. Le autorità in nome della concorrenza hanno permesso le une e le altre e per i vettori regolari è stato un ennesimo bagno di sangue. Altro errore fatto è stato quello di aver voluto imitare questi modelli rimanendo strutturalmente la compagnia di sempre.
Una aerolinea è in grado di determinare quanto costa volare su una certa rotta per collegare due città avvalendosi di un certo tipo di aeromobile. Conoscendo inoltre il numero posti che si possono vendere, ovvero la capacità del velivolo, fissare la tariffa per rendere quella rotta “profitable” non dovrebbe costituire un problema di difficile soluzione. Eppure anche l’ultima trovata adottata altro non è che l’ennesimo escamotage: “tariffe a partire da….” È questa infatti la più recente soluzione per cercare di riempire l’aereo con tariffe apparentemente basse che poi potrebbero essere non più tali al momento in cui si chiude la transazione. Si è così giunti all’applicazione di tariffe variabili all’interno di una medesima classe di servizio, le quali hanno quale unica discriminante il tempo in cui si effettua la prenotazione, penalizzando l’ultimo arrivato in modo esponenziale rispetto a chi ha acquistato un posto dello stesso valore (in quanto venduto nella stessa classe di servizio) in un tempo precedente. Quale logica commerciale e di rispetto verso il cliente vi sia dietro ad una tale politica, ci sfugge. Contemporaneamente, e sempre per la paura di aumentare le tariffe, si sono inventate le ancillary revenue, anche se in tal caso più corretto sarebbe dire che si è copiato quanto fatto da Ryanair o Easyjet. Così facendo il passeggero viene ancora una volta attratto da una bassa tariffa alla quale però si deve aggiungere questo o quel componente. Le ultime ricerche su questo tipo di politica hanno messo in luce che ormai una tale tipologia di entrate è applicata alla grande anche dalle compagnie major e non più dai soli vettori low cost.
Il futuro? Lungo raggio e low cost
Tutti questi continui compromessi pur di non applicare UNA chiara,adeguata tariffa senza contornarla da una serie infinita di ammennicoli (pasto, bagaglio, pitch, tempi di prenotazione, possibilità o meno di rimborso…) ha portato ad un imbarbarimento della tariffa stessa della quale oggi tutto si può dire ma non certo che abbia il carattere della trasparenza. Ultima beffa della politica fin qui condotta è che sui media si continua a leggere che le tariffe aeree sono troppo alte. Insomma il peccato originale è ancora presente, le saponette continuano ad essere vendute a prezzi troppo bassi, gli utili rimangono un difficile obiettivo da raggiungere, ma le compagnie aeree secondo una diffusa percezione sono ancora “cattive” perché applicano esose tariffe.
In questo scenario quale futuro ipotizzare? A nostro parere, come abbiamo già indicato in precedenti nostri interventi, le compagnie aeree sono destinate a suddividersi in due sole categorie, da una parte grandi compagnie aeree, o gruppi, dedicati esclusivamente al lungo raggio le quali si facciano realmente pagare quanto costa portare un passeggero da un continente all’altro offrendo un servizio di bordo decente adeguato alla tariffa pagata, anche in termini di spazio di cabina. Dall’altra compagnie aeree low cost dedicate a servizi spartani sul corto-medio raggio le quali, loro lo potranno fare, applicheranno tariffe da banco a basso prezzo.
Il gran caos che attraversa oggi l’aviazione commerciale e le continue chiusure di cui quotidianamente sentiamo parlare sono dovute al fatto che vi sono troppi vettori che non hanno ancora capito che è tempo di scegliere fra l’uno o l’altro modello, evitando di rimanere un prodotto ibrido per il quale non vi è futuro.
caro Antonio
Come mai sui biglietti emessi con il codice AZ 055 non compare la partita iva della compagnia cioè da quando è CAI
mentre tutte le altre compare questo importante dato.-
Cordiali saluti
Ferruccio Dri
Agenzia DRI VAGGI